Dilagano, di questi tempi, le cosiddette “teorie della cospirazione sul signoraggio bancario”. Pur differenziandosi in mille rivoli sono caratterizzate da alcuni tratti comuni: una cospirazione mondiale di banchieri (spesso e volentieri ebrei, in alcuni casi addirittura alieni), una stretta correlazione tra debito statale e meccanismi di emissione monetaria, la possibilità risolutiva ma colpevolmente negata di creare ricchezza stampando denaro. Tra le numerose manifestazioni di questa moda c’è n’è una, in particolare, che si presenta addirittura con pretese di scientificità: conosciuta nel secolo scorso come “Cartalismo”, sta vivendo una seconda giovinezza con il nome di “Modern Monetary Theory” (abbreviata “MMT”). In Italia essa viene propagandata, in una forma particolarmente pittoresca e sconclusionata, prevalentemente dal giornalista Paolo Rossi Barnard.

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Può essere utile usare proprio la “MMT italiana” come base di discussione sulla proliferazione di teorie del “complotto monetario”, visto che comprende in sé la gran parte degli elementi tipici del genere. Gli assunti su cui si basa sono sostanzialmente questi:

1)    La ricchezza consiste nella moneta. I due termini si equivalgono: una maggiore produzione di moneta da parte significa una maggiore produzione di ricchezza. E viceversa.

2)    La moneta è una creazione degli Stati. Da sempre gli Stati, ed essi solamente, hanno il potere di creare dal nulla questo bene misterioso, e lo possono fare virtualmente all’infinito.

3)    Spesa statale e deficit non rappresentano un problema. Le tasse non servono per pagare la spesa statale (per quello sarebbe sufficiente creare moneta): uno Stato “a moneta sovrana” le impone solo per scoraggiare accumulazione eccessiva e per contrastare il potere dei ricchi (che potrebbero arrivare a minacciare lo Stato stesso). Il deficit, al contrario, serve a creare risparmio (“il debito pubblico è il risparmio privato”…c’è persino un’equazione matematica che lo dimostra!). Inoltre ogni Stato può stampare moneta all’infinito per ripagare i propri debiti: il fallimento è impossibile.

4)    Nell’area Euro c’è stata una “privatizzazione” della moneta. La BCE è un organismo privato che stampa moneta al posto degli Stati e la presta ad essi in cambio di interessi molto elevati. Ciò che chiamiamo “debito pubblico italiano” sono gli interessi che lo Stato italiano paga alla BCE, che ha concesso in prestito la moneta, e le tasse altissime che ci vengono imposte servono a ripagare questo debito.

Ognuno di questi quattro assunti contiene falsità fattuali e contraddizioni logiche.

1)    Ricchezza e moneta non sono la stessa cosa. Vi può essere una creazione di ricchezza anche molto importante, per esempio grazie al miglioramento di un processo produttivo o alla scoperta di nuove risorse naturali, senza creazione di base monetaria. Viceversa, vi può essere qualunque emissione di moneta senza che venga prodotta ricchezza. Per convincersene, è sufficiente domandarsi perché, se stampare moneta equivalesse a creare ricchezza, non si possa risolvere così il problema della scarsità nel mondo. Perché esistono luoghi dove la gente muore di fame, quando basterebbe stampare moneta per permettere a tutti di comprare il cibo? Perché limitarsi al cibo, quando stampando un po’ di più sarebbe possibile, per tutti, comprare anche una bella casa in città, una villetta al mare, una macchina veloce, e mettere via anche qualche risparmio? Perché fermarsi a case e macchine, quando stampando un poco di più uno stato potrebbe mettere chiunque in condizioni di comprare elicotteri, jet privati e isolette tropicali? La risposta è semplice: la produzione di moneta non implica la benché minima creazione di ricchezza. Eppure, nell’attuale sistema basato sul monopolio statale della moneta e sul legal tender, chi riceve per primo le monete coniate dallo Stato diventa, effettivamente, più ricco! Questo avviene perché in tali condizioni l’espansione della massa monetaria comporta un trasferimento di ricchezza tra attori del sistema economico. In particolare, comporta un trasferimento di ricchezza dagli ultimi utilizzatori della nuova moneta verso i primi utilizzatori (fenomeno conosciuto come effetto Cantillon) e un trasferimento di ricchezza dai detentori di crediti nominati in quella moneta ai rispettivi debitori (fenomeno conosciuto come monetizzazione del debito). Quando uno Stato (o la relativa Banca Centrale) crea moneta per spenderla, trasferisce ricchezza a sé, ai suoi dipendenti, fornitori, assistiti e beneficiari, prelevandola tramite l’inflazione dai settori di mercato più lontani dall’intervento statale. Quando poi uno Stato è anche indebitato fino al collo, come nel caso dello Stato Italiano, creando moneta preleva ricchezza anche dai suoi creditori, ovvero dai detentori dei suoi titoli di debito. L’aumento di base monetaria in legal tender è, quindi, a tutti gli effetti, una tassa. Non una creazione di ricchezza, ma un trasferimento di ricchezza dai sudditi verso lo Stato.

