Il Parlamento enciclopedico. Intervista a Giovanni Rizzoni
Istituzioni ed economia
E se i parlamenti non fossero solo arena della rappresentanza e luogo della decisione, ma anche uno snodo per la produzione e l’organizzazione della conoscenza? Disponibile per ora solo in lingua inglese, “Parliamentarism and Encyclopaedism: Parliamentary Democracy in an Age of Fragmentation” di Giovanni Rizzoni (Hart Publishing) propone una intrigante rilettura delle funzioni parlamentari incastonata in una ricostruzione storica di pregio che parte dall’Ottocento e attraversa le principali democrazie e i loro diversi contesti.
Già capo del Servizio Studi della Camera dei deputati, Rizzoni conduce il lettore in un viaggio, anche gnoseologico, che dischiude il valore cognitivo della rappresentanza parlamentare e le sue evoluzioni alla luce di altri e più macro cambiamenti, anche grazie a un ricercato parallelismo tra enciclopedismo e parlamentarismo, ambiti sempre più decentralizzati e multipolari.
Il prodotto odierno racconta di una ricchezza, a tratti sommersa, che non si sostanzia solo nel patrimonio delle biblioteche parlamentari, monumento all’apertura delle istituzioni e alla loro vocazione pedagogica, ma che trova forma quotidiana anche in report e dossier fruibili da tutti, parlamentari, addetti ai lavori e cittadini. Una ricchezza che è tratto distintivo rispetto agli esecutivi e che è chiamata a nuove sfide motrici di contaminazione, non solo interdisciplinare, per istituzioni capaci di mettersi in ascolto. Una ricchezza che continuerà ad affondare le proprie radici epistemologiche, reinterpretandole e rinnovandole, in “memoria, ragione e immaginazione” secondo i principi baconiani che hanno ispirato l’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert.
Approfondiamo in quest’intervista con l’autore alcuni spunti di riflessione dopo la lettura del libro.
Prima ancora che produttore di conoscenza, il Parlamento è forse il più trasparente punto di raccolta di informazioni, dati ed elementi conoscitivi utili non solo al processo deliberativo. Momenti come la trasmissione di relazioni e rapporti, lo svolgimento di audizioni e indagini, alimentano un flusso conoscitivo forse sottovalutato che a volte costituisce una prova di accountability. Come valorizzare questa “conoscenza all’ingresso”?
Effettivamente è enorme la mole di dati e documenti che ogni giorno vengono trasmessi alle Camere dalle più diverse fonti. Per fare un solo esempio, si possono ricordare le relazioni della Corte dei conti sugli enti sovvenzionati dallo Stato, una categoria di documenti contenenti informazioni molto dettagliate e a volte di grande interesse: solo in questa legislatura ne sono stati tramessi alle Camere oltre 270. Pur venendo immediatamente resi pubblici nei siti parlamentari, il loro contenuto non sempre è tuttavia facilmente accessibile, anche considerata la complessità delle questioni in essi affrontate.
Come fare dunque per rendere concretamente fruibili ai parlamentari e ai cittadini queste preziose fonti di informazione? I media potrebbero ovviamente dare un importante contribuito in questo senso, cercando di sfruttare meglio questa vera e propria ‘miniera d’oro’ di informazioni e notizie ricavabili dalla consultazione dei siti parlamentari.
Concorrono a perseguire la medesima finalità i servizi di documentazione delle due Camere, il cui lavoro si concentra in gran parte proprio nel segnalare e rendere fruibili molti dei documenti che arrivano alle Camere. Penso ad esempio alle note di sintesi che regolarmente informano sul contenuto delle sentenze della Corte costituzionale alle quali dare eventualmente un seguito parlamentare.
La quantità dei documenti trasmessi alle Camere è del resto destinata ad aumentare, rendendo sempre più complesso il lavoro per facilitarne l‘accessibilità. Un aiuto in questo senso può venire da applicazioni di Intelligenza artificiale capaci di analizzare e sintetizzare in modo attendibile il contenuto di vasti insiemi di dati. A questo proposito, interessanti esperimenti sono in corso in molti parlamenti, compreso il nostro.
Nella sua analisi, gruppi parlamentari e commissioni permanenti sono stati attori decisivi nella svolta dell’enciclopedismo parlamentare del Novecento. Quale è il modello risultante dall’evoluzione dell’Ottocento? Quanto questi attori condizionano ancora oggi il modello attuale?
Nel mio volume cerco di descrivere il passaggio dal modello di parlamentarismo ottocentesco a quello che si è venuto ad imporre nel XX secolo. Il primo tipo si caratterizza per un debole grado di strutturazione istituzionale e per la prevalenza del ruolo dei singoli parlamentari, spesso notabili appartenenti a ristrette élite locali che si dividono fra l’impegno ‘part time’ nelle aule parlamentari e l’attività politica e professionale nei collegi di elezione. Naturalmente, un fattore decisivo alla base di questo tipo di parlamentarismo è rappresentato dalle forti limitazioni al diritto di voto che di fatto restringevano a piccole minoranze la partecipazione alla vita politica nazionale.
Con l’allargamento del suffragio e il graduale passaggio ad una democrazia basata sui partiti di massa i parlamenti cambiano decisamente pelle. La classe parlamentare viene ad essere formata da politici di professione che sono tali in un duplice senso: da un lato, sono soggetti che, come osservò Max Weber, non solo vivono per la politica, ma di politica, nel senso di trovare nell’attività politica la loro principale, se non esclusiva, occupazione nonché fonte di sostentamento; dall’altro, questi nuovi politici si specializzano in determinati settori dell’intervento pubblico anche sulla base del loro cursus honorum all’interno dei partiti di appartenenza e delle istituzioni rappresentative.
Questi mutamenti trovano riscontro in molti dei parlamenti dell’Europa continentale con l’istituzione dei gruppi parlamentari e delle commissioni permanenti. Strutture che appunto permettono di distribuire gli eletti sulla base dei partiti politici di appartenenza e dell’assegnazione ad una commissione competente su un determinato settore di intervento pubblico.
Questa doppia griglia è quella che ancora attualmente costituisce l’ossatura fondamentale dei parlamenti moderni. Si tratta tuttavia di un’articolazione che mostra ormai evidenti