La cannabis può fare male, ma anche bene. L'uso ricreativo di hashish e marijuana non è affatto privo di rischi, che sono però inferiori a quelli di altre droghe proibite, come eroina e cocaina, o legali, come alcol e tabacco. L'uso terapeutico dei derivati della cannabis ha molteplici e utili applicazioni; a fare malissimo sono invece i pregiudizi su un tema che è difficile affrontare con rigore scientifico.

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Più della guerra può una canna. Jon Snow, 67 anni, veterano, ha descritto di fronte alle telecamere di This Morning la sensazione provata dopo aver inalato marijuana, durante un esperimento dell'Home Office del Regno Unito: terrore puro, più che a Gaza. L'esatto contrario, peraltro, del sollievo descritto da Mark Chavvaria, stuntman di Hollywood, che, malato di cancro, ha raccontato di aver riscontrato benefici concreti dall'uso della cannabis: "Mi ha aiutato – ha ammesso - con la radioterapia e la chemioterapia". Insomma, la marijuana – vaporizzata, mangiata, infusa come il tè o più classicamente fumata – è pericolosa? Fa bene o male? E soprattutto, a chi?

Secondo l'istituto di ricerche Gallup la percezione sociale del rischio associato alla cannabis sta cambiando, almeno tra gli americani. Se, infatti, nel 1969 solo il 12% della popolazione statunitense si dichiarava favorevole alla legalizzazione, la percentuale è cresciuta fino al 31% nel 2001, e al 58% nel 2013. Eppure, spiegano i ricercatori del Potency Monitoring Project, il contenuto di THC, il principio attivo, ha subito un incremento di circa 10 volte nello stesso lasso di tempo. Un aumento della potenza – intesa come capacità della molecola di incidere sulla psiche – che rende difficile determinare gli effetti a lungo termine della marijuana.

Intanto, però, meglio vaporizzarla che fumarla, come consiglia il Clinical Pharmacology & Therapeutics Journal, per evitare di assumere altre sostanze tossiche e limitare i danni a carico dell'apparato respiratorio e cardiovascolare. Le conseguenze delle canne, infatti, sarebbero simili a quelle della sigaretta, tanto che, scrive Suzanne Steinbaum, direttrice del Women's Heart Health dell'ospedale Lennox di New York, l'uso di cannabis è stato considerato come concausa di attacchi ischemici ma, in una ipotetica classifica, solo come terzo fattore di rischio, dopo il tabacco e la cocaina. Invece, nell'indagine europea SCORE – Systematic Coronary Risk Evaluation - il consumo di marijuana ha un peso sulla salute simile all'obesità, all'elevato colesterolo, allo stile di vita sedentario. Tanto che, spiega il CEIP, il centro francese dedicato alla informazione sulle farmacodipendenze, la percentuale di morte a causa di problemi cardiovascolari tra gli amanti della cannabis è del 25,6%. Numeri significativi, ma fino a un certo punto: le concause di un attacco di cuore, per esempio, sono molteplici, a partire dalla storia famigliare.

Però, a differenza della nicotina, per esempio, la cannabis può anche fare bene. Soprattutto a chi è malato e cerca sollievo. I ricercatori dell'American Academy of Neurology, per esempio, hanno riscontrato che l'uso medico della marijuana assunta in forma di pillole o inalata come spray può ridurre la rigidità e gli spasmi muscolari in chi è affetto da sclerosi multipla. Inoltre contribuirebbe a stimolare l'appetito tra i pazienti colpiti da HIV o da anoressia e funzionerebbe come benefico anti-nausea per le persone in chemioterapia.

La marijuana, inoltre, può anche essere usata per il glaucoma perché riduce la pressione sanguigna nei bulbi oculari. La legge della California per l'uso medico della sostanza indica che può essere assunta per fronteggiare l'artrite, l'insonnia, l'abuso di altre sostanze. Non solo. L'unità di terapia del dolore dell'Università di Pisa ha condotto una ricerca su 500 pazienti trattati con la cannabis: il 59% ha riscontrato effetti positivi sul sonno, anche nei casi in cui sono state sospese le benzodiazepine – sostanze, queste ultime, che comportano un elevato rischio di assuefazione.