2)    La moneta non è una creazione degli Stati. La moneta è un’invenzione del mercato che precede di millenni la nascita del concetto di “Stato” in senso moderno: si è sviluppata in maniera indipendente dalle istituzioni politiche e spesso nonostante l’interferenza distorsiva di queste ultime.  In origine erano “moneta” semplicemente le merci più facili da utilizzare come mezzo di scambio, come unità di conto e come riserva di valore. Storicamente, tra le varie merci scambiate nei sistemi di baratto, sono emersi principalmente i metalli preziosi a svolgere la funzione monetaria: facili da suddividere in unità più piccole, impossibili da creare dal nulla e difficili da falsificare, non deperibili e relativamente agevoli da spostare anche su lunghe distanze. Per rendere più efficiente l’utilizzo dei metalli preziosi si è sviluppata la pratica del conio: un qualche attore del mercato considerato affidabile dal mercato (spesso un gioielliere o un orafo, qualche volta una istituzione di tipo politico) imprimeva un proprio marchio su alcuni pezzi di metallo, garantendone il contenuto e la qualità. L’evoluzione monetaria successiva è stata quella della banconota: un titolo di debito convertibile in metalli preziosi o in altri beni monetari, trasferibile e riscattabile a vista dal portatore, di nuovo emesso da organizzazioni considerata affidabile dal mercato (spesso banche, ma in alcuni casi anche ordini monastici, compagnie mercantili, liberi Comuni). Sia per quanto riguarda la moneta-merce che per quanto riguarda la moneta-credito, le organizzazioni politiche hanno spesso cercato di imporre un proprio monopolio, al fine di poter manipolare uno strumento economico così importante: gli Stati nazionali ci sono riusciti appieno negli ultimi secoli. La concorrenza monetaria non è però relegata al passato, ovvero alle durature e diffuse esperienze di free banking che hanno preceduto storicamente il monopolio statale della moneta e le leggi sul legal tender: anche al giorno d’oggi si assiste costantemente all’emergere spontaneo nel mercato di beni che hanno funzione monetaria, dal caso tipico delle sigarette all’interno dei carceri fino ad alcuni tipi di azioni e obbligazioni trasferibili considerate particolarmente “liquide”. Un altro esempio di moneta di mercato, nata e sviluppata senza alcuna interferenza statale, sono le cosiddette cryptocurrencies digitali, basate su crittografia e protocolli peer-to-peer (la più famosa e diffusa delle quali è quel Bitcoin che sta facendo molto parlare di sé in questi mesi).

