Il sistema bancario italiano è chiamato a una sfida epocale, una vera rivoluzione copernicana. Niente sarà più come prima. Ma le istituzioni di vigilanza l’avranno capito? A giudicare dall’imbarazzante scaricabarile dopo il pasticciaccio delle popolari, sembra proprio di no.

Conti Bankitalia sito

“La Banca d’Italia è una istituzione seria che ha fatto il massimo possibile e scongiurato molte crisi. I risparmi degli italiani sono al sicuro". Così parlò il numero uno della Banca d’Italia, Ignazio Visco, di solito più a suo agio nei consessi internazionali e nelle aule universitarie che in tv, il 20 dicembre 2015, nella giornata più mediatica della sua carriera di governatore. Il culmine della controffensiva ha visto Visco prima rilasciare una lunga intervista a Repubblica e poi, in serata, partecipare a uno dei programmi più popolari del palinsesto pubblico, quello condotto da Fabio Fazio.

Passano due giorni e sugli schermi spunta il gran capo della Consob, Giuseppe Vegas, intervistato da Massimo Giannini a Ballarò: “Non trovo elementi di rimprovero per me e l'istituzione, abbiamo fatto tutto quello che potevamo”, certo “in futuro si dovrà vedere come vengono distribuiti” gli strumenti finanziari ai risparmiatori, e bisognerà lavorare per evitare che vadano a “persone che non sanno apprezzare il rischio”. Quanto a possibili dimissioni “Non ci ho mai pensato, proprio mai”.

Eccola, la reazione delle autorità del mercato al pasticcio sul salvataggio delle 4 banche varato per decreto (ma con i soldi delle big “sane” del credito) dal governo Renzi. Ed ecco la difesa di Visco e Vegas - dopo essere stati entrambi convocati al Quirinale da Sergio Mattarella - alle accuse reciproche: Bankitalia accusa Consob, Consob accusa Bankitalia e Palazzo Chigi tira in ballo sia Bankitalia sia Consob in un continuo rimpallo di responsabilità che ancora non ha chiarito di chi sia la responsabilità degli omessi controlli.

I risparmiatori che hanno investito nei bond subordinati delle quattro banche salvate “conoscevano i rischi”, aveva già detto lo scorso 4 dicembre Vegas sventolando il prospetto informativo di una delle obbligazioni incriminate. In cui secondo lui c'era scritto tutto, bastava leggere. Come i bugiardini delle medicine. Eppure ai piani alti delle istituzioni europee non la pensano così. Anzi. “Nel caso delle quattro banche italiane ci sono chiare conseguenze per i cittadini che si sono trovati in una situazione in cui gli istituti stavano vendendo prodotti non idonei”, ha detto Jonathan Hill, commissario europeo ai mercati finanziari. Un modo elegante per dire che quei bond subordinati non dovevano essere venduti alla clientela cosiddetta retail, ovvero non esperta.

Del resto, sono proprio le regole scritte – le stesse invocate dal presidente della Consob – a prevederlo. Prendiamo un testo che appare sul sito della Commissione che contiene i chiarimenti relativi alla “Comunicazione sulla distribuzione di prodotti finanziari complessi ai clienti retail”. Dove il Garante del mercato sottolinea che “gli operatori dovranno prestare la massima attenzione alle fasi di distribuzione delle obbligazioni subordinate nei confronti della clientela al dettaglio”. Operatori che comunque vanno controllati per evitare preventivamente che certi prodotti o strumenti rischiosi finiscano nelle mani sbagliate. Ma le eventuali falle nella vigilanza, più che a valle della vendita, andrebbero cercate a monte. Ovvero nelle ispezioni che hanno fatto emergere casi di mala gestione. Come nel caso delle quattro malate, tutte commissariate da Bankitalia. È solo un caso che molti bubboni siano scoppiati da quando sono arrivati gli “sceriffi” della vigilanza unica della Ue?

Matteo Renzi ha scavalcato sia Bankitalia sia Consob con la scelta di affidare all'Autorità anticorruzione di Cantone la supervisione sugli arbitrati dei risparmiatori beffati dalle banche. E fra Natale e Capodanno sono anche cominciati a girare rumors insistenti su un possibile cambio al vertice delle due autorità (con tanto di candidato in pole position per prendere il posto di Visco, identificato nel renziano Lorenzo Bini Smaghi) o su possibili soluzioni alternative per Consob, come l’integrazione con la stessa Bankitalia o l’assorbimento delle sue funzioni sotto la supervisione del Tesoro.