Insomma, c'è chi potrebbe avere bisogno di marijuana per scopi terapeutici. Sono malati di sclerosi multipla. Ma anche di epilessia, neuropatie, artrite reumatoide, sclerosi laterale amiotrofica, Parkinson, morbo di Crohn, sindrome fibromialgica, lesioni midollari, disturbi psichiatrici. Tutte persone la cui storia di fatica e lotta – con la malattia ma anche con chi non prescrive la cannabis – è raccontata nel dossier dell'Associazione Luca Coscioni La cannabis fa bene, la cannabis fa male.

In tutti questi casi la marijuana mostra la propria anima buona perché, come ha spiegato a Wired Walter Fratta, ordinario di farmacologia a Cagliari, la cannabis ha due anime, ma quella nera è legata soprattutto all'abuso, non all'uso controllato. Il rischio principale per un fumatore adulto occasionale, spiega il professore, è infatti legato alla percezione momentanea di spazio e tempo. Meglio non guidare o non fare sport dopo aver fumato – la poca coordinazione è l'altro effetto. Un po', insomma, come quando si beve.

In una ipotetica classica di pericolosità legata al potenziale tossico di una sostanza, secondo Luigi Gessa, per lungo tempo direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Cagliari, la cannabis non è in testa: prima ci sarebbero l'alcol, l'eroina, la cocaina assunta sotto forma di crack e la nicotina.

Tuttavia, se a fare davvero male sono soprattutto i pregiudizi sul tema, c'è chi dovrebbe non solo limitare ma del tutto evitare l'assunzione di marijuana. Si tratta degli adolescenti e dei pre-adolescenti, i quali, secondo Gessa, fumando accumulerebbero non crediti, come si fa con le materie scolastiche, ma discrediti, dovuti alla riduzione, seppur momentanea, della capacità di apprendimento, di memoria e attenzione, per esempio. Senza contare la possibilità di rendere palesi patologie altrimenti latenti. Le droghe, infatti, hanno la capacità di fare affiorare in maniera dirompente psicosi nascoste. Ma, continua lo scienziato, solo nelle persone già predisposte.

Va bene allora proibire la cannabis? Non proprio. Meglio un mercato controllato, soprattutto per ragioni mediche.

Secondo una indagine del King's College di Londra condotta nei quartieri meridionali della città e pubblicata a Febbraio da Lancet Psychiatry – Proportion of patients in south London with first-episode psychosis attributable to use of high potency cannabis – il consumo di hashish potenziato aumenterebbe nella popolazione - testata per ben tre volte - il rischio di vivere una esperienza psicotica.

Attenzione però. Il dato si riscontra nel consumo di skunk, una versione più forte della marijuana, nella quale, quindi, è molto più alta la concentrazione di THC – fino al 15%, mentre in natura è pari a circa il 4%. Nella cannabis tradizionale, ha spiegato al Guardian Amir Englud, del King's College, la proporzione tra THC e CBD – cannabidiolo, altro principio contenuto nella marijuana – è quasi la stessa, mentre la seconda molecola quasi scompare nella skunk. Il CBD, insomma, potrebbe essere testato come antipsicotico – tanto che c'è chi lo fa, come la GW, casa farmaceutica che lo sta testando su individui colpiti da schizofrenia.

In definitiva, un dato certo c'è: la cannabis non ha mai ucciso nessuno. È un fattore di rischio, anche molto pericoloso, in determinante circostanze, a causa soprattutto delle percezioni alterate che provoca – secondo uno studio del 2013, per esempio, aumenterebbe il rischio di incidenti d'auto mortali dell'83%. Ma, a livello di effetti fisici diretti, fa meno danni dell'alcol – il quale, per il dipartimento dei trasporti statunitense, incrementa la possibilità di incidenti mortali del 575% - e della nicotina. O meglio: la marijuana potrebbe fare meno danni in un mercato controllato, più sicuro, in cui fosse più facile prevenire i casi di abuso.

Ecco, allora, la prescrizione medica. Rilassarsi, sedersi, fare un bel respiro profondo. E prendere le distanze dal tema, per trattarlo scientificamente. L'unica alterazione, stavolta, potrebbe essere legata al pregiudizio. Un principio tossico che alla scienza, davvero, non fa bene.