Il referendum leghista sulle pensioni e l'eterno gioco dell'oca
Istituzioni ed economia
Se dovessimo scommettere, punteremo sulla non ammissione da parte della Corte Costituzionale del referendum sull'abrogazione della riforma pensionistica targata Fornero. Sarebbe però una scommessa influenzata dalle nostre convinzioni e opinioni, non necessariamente convergenti con lo spirito prevalente dei giudici costituzionali.
La Consulta dovrebbe esprimersi nella giornata di mercoledì, comunque entro questa settimana. Il dibattito pubblico è occupato da altre vicende, come la tragedia francese, e l'attenzione della politica è già concentrata sull'imminente elezione del prossimo Presidente della Repubblica. Ma un eventuale via libera al referendum cambierebbe il quadro in modo molto rilevante. E non è impossibile che anche una bocciatura del quesito referendario per mano della Consulta rianimi l'ampio e trasversale fronte di chi vuol allentare i parametri anagrafici per il pensionamento.
Nel gioco dell'oca della politica italiana, si torna spesso alla casella di partenza. E se mai la riforma Fornero venisse annacquata o smantellata, il rischio di tornare al punto da cui siamo partiti – una crisi del debito pubblico italiano – diverrebbe concreto. Senza la riforma Fornero, l'Italia rischierebbe ancora la bancarotta, come l'ha rischiata in quel drammatico autunno del 2011, mentre ora il sistema previdenziale ha ritrovato la via della sostenibilità per il futuro.
Come è scritto nel testo della petizione pubblicata "Difendiamo le pensioni future", lanciata da IDEA sul sito lanostraidea.it, le pensioni valevano nel 2011 circa il 32% della spesa pubblica totale, quasi il doppio della media europea (poco più del 17%) e molto di più di Germania e Francia (rispettivamente 23 e 24%). Grazie alla riforma del governo tecnico Monti, fino al 2050 la spesa pensionistica pubblica sarà stabile intorno al 15% del Pil (dati OCSE), mentre in assenza di provvedimenti essa sarebbe letteralmente esplosa, trascinando con sé lo Stato italiano.
Passata la paura e raffreddato lo spread, in quello scorcio di 2011 e di 2012, la riforma Fornero è diventata un capro espiatorio perfetto. Ogni nefandezza sembrava derivare e ogni problema essere causato da essa, a cominciare dalla crisi occupazionale italiana! Sulla vicenda degli esodati si sono sprecate demagogia e disonestà intellettuale: nei mille bar d'Italia sono apparsi d'un tratto milioni di italiani che già conoscevano la portata del fenomeno, su cui avevano scritto per anni libri e dotte analisi; ad un certo punto, potenziale "esodato" sembrava essere diventato qualunque disoccupato con più di cinquant'anni. A proposito: dal 2012 in poi, con diversi provvedimenti, lo Stato ha concesso deroghe alla quasi totalità dei cosiddetti esodati, peraltro ampliandone la platea in modo generoso; il problema, le cui dimensioni sono state accresciute ben oltre il dovuto, è stato insomma risolto.
E ora, vogliamo di nuovo tornare al punto di partenza? Più aumenta il peso delle pensioni sul Pil e sul totale della spesa sociale, più vengono sottratte risorse ad usi produttivi, anche sul fronte del welfare o degli incentivi alla crescita e al lavoro. L'insostenibilità sociale del sistema previdenziale è tutta a danno dei più giovani, che sono costretti a pagare contributi obbligatori altissimi, per finanziare i costi delle pensioni presenti, senza avere alcuna garanzia sulle prestazioni che riceveranno tra venti o trent'anni.
Quel referendum, se mai la Corte Costituzionale lo ammettesse, diverrebbe la madre di tutte le battaglie: quella tra chi vuol difendere le pensioni future e chi se ne fotte, in nome del facile consenso di oggi. Noi staremmo dalla parte del futuro.