«Lo Stato totalitario fa di tutto per controllare i pensieri e le emozioni dei propri sudditi in modo persino più completo di come ne controlla le azioni» (George Orwell)

scudieromedia 

Quando, lasciando l’area transiti internazionali dell’aeroporto Sheremetyevo di Mosca, Edward Snowden dichiarò al mondo che il suo asilo politico in Russia rappresentava la vittoria della legalità contro l’America delle intercettazioni di massa, la vergogna e la rabbia devono aver cominciato a rincorrersi nei corridoi del Potere delle capitali occidentali.

Quel tecnico informatico della Booz Allen Hamilton, azienda consulente della National Security Agency (NSA) americana, che a giugno scorso decide di scappare ad Hong Kong e cominciare a “vuotare il sacco” sulle pratiche di sorveglianza massiva dell’intelligence statunitense (ma non solo), si serve di amicizie interessate e paradossali che inchiodano l’Occidente a riscoprire e riconcettualizzare le vulnerabilità della sua società aperta. Da sei mesi Snowden snocciola rivelazioni che aprono scandali che innescano tensioni a vari livelli, nel frattempo facendo shopping tra guarentigie e protezioni internazionali in Paesi dove la rule of law spesso muore, e con essa la libertà politica.

Nonostante la discutibile selezione dei suoi compagni di “guerriglia”, Snowden ha creato il momento per una discussione pubblica che non va sprecata, perchè se è vero che pratiche di sorveglianza nelle democrazie avanzate sono sempre esistite, mai la loro scala è stata tanto imponente, e a questo punto troppe ed esiziali sarebbero le conseguenze di praticare il business as usual  nel campo dello spionaggio.

Sono due i principali programmi americani di sorveglianza di massa finiti nel mirino dell’opinione pubblica per la loro invasività. Si tratta del Prism e dell’Upstream. Il primo consente alla NSA di entrare direttamente nei server di compagnie private, senza il loro consenso e senza autorizzazione giudiziaria, per raccogliere e stoccare le comunicazioni in essi contenute, e per compiere operazioni di sorveglianza su soggetti specifici. La base legale del Prism è il Foreign Itelligence Surveillance Act (FISA), una normativa introdotta nel 1978 per regolare lo spionaggio verso le potenze straniere e i loro agenti, che controbilanciava il potere opaco dell’intelligence attraverso l’introduzione di una corte speciale segreta, la Foreign Intelligence Surveillance Court (FISC), che ha il compito di controllare la legalità delle operazioni condotte ai sensi del FISA. Secondo lo schema originario del FISA, lo spionaggio poteva avvenire soltanto sulla base di un mandato della Corte, che accertasse, caso per caso, che entrambe le parti spiate erano fuori dalla giurisdizione americana. Tuttavia nel 2008, Bush presidente, il Congresso americano ha approvato un emendamento al FISA che autorizza la NSA a fare incetta di dati e comunicazioni elettroniche di stranieri senza il bisogno di una previa autorizzazione della Corte, e sulla base del ragionevole convincimento che almeno una di esse, non più entrambe, sia fuori dal territorio americano. A dicembre 2012 l’amministrazione Obama ha esteso per ulteriori 5 anni l’autorizzazione della NSA a condurre intercettazioni senza mandato e su base sommaria presso server privati. Al programma risulterebbero associate aziende del calibro di Verizon, Facebook, Yahoo, Microsoft e, da ultima, Google.

Attraverso il programma Upstream, invece, la NSA avrebbe intercettato il traffico internet e telefonico in transito direttamente dai cavi di fibra ottica che collegano gli USA al resto del mondo. Quando si è scoperto che le attività di spionaggio non distinguevano tra paesi alleati e nemici, nè tra classi della piramide sociale e politica, arrivando a intromettersi nelle conversazioni private dei diplomatici e leader politici di mezzo mondo, inclusi gli Italiani, il Datagate ha compiuto un salto di scala, e così i tentativi di mistificazione di mezza classe politica europea.

A cominciare dai Tedeschi, seguiti in buon ordine dai Francesi, quello che è un problema di democrazia – ossia quanto in là una società possa spingersi per difendersi da eventuali minacce esterne prima di disintegrarsi da sola – è stato presentato come una “mera” questione di insufficienza del quadro regolamentare a tutela della privacy degli Europei (e degli Americani) e brandito come pistola sul tavolo dei negoziati per l’area di libero scambio in discussione tra i due blocchi. Omettendo, da parte europea, qualche particolare scabroso di troppo, e cioè che i programmi di sorveglianza massiva non sono un’esclusiva americana, bensì un’abitudine anche dei governi del Vecchio Continente. A cominciare dagli Inglesi, che prima dell’Upstream sperimentavano il programma Tempora. “Tonnellate” di dati e metadati collezionati dai servizi di Sua Maestà su cittadini, compagnie e ufficiali di governo anche dei paesi europei partner, inclusa e soprattutto l’Italia, come rivelato da un’inchiesta de L’Espresso.

