A cosa serve la signora PESC?
Istituzioni ed economia
Dalla mezzanotte di domenica, con l'entrata in vigore del cessate il fuoco tra le truppe del presidente Petro Poroshenko e i separatisti filorussi, è stato compiuto il primo passo verso una tregua della guerra in Ucraina. L'accordo è quello faticosamente raggiunto mercoledì scorso a Minsk tra il presidente ucraino ed il leader russo Vladimir Putin, con la mediazione di Francia e Germania.
La road map di questa fragile intesa – che prevede, tra le altre cose, varie fasce di smilitarizzazione progressiva, ritiro delle forze straniere coinvolte, rilascio dei prigionieri e aiuti umanitari - certamente non porterà a una risoluzione definitiva del problema, ma potrebbe se non altro fungere da volano per disinnescare quella tensione interna all'Ucraina che avrebbe potuto, in prospettiva, causare un nuovo scontro tra Russia ed Occidente su un fronte continentale: la stessa Merkel, nella conferenza a margine del summit, nonostante abbia sottolineato quanto ancora ci sia da lavorare, ha parlato di "un barlume di speranza".
Eppure, al di là di come si evolverà la situazione, rimane l'amaro in bocca per l'ennesima occasione sprecata da parte dell'Unione Europea.
Se infatti Merkel e Hollande sono bene o male riusciti nel loro intento, resta l'interrogativo sul perché – in una vicenda che, volenti o nolenti, ci sta riguardando a livello comunitario – siano intervenuti i leader di due tra i più importanti paesi dell'Unione, ma non si sia spesa direttamente l'Europa tramite l'Alto Commissario per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza.
Questo ufficio – nato con il trattato di Amsterdam del 1999 e successivamente ridefinito dal trattato di Lisbona del 2010 – è attualmente ricoperto da Federica Mogherini, e nella descrizione dei suoi compiti risaltano le seguenti frasi: "Rappresenta l'Unione per le materie che rientrano nella politica estera e la sicurezza comune (PESC). Conduce, a nome dell'Unione, il dialogo politico con terzi ed esprime la posizione dell'Unione nelle organizzazioni internazionali e in seno alle conferenze internazionali".
Ora, sembrerebbe abbastanza ovvio che un tentativo di pacificazione di un conflitto che si sta svolgendo ai confini orientali della UE vedesse in prima linea una figura del genere; il fatto che invece essa non sia stata, almeno finora, presente ha lasciato parecchio perplessi, dando adito a illazioni sul fatto che chi ricopre questo ruolo non sia considerata come un interlocutore abbastanza autorevole dagli stessi paesi membri dell'Unione che dovrebbe rappresentare, e/o dai paesi terzi che con esso dovrebbero interagire.
Per la verità va ricordato che, durante il semestre italiano di presidenza del Consiglio UE, il premier Renzi si era dovuto spendere molto per sponsorizzare la candidatura di Federica Mogherini, che non era vista troppo di buon occhio dai paesi orientali dell'Unione in quanto considerata troppo inesperta ed eccessivamente vicina a Putin.
Resta comunque difficile credere che l'allora Ministro degli Esteri italiano avrebbe potuto ottenere la nomina senza la minima credibilità a livello internazionale e, soprattutto, senza l'appoggio dei Paesi forti (leggasi Francia e Germania) all'interno dell'Unione Europea.
Allora perché ci si ritrova a parlare così tanto di questa assenza?
La versione ufficiale è che Mogherini abbia rinunciato volontariamente alle luci della ribalta per operare, come un ottimo uomo-squadra, da dietro le quinte, lasciando a Merkel e Hollande il ruolo di "marcatori" - eventualità peraltro prevista dal già citato Trattato di Lisbona, che prevede la possibilità da parte dell'Alto Commissario di proporre speciali rappresentanti per problemi specifici.
Del resto, come ha ribadito la stessa "Lady PESC", per tentare di risolvere una situazione tanto complicata serviva un canale consolidato e che avesse già dato esiti positivi nei mesi precedenti, in modo da avere maggiori garanzie di arrivare a un risultato: se questo corrispondesse a realtà, tuttavia, è vero che da un lato esalterebbe un'encomiabile capacità di collaborazione da parte di Mogherini, ma dall'altro è quanto di più autolesionista a livello di immagine la UE potesse concepire in questo periodo.
Infatti, se l'Alto Commissario ha rivendicato il proprio ruolo in "un gioco di squadra che ha portato i suoi frutti", rimane comunque la percezione di un'Unione che – in un momento in cui i sentimenti antieuropeisti sono più forti che mai – non ha saputo giocare da protagonista, perdendo una buona opportunità per mostrare il proprio intento di perseguire una politica estera comune e dando l'impressione che siano gli stessi Stati membri a non credere all'idea di un'Europa più solida politicamente, oltre che economicamente.
Il messaggio arrivato ai più, infatti, è stato quello di una Germania che ancora una volta, con la Francia al traino, ha sfruttato la propria forza per prendere l'iniziativa e gestire questa delicata situazione, a discapito proprio dell'Unione Europea.
Un'assenza, insomma, che ha il sapore di una sconfitta non tanto per Mogherini o per chi l'ha voluta lì, quanto per una UE e per delle istituzioni incapaci di valorizzare un proprio rappresentante e di "monetizzare" al contempo l'immagine di una compattezza politica su cui sempre di più viene da dubitare.
Resta quindi da decidere il da farsi: o si prende atto del fatto che la figura dell'Alto Commissario per gli Affari Esteri viene percepita per lo più come atta a svolgere unicamente funzioni di facciata, considerando a quel punto anche l'idea di rinunciarvi, o la si ripensa come un vero Ministro degli Esteri dell'Unione con relative funzioni e poteri, consentendole di svolgere in prima persona il lavoro per cui è stata pensata.
Quest'ultima ipotesi sarebbe la più auspicabile e, se si realizzasse, darebbe un'iniezione di credibilità a un'Europa che troppo spesso resta immobile a guardare le occasioni che passano, facendo davvero poco per dimostrare ai propri detrattori di essere qualcosa in più di spread e vincoli di stabilità.
Ma prima di questo sarebbe forse più importante, all'interno dei Ventotto, una riflessione su quale politica estera europea vogliamo, e soprattutto se davvero la vogliamo.