3)    Spesa statale e deficit rappresentano un grosso problema. Quando uno Stato spende molto ha solo due alternative: tassare molto, oppure indebitarsi. E quando uno Stato è indebitato ha solo due alternative: dichiarare fallimento o ripagare il suo debito. Poiché gli Stati nazionali non producono ricchezza, l’unico modo che hanno per pagare un debito è tassare. Il deficit statale è quindi semplicemente una tassazione differita nel tempo. Quando un governo produce deficit, è come se facesse compere usando una carta di credito il cui estratto conto sarà addebitato ai contribuenti. Le tasse sono la naturale conseguenza della spesa statale, che sia fatta in deficit o meno. Le tasse ci sono nei paesi dell’euro-zona così come nei paesi controllati da Stati dotati di una moneta propria, e sono sempre proporzionali alla spesa statale, eventualmente con qualche momentaneo differimento temporale reso possibile dall’indebitamento. L’espansione della base monetaria non è una terza via, ma solo un misto tra tassazione e default: l’inflazione rappresenta una tassazione in sé, mentre la monetizzazione del debito statale rende i creditori sempre meno disposti a concedere prestiti, se non in cambio di rendimenti molto più elevati. Non è quindi possibile per uno Stato indebitarsi all’infinito, e i guai in cui si trovano oggi Stati “a moneta sovrana” come Argentina e USA sono un esempio di questa impossibilità. Anche per quanto riguarda l’Italia ai tempi della “moneta sovrana” spesa e debito rappresentavano un enorme problema, esattamente per il medesimo motivo. Poiché la ricchezza non è e non può essere identificata con la base monetaria prodotta da uno Stato, ogni identità contabile che mette a confronto il passivo finanziario del settore statale con l’attivo finanziario dei detentori dei titoli non è altro che una vuota tautologia che non dice nulla della ricchezza reale del paese, che può aumentare solo con investimenti, innovazioni, scoperte, miglioramenti di produttività.

4)    Nell’area Euro non vi è stata alcuna “privatizzazione” della moneta. La Banca Centrale Europea non è affatto un’impresa che opera sul mercato, ma semplicemente un organismo politico-burocratico, creato nel quadro del trattato di Maastricht a emanazione degli Stati aderenti, governato da politici e burocrati con logiche politiche e burocratiche. In generale, anche le banche commerciali interamente “private” fanno parte di uno dei settori più fortemente regolamentati, politicizzati e statalizzati dei tutto il panorama economico. Di “privato” nel senso di operante sul libero mercato, nel sistema bancario internazionale e in quello italiano soprattutto, esiste poco o nulla. Il cosiddetto signoraggio, ovvero l'insieme dei redditi ottenuti grazie all'emissione di una moneta, nel caso degli euro (cartacei) è distribuito dalla BCE agli Stati utilizzatori della moneta tramite le rispettive banche centrali nazionali (il signoraggio è incassato direttamente nel caso delle monete metalliche). Il debito statale italiano non ha nulla a che vedere con un fantomatico “interesse che l’Italia paga alla BCE per utilizzare la moneta”, ma è più semplicemente il debito effettivo che lo Stato ha contratto, spendendo negli anni molto più di quanto incassava. Nulla di più, nulla di meno.

Non è un caso che teorie di questo tipo stiano prendendo tanto piede di recente, nel pieno dispiegarsi di una crisi economica generata proprio dalla distorsione statale della moneta e del credito. I propugnatori delle “teorie del complotto monetario” giocano sul fatto che qualunque persona di buon senso percepisce “qualcosa che non va” nel sistema monetario e finanziario nazionale ed internazionale: questa percezione è assolutamente fondata. La pressione fiscale è insostenibile ed è spesso giustificata come necessaria a fronte del “debito pubblico”, l’economia è soggetta a enormi bolle finanziarie che si gonfiano e poi esplodono (lasciando morti e feriti), l’indebitamento di famiglie, imprese e istituzioni ha raggiunto livelli parossistici e non garantiti da risparmi reali. Il problema delle spiegazioni semplicistiche e basate su assunti falsi o illogici, tuttavia, è che portano a proporre soluzioni peggiori del male. In particolare, Barnard e i suoi adepti propongono, come cura per la patologia, un aumento ulteriore dell’agente patogeno: più Stato, più spesa, più deficit, più inflazione, più regolamentazione del settore bancario e monetario. Quello che ci si dovrebbe augurare, sulla base di un’analisi onesta e razionale della situazione, è invece l’esatto opposto: fuori lo Stato dalla moneta!