Sulla stessa falsariga, la Germania ha in azione un programma chiamato Bundesnachrichtendienst (BND),  mentre la Svezia è uno dei cinque paesi membri del gruppo “Five Eyes”, un club a cui hanno accesso USA, Regno Unito, Nuova Zelanda e Australia, nato per consentire ai suoi componenti lo scambio di informazioni di intelligence su base confidenziale e privilegiata. In qualità di suo membro, il paese scandinavo avrebbe messo a disposizione dei servizi segreti dei paesi partners tutto il traffico di dati in transizione dai cavi sottomarini del Baltico, molti dei quali di origine o destinazione russa. In Francia, invece, le operazioni di spionaggio massivo avrebbero la centrale operativa nella Direction Générale de la Securité Exterieure (DGSE), e a Parigi sarebbe la sede del quartier generale dell’ Alliance Base, un foro al cui interno Francia, Germania, UK, USA, Canada e Australia scambiano informazioni di intelligence su base continuativa.

Le differenze tra Europa e Stati Uniti in termini di spionaggio di massa sono due. La prima consiste nella magnitudine dei programmi e delle risorse mobilitate, che assegna agli USA un primato inarrivabile. La seconda differenza pertiene al quadro legale entro cui queste operazioni vengono effettuate. A differenza degli USA, tutti i paesi europei aderiscono alla Convenzione Europea dei Diritti Umani, e i membri dell’Unione Europea alla sua Carta dei diritti fondamentali. Di conseguenza, essi sono obbligati dal diritto internazionale ed europeo a rispettare la sfera privata degli individui a prescindere dalla nazionalità e dalla cittadinanza, e tutti hanno diritto di adire le vie legali in caso di violazione dei diritti sanciti dagli strumenti richiamati da parte degli Stati europei. Negli Stati Uniti, al contrario, i soggetti spiati di passaporto non americano non hanno alcuna tutela legale presso i tribunali locali.

Al netto di ciò, il fatto che l’Europa abbia un quadro normativo più robusto e garantista non ha impedito, e non impedisce, che molte operazioni vengano condotte sulla scorta dell’eccezionalismo extra o addirittura contra legem, sia da parte di apparati europei che stranieri. La questione della sorveglianza di massa va dunque posta e affrontata nell’alveo del principio di legalità come pilastro su cui si regge la democrazia liberale in Occidente. E’ possibile, spesso necessario, agire nel solco di eccezioni e deroghe, più o meno discrezionali, alle regole ordinarie, quando si tratta di proteggere interessi vitali come la sicurezza di tutti da minacce letali quali il terrorismo. E tuttavia la scala delle intercettazioni patrocinate dalla NSA e dai suoi omologhi europei è tale da aver superato la soglia entro cui tali deroghe ed eccezioni allo stato di diritto sono tollerabili nel nome della resa di servizi di sicurezza efficienti.

E’ bene che su questa vicenda il dibattito sia franco, onesto e specifico su entrambe le sponde dell’Atlantico. E di conseguenza l’Europa dovrebbe rifuggire la tentazione di usare il Datagate come pretesto per insabbiare il trattato di libero scambio con gli Stati Uniti, che obiettivamente infastidisce una parte delle élites di governo a Bruxelles e Parigi, a cui piacerebbe interpretare la soggettività politica europea come sovranità protezionista anzichè come esercizio di successo di sovranità limitata dalla legge. Il mercato unico europeo e gli alti standard di tutela dei diritti umani raggiunti in Europa non sono che il frutto di ciò, di una costante erosione dell’area di franchigia del Potere Sovrano da parte della Legge, sia essa quella dei Trattati Istitutivi e del diritto derivato europeo, oppure la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani.

Gli Stati Uniti hanno bisogno di un buon argomento per rispettare l’Unione Europea come interlocutore di pari rango, o si finisce replicare lo schema del trattato di Mutua Assistenza Giudiziaria, attraverso cui l’UE importò norme statunitensi piuttosto che negoziarne di nuove, col risultato che quell’accordo non ha minimamente arginato l’interventismo dei servizi segreti americani tramite il Prism e l’Upstream. In quest’ottica, percorrere la scorciatoia del ricatto protezionista non farebbe che confermare i pregiudizi d’oltreoceano sulla natura inconcludente e socialisteggiante dell’Europa, lasciando immutato il quadro delle relazioni di forza nell’ambito del Datagate

É sulla comune tradizione di legalità, della Legge come presidio contro il pericolo di un male ingiusto, sia esso cagionato da Al Qaeda o dallo Stato, che vanno intavolati tutti i negoziati futuri tra i due blocchi, perchè è da lì che passa la differenza tra una democrazia e uno Stato di polizia. Se ha qualcosa da dire e insegnare agli Americani, l’Ue la dica e la insegni su questo.