Partite IVA e statali: due possibili verità politiche su Renzi e i partiti alleati
Istituzioni ed economia
Un provvedimento ad hoc per le partite IVA, annunciato da Matteo Renzi dopo che la Legge di Stabilità aveva massacrato il regime dei minimi. Un provvedimento ad hoc per gli statali, annunciato dal premier per redimere (senza affrontarla) la diatriba sull’applicazione delle nuove norme sul licenziamento previste dal Jobs Act. Non è dato sapere oggi se tali provvedimenti ad hoc ci saranno e quanto saranno efficaci e risolutivi. In un paese meno complicato dell’Italia, con una politica meno bizantina, qualcuno si potrebbe chiedere: ma che senso ha annunciare misure future, all’indomani di decisioni assunte che esplicitamente escludono o prevedono cose contrarie a quelle ad hoc auspicate?
Sulle partite IVA, che banalmente hanno bisogno di pagare meno tasse e di pagarle più facilmente, molti si sarebbero accontentati della sopravvivenza del vecchio regime dei minimi o di una sua espansione oltre il limite dei 30mila euro lordi di fatturato, anche se questo avesse significato un aumento dell’aliquota del 5%. Invece si è scelta la via contraria.
Sulla riforma dell’Articolo 18, si consuma una tremenda ambiguità: o le nuove regole sul licenziamento dei lavoratori sono considerate troppo severe per tutti (e allora non si capisce perché dovrebbero pagare solo i dipendenti privati) oppure le si considera positive e foriere di maggiore efficienza e produttività, nel qual caso non si comprende l’esclusione della PA da questo sforzo riformatore. Tertium non datur.
Volete sapere una possibile verità? Eccola: Renzi sta provando a tenere la botte piena e la moglie ubriaca. PD e sindacati provano fastidio per il regime dei minimi e ne vedono solo l’applicazione deteriore delle “false partite IVA” e non hanno molta sensibilità per il mondo dei free-lance. Idem sulla riforma del lavoro: la “privatizzazione” del pubblico impiego – ma dovremmo dire la fine del privilegio - è e resta un tabù per la sinistra, indipendentemente dall’anagrafe degli esponenti politici. Ma l’ubriacatura della moglie – cioè la concordia a sinistra - non si può conciliare con la botte piena, cioè con l’iniezione di libertà, efficienza, innovazione e competitività di cui ha profondamente bisogno l’Italia! Molto semplicemente, Renzi è a un bivio: o decide di rendere concreta nei provvedimenti di governo la visione modernizzatrice che ha indicato nella sua rapida cavalcata verso il governo o non lo fa, “normalizzando” il suo ruolo di segretario del PD, il solito PD.
Ma c’è un bivio anche, e direi soprattutto, per le forze parlamentari di maggioranza diverse dal PD. Vogliono essere mosche cocchiere o affermare la loro essenzialità, quanto meno numerica, per l’esistenza del governo Renzi? Un’altra possibile verità, che riguarda Scelta Civica, Nuovo Centro Destra e le altre componenti della maggioranza, è la seguente: nella partita a carte con Renzi, giocano senza molto in mano. A elezioni troppo anticipate non vogliono andare, perché rischiano di non avere un futuro. Quando provano ad alzare la voce, come Pietro Ichino sulla vicenda Jobs Act/statali, il racconto pubblico appare “intra-renziano”, tra renziani bianchi e renziani neri, e non tra partiti alleati che si confrontano. Matteo è consapevole di tutto questo e gongola.