L'Ucraina si prepara al voto del 26 ottobre per il rinnovo della Rada, il parlamento monocamerale, nel ben noto clima burrascoso ma con alcuni elementi oggettivi di speranza di stabilizzazione e con un risultato che, se verranno confermate le previsioni, confermerà la coalizione attualmente al governo.

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Dal voto uscirà, inoltre, il parlamento ucraino più filo-occidentale della storia: due movimenti filo-russi eredi del Partito delle Regioni dell'ex presidente Viktor Yanukovich dovrebbero superare di poco la soglia del 5%; resterebbero invece esclusi i due partiti accusati di "neofascismo", Svoboda e Pravy Sektor, pur molto diversi l'uno dall'altro. Mancherà dunque ai filo-russi, finalmente, l'alibi dell'Ucraina "fascista" per la presenza di esponenti di Svoboda nel governo.

Il presidente in carica, Petro Poroshenko, dovrebbe superare facilmente la prova elettorale del suo nuovo cartello, anche se con percentuali più basse di quelle che, il 25 maggio 2014, lo hanno portato – con oltre il 54% dei consensi – alla guida del Paese. Dalla sua parte vanta soprattutto la firma dell'accordo di associazione con l'Unione europea, poi ratificata da Strasburgo a settembre: l'atto che – mancato per l'improvvisa frenata dell'allora presidente Viktor Yanukovich – aveva scatenato la protesta a Maidan Nezalezhnosti e la sfiducia parlamentare contro lo stesso Yanukovich, frattanto resosi irreperibile (e ricomparso successivamente in Russia), non prima di un bagno di sangue in piazza che aveva sconvolto il mondo per la sua atrocità.

La vittoria annunciata del blocco governativo non sarà però del tutto indolore per il presidente, che negli ultimi tempi ha dovuto fare i conti con le posizioni del premier Arseni Yatseniuk, propenso a una politica militare più decisa e aggressiva contro i separatisti nelle regioni di Donetsk e Lugansk - dove la tregua in vigore da settembre praticamente non regge - nonché di un rapporto meno accondiscendente con Vladimir Putin, con cui invece Poroshenko cerca un accordo per una soluzione rapida del conflitto nel Donbass.

Le recenti, dure posizioni di Yatseniuk hanno finito col preoccupare anche l'Ue: il presidente del parlamento Schultz ha affermato, senza mezze misure, che alcune dichiarazioni del premier in carica "contribuiscono a destabilizzare l'Ucraina".

Poroshenko e Putin si sono sentiti e incontrati diverse volte, l'ultima a Milano durante l'Asem di ottobre, e proprio a Milano hanno raggiunto sostanziali accordi su alcuni elementi di fondo per risolvere la crisi nell'est ucraino: una trattativa alla pari sul prezzo del gas per l'inverno 2014/2015, un controllo rigoroso dei confini tra i due Paesi, elezioni locali nel Donbass secondo la legge elettorale ucraina, implementazione dell'accordo di Minsk che, tra l'altro, comprendeva maggior autonomia amministrativa per le regioni di Donetsk e Lubansk con il cessate il fuoco bilaterale. Accordi di massima che devono essere approfonditi dai tecnici e implementati, ma che hanno costituito passi avanti riconosciuti dall'intera comunità internazionale.

I progressi nel dialogo con la Russia sono senz'altro un successo personale del presidente in carica, ma rischiano di scontentare gli elettori filo-occidentali più intransigenti, che non solo devono accettare la perdita ormai consolidata della Crimea, ma ora anche un atteggiamento giudicato remissivo sul Donbass.

Nel blocco più fedelmente filo-occidentale si inserisce anche un nuovo soggetto politico, astro nascente soprattutto nell'ovest, ovvero Samopomich del sindaco di Lviv, Andriy Sadovyi, accreditato nei sondaggi dell'8% dei consensi. Si tratta di un movimento liberale che non candida nessun ex parlamentare e punta sul "saper fare" dei suoi esponenti, tutti dotati di curriculum eccellenti, e sul pragmatismo delle riforme.

Le riforme, appunto. Il banco di prova della nuova Ucraina post-Maidan è ancora un punto interrogativo, soprattutto per l'elettorato più impaziente. La nuova leadership ha compiuto importanti traguardi legislativi: il pacchetto di leggi anti-corruzione, la legge sulla "lustracija" (rinnovamento del potere) e altri ancora.

Il "popolo di Maidan" punta molto a queste innovazioni. La lustracija in particolare servirà a estromettere da cariche di potere - per dieci anni - chi ha ricoperto un incarico statale almeno per un anno dal 25 febbraio 2010 al 22 febbraio 2014 (si salva lo stesso Poroshenko, che fu ministro per dieci mesi nel 2012), ma anche chi era stato dirigente di partito nell'Ucraina sovietica o collaborato con il Kgb o i servizi segreti militari.

Funzionari e impiegati non dovranno quindi più appartenere né all'era sovietica né all'era di Yanukovich. Un' "epurazione" da molti ritenuta necessaria per rinnovare realmente il Paese e che riguarderà fino a un milione di persone, iniziando dagli alti gradi militari.

Le riforme sono state quindi nettamente avviate: per godere dei loro effetti, gli ucraini dovranno ora attenderne l'applicazione. Il Paese, però, non gode di ottima salute. Il Fmi valuta una contrazione dell'economia del 5% a fine 2014, contro un 4,6% stimato dalla banca centrale del Paese. L'inflazione stimata è tra il 17 e il 19% a fine 2014.

Di contro, l'Ue ha prorogato l'abolizione dei dazi e l'Ucraina, dopo avere iniziato massicce esportazioni di pollame verso l'Ue, si prepara ad esportare anche dolci, carne suina e altri generi alimentari.
L'instabilità militare del Donbass ha prodotto gravi conseguenze sulla produzione industriale, vero punto di forza delle regioni interessate dalla crisi. Poroshenko ha recentemente dichiarato che quasi la metà delle fabbriche delle regioni di Donetsk e Lubansk è bloccata. Difficile ottenere un riscontro preciso ma si può pensare che il dato non sia lontano dal vero.

In questo quadro, gli ucraini sapranno aspettare che le riforme si applichino? E il sistema di potere non solo politico ma soprattutto economico dell'ex presidente Yanukovich, soprannominato "il clan di Donetsk" con chiaro riferimento a un linguaggio di stampo mafioso, verrà eradicato come il popolo di Maidan chiede da dicembre 2013? E come?

Poroshenko risponde con una piattaforma programmatica che, attraverso l'armonizzazione del sistema giudiziario, fiscale e burocratico con quelli dell'Europa, dovrebbe portare il Paese tra i primi venti al mondo per tasso di sviluppo entro il 2020.

Se gli ucraini lo premieranno alle elezioni del 26 ottobre, significa che avranno conferito fiducia al suo ambizioso programma, ma soprattutto alla sua capacità (fin qui dimostrata) di tenere testa all'ingombrante vicino Vladimir Putin, apertamente nemico dei tentativi ucraini di affrancarsi completamente dalla sfera d'influenza russa, ma mai così isolato a livello internazionale.

Il clima collaborativo instauratosi durante l'Asem di Milano è un timido segnale favorevole alla distensione, ma è tutto da dimostrare che produca risultati risolutivi per stabilizzare le due regioni di Donetsk e Lugansk, dove tra l'altro il 26 ottobre non si voterà.

(Si ringraziano per la collaborazione Olga Magal e Elena Nazarenko)