La frustrazione antieuropea e antitedesca che si aggira come un fantasma per il continente, accerchiandolo da destra e da sinistra, affida il proprio racconto alla mitologia economica del "si stava meglio quando si stava peggio", ma appoggia la propria strategia a un calcolo politico teoricamente razionale.

Crack Europa grande

Non sarà la fine dell'Euro e della "dittatura" di Bruxelles a consentire alle economie più deboli e periclitanti dell'Eurozona – e tantomeno a quella italiana – di riacquistare d'incanto l'antico (o mai esistito) vigore.

Al contrario, l'uscita dall'Euro aggraverebbe la gran parte delle asimmetrie economiche che nella stagione delle vacche grasse l'Euro aveva camuffato, e in quella delle vacche magre i guardiani del tran tran astrattamente rigorista hanno fatto conflagrare, lasciando di mala voglia alla BCE il compito di spegnere l'incendio sui debiti sovrani acceso dal deterioramento dei conti nazionali, ma proseguendo a imporre aggiustamenti fiscali indipendenti da qualunque visione macro-economica di parte e d'insieme – come se la malattia finanziaria dei bilanci non rispondesse alla malattia economica dei paesi, ma alla loro (peraltro ripetutamente dimostrata) inaffidabilità politica.

Quella sorta di omicidio-suicidio che dalla Grecia alla Spagna, passando per Francia e Italia, gli euroscettici minacciano a nome dei propri paesi potrebbe forse, più di molte ragioni logiche, ma politicamente evanescenti, persuadere i "ricchi" a non sfidare oltre la disperazione dei "poveri"? Potrebbe convincerli a cercare un compromesso, che permetterebbe di salvare l'Euro, il mercato comune e un simulacro di unità europea?

Il fuoco di sbarramento contro le tecnocrazie europee "schiave" di Berlino o contro la moneta comune serve quindi a incentivare la ricerca di un accordo? È possibile che qualcuno, ad esempio Tsipras, nel fronte euroscettico lo pensi, ed è possibile che lo pensino soprattutto quanti, a partire da Renzi e Hollande, immaginano di usare così la marea montante dell'euroscetticismo. Ma è difficile che questa strategia paghi.

Come ha spiegato bene ieri Mario Monti nel suo intervento al Senato, se salta la "tecnocrazia" europea che oggi cristallizza i rapporti di forza tra le potenze e le impotenze del continente, salta anche il freno all'effettivo e pieno dispiegarsi delle divisioni, che sono destinate comunque a premiare di più (o a danneggiare di meno) i "forti" rispetto ai "deboli".

Visto che tutte le possibili soluzioni ai problemi economici dei paesi recalcitranti alle regole dell'austerità – e massimamente di quelli dell'Europa mediterranea – passano dal rafforzamento della solidarietà e quindi di fatto dell'ingerenza europea, la minaccia dell'ognun per sé, che danneggia tutti, isola sì la Germania, ma abbandona alla deriva, con conseguenze ben più gravi, i paesi più fragili.

Minacciare l'uscita dall'Euro – o agitare tatticamente lo spauracchio di chi vuole l'uscita dall'Euro – non può essere un modo per ottenere una politica economica para-federale.

La scommessa e la sfida alla Germania dovrebbe passare da una provocazione uguale e contraria, cioè dalla richiesta di un potenziamento della politica economica e fiscale europea, che comporta però un ulteriore trasferimento di sovranità politica, non la virtuale riappropriazione di quella monetaria e di bilancio. Sarebbe una sfida abbastanza coerente con quello che dice, ad esempio, Schäuble.

La minaccia del big bang, invece, porterebbe a un risultato più simile a quello che ha, si fa per dire, guadagnato al suo Paese il grande beniamino degli anti-euro, Vladimir Putin.