Il premier ha anche chiesto di portare le lancette delle responsabilità indietro almeno al Duemila. L'obiettivo sarebbe quello di chiamare in causa i suoi predecessori: da Berlusconi a Prodi, da Monti a Letta. Ma riaprire i cold case del sistema bancario italiano avrebbe alcuni effetti collaterali dalle conseguenze imprevedibili. Perché a capo della Banca d'Italia, dal 29 dicembre 2005 fino al 31 ottobre 2011, c'era Mario Draghi. Oggi gran capo della BCE.

È stato scritto molto, in passato, sulle zone d'ombra nei rapporti fra Bankitalia e l'ex dominus della Popolare di Vicenza, Gianni Zonin, che ha sempre coltivato i rapporti al massimo livello nelle stanze dell'Authority di Vigilanza. Il caso che ha fatto più rumore è quello di Giannandrea Falchi, già stretto collaboratore di Draghi quando era governatore, che era stato ingaggiato nel 2013 come consigliere per le relazioni istituzionali. Non solo. Nel maggio 2014 la Popolare acquista (a 9,52 milioni, con prezzo minimo d'asta di 9,35) Palazzo Repeta, a Vicenza, da Bankitalia. E nel giugno 2014 Banca Etruria respinge l'Opa di Zonin che si era proposto sul mercato come polo aggregante con il placet di Bankitalia. Solo suggestioni? Può darsi.

Ma Renzi deve stare attento a non riavvolgere troppo il nastro. Intanto, ostenta calma e ottimismo. Forse troppo. “Non c'è un rischio sistemico per le banche italiane: sono molto più solide che in altri Paesi, nemmeno sotto pagamento cambierei il nostro sistema ad esempio con il sistema tedesco”, ha detto nella conferenza stampa di fine anno. Dimenticandosi che le casse delle nostre banche sono ancora gravate dal peso di 200 miliardi di sofferenze che sono in carico a circa il 45% del loro valore nominale, mentre il mercato è disposto ad acquistare a circa il 20 per cento. Significa che, se fossero vendute tutte insieme, il sistema ci rimetterebbe attorno ai 50 miliardi.

Il premier dimentica anche che un terzo delle sofferenze bancarie dell'Eurozona proviene dagli istituti italiani. La mega bad bank annunciata a più riprese dal governo Renzi (ma snobbata e respinta per anni, se ne parla dal 2008) è stata mandata in panchina dal cartellino rosso della Commissione Ue e probabilmente lì rimarrà, non solo per colpa di Bruxelles. Un'occasione perduta per alcuni, una questione quasi di sopravvivenza per altri che nel veicolo finanziario incaricato di ripulire le banche acquistandone i crediti in sofferenza avevano riposto le speranze di una “pulizia” di bilancio più veloce e comunque garantita.

Il mondo del credito deve inoltre fare i conti con le nuove regole sul bail-in e con i controlli più stringenti della vigilanza unica europea. Il gioco si fa duro, ma saranno abbastanza dure le banche per cominciare a giocare? Fino a oggi il sistema bancario italiano ha sempre cercato di salvare se stesso anche chiedendo un aiutino allo Stato, si pensi ai Tremonti e Monti bond del Monte dei Paschi di Siena. Un paracadute che non potrà più essere aperto in futuro. Mentre le banche sane che si sono autotassate di 3,6 miliardi per salvare le 4 piccole malate si ritroveranno a pagare il conto nelle trimestrali di fine anno.

Cosa succederà quest’anno al gran valzer delle fusioni fra Popolari, se e quando fioccheranno i cartellini gialli alzati dagli arbitri europei? Il Risiko fra gli istituti coinvolti dalla riforma varata a febbraio da Palazzo Chigi (su ordine, però, di Draghi) non è ancora partito. Vanno trovati gli equilibri giusti in termini di governo societario (leggasi “poltrone”) e intanto il tempo passa. Poi ci sono banche come Mps che, per uscire definitivamente dal tunnel, devono trovare un cavaliere bianco, preferibilmente straniero, disposto a sposarle nonostante il loro passato chiacchierato.

Sullo sfondo si aggirano concorrenti come Apple, Amazon e Google che puntano a soffiare ricavi e clienti alle banche sul campo dei sistemi di pagamento, nonché dei prestiti a privati e imprese, sfruttando la capacità di gestire comunità enormi attraverso il commercio elettronico e l'uso innovativo del web. Senza dimenticare gli azionisti stranieri che terranno banco nelle assemblee del 2016: grandi fondi americani, arabi e cinesi, entrati con quote importanti nel capitale delle banche (anche nelle big come Intesa e Unicredit) che ora sono pronti ad alzare la voce sulla governance e sulla gestione per valorizzare il loro investimento.

La reputazione di Bankitalia e Consob traballa proprio adesso che il sistema bancario italiano è chiamato a una sfida epocale, una vera rivoluzione copernicana. Niente sarà più come prima. Ma né Visco, né Vegas, né tantomeno Renzi sembrano averlo ancora capito.