L’odio è uno strumento essenziale della retorica del capro espiatorio: si individua un fantoccio su cui orientare, anche violentemente, il risentimento sociale, evitando di affrontare le responsabilità e i vincoli che la realtà impone. Un processo autoassolutorio e crudele di rimozione della realtà e di accumulazione del consenso, al quale bisogna reagire.

Falasca folla

Il tratto prevalente dell’attuale politica occidentale è la ricerca dei capri espiatori. Si cercano vittime sacrificali, cioè responsabilità “altrui”, per le proprie debolezze e incapacità, per i fallimenti e i limiti, per indisponibilità ad accettare la realtà. La narrazione di Donald Trump negli Stati Uniti, quella di Marine Le Pen in Francia, di Geert Wilders nei Paesi Bassi, di Grillo e Salvini in Italia, sono esempi perfetti di questo processo di rimozione della realtà, e della sostituzione degli obblighi che questa comporta con uno o più colpevoli verso i quali rivolgere l’odio di massa e a cui addebitare il conto delle frustrazioni sociali.

Ma la retorica del capro espiatorio – contrariamente a quanto vorrebbe far credere una certa stampa radical chic, indulgente con gli amici e severissima con i nemici – si insinua ben oltre il campo della “destra”. Tra la CGIL pronta a far spendere ai contribuenti italiani centinaia di milioni di euro per il referendum sui voucher e le buffonate di Salvini, scegliere non saprei. Tra l’ubriacatura anti-trivelle della scorsa primavera (con il suo campione Michele Emiliano) e la demagogia grillina su vitalizi e reddito di cittadinanza, che differenza c’è?

L’odio verso gli immigrati e la critica alla globalizzazione hanno la stessa traccia: il razzismo, più visibile quando c’è da urlare “negri a casa”, ma altrettanto radicato nei discorsi protezionisti che dimenticano che l’apertura dei mercati globali ha sì scosso le sicurezze del nostro piccolo mondo occidentale ma ha anche tirato fuori dalla povertà circa un miliardo di persone in 20 anni.

Il pensatore che più ha dedicato attenzioni al meccanismo del capro espiatorio, su quanto esso sia consustanziale alla natura e alla società umana, è stato il filosofo francese René Girard (sua l’opera “Le Bouc émissaire” del 1982). Attraverso studi antropologici e analisi di testi sacri, letteratura e miti del mondo, Girard racconta efficacemente come la folla - in preda alla violenza e al risentimento determinati dal diffondersi di un “desiderio mimetico” - non sappia far altro che individuare un colpevole determinato da distruggere, con l’illusione di riportare la quiete e l’equilibrio perduti. Tra tanti romanzi e testi sacri, secondo Girard, solo uno in particolare interrompe il circolo vizioso e “svela” l’innocenza del capro espiatorio: il Vangelo, che con il sacrificio e la resurrezione del Cristo racconta quanto fosse fallace l’individuazione del colpevole designato.

La distorsione della realtà, a fini autoassolutori. Gli immigrati illegali messicani non sono responsabili dell’aumento dei crimini negli Stati Uniti (un problema serio e concreto): anzi, dati alla mano, tendono a delinquere meno di chi è nato su suolo americano. Né questi immigrati rappresentano un peso per il sistema di welfare statunitense, perché pagano più tasse rispetto al valore dei benefici di cui usufruiscono.

In Europa non si può affrontare il problema dell’immigrazione e dei suoi evidenti rischi di destabilizzazione culturale senza mettere sul piatto della bilancia la nostra necessità di sopperire con nuovi cittadini all’invecchiamento della popolazione. E in Italia, per dirne un’altra, non si può affrontare una seria discussione sulle cause della scarsa crescita economica senza evidenziare le conseguenze delle troppe rendite di posizione godute da milioni di cittadini in termini di ridotta concorrenza nei servizi, eccessivi benefici pensionistici, assenza di merito e orientamento al risultato nella pubblica amministrazione o nel sistema giudiziario.

La potente riemersione di una domanda di capri espiatori in Europa e in Nord America impone ai difensori della società aperta occidentale la ricerca di argomenti per smascherare e ridicolizzare gli stereotipi, ma anche la costruzione di una narrativa più accattivante e attraente. Una narrativa che non scimmiotti e non conceda nulla agli “sgozzatori di capri”, che non neghi i problemi della società, ma che sappia riportare al centro del dibattito politico e culturale una visione positiva della storia e del progresso, una rinnovata fiducia nei valori di apertura, libertà, responsabilità, uguaglianza, tolleranza e pace.