Difficile chiamarli gufi, stavolta. Quelli che con una partita IVA si lamentano per le nuove norme sui regimi dei minimi, più che essere uccellacci del malaugurio per il governo, sono un po' sfigati loro.

Partite IVA grande

Già economicamente precari – per dire, chi guadagna parecchio del regime fiscale forfettario se ne frega – si trovano a fare i conti con una legge di stabilità che aggiunge difficoltà a difficoltà: una soglia massima di guadagni più bassa, una tassazione più alta, un'aliquota Inps che grida vendetta. E però non c'è solo questo.

Eh sì, c'è un però grandissimo e peggiorativo. Alcuni, almeno tra quelli convinti, per mistero della fede, di essere di sinistra, nella cassetta degli attrezzi, oltre a computer e telefonino, avevano anche una bella speranza: "Cambiamo tutto, sì, dai".

Loro, almeno nel mio caso e in parecchi che conosco, nella rottamazione ci credevano. Non tanto in quella delle persone, in fondo un po' spiacevole. Ma in quella dei metodi sì. Facciamola finita, spazio alla nostra generazione, eccheccavolo, adesso tocca a noi.

Insomma: i professionisti, convinti che la tredicesima sia un errore grammaticale, perché casomai esiste il tredicesimo (minuto di una partita), abituati a pensare alla malattia e alla maternità solo come fenomeni biologici e a non avere né chiedere garanzie, lontanissimi dalla logica del posto fisso, tutti pronti a vivere questo mondo nuovo e promettente, credevano di essere l'elettorato naturale di Renzi. Naturale! A grandi linee: la sinistra-sinistra ha i dipendenti e i pensionati, il centrodestra boh – anche perché non si capisce neanche bene quale centrodestra – e questo Pd le partite IVA. O no?

No. Anzi. Maddeché. L'eroe è l'imprenditore, sempre sia lodato, mentre il piccolo professionista al massimo può essere un comprimario del racconto renziano. E se un tempo questi sfigati della finanziaria – pardon, della Stabilità – alle manifestazioni andavano in gruppo, e se hanno persino convinto coetanei e parenti a votare - perché è importante, le battaglie dei nonni, i diritti conquistati, la coscienza civile! – ecco, oggi, quasi quasi, ci rinunciano.

La tessera elettorale diventa come le lastre del braccio rotto da ragazzini: buona giusto per aprire da fuori il portone quando la chiave è rimasta dentro. Quel foglietto plastificato finisce dal cassetto dell'ingresso, sempre a portata di mano che non si sa mai, a quello dei calzini spaiati.

Giù, in fondo in fondo, dove non batte il sole. O almeno: il sole del giorno, qualche volta, può anche darsi; quello dell'avvenire, con queste norme, meno che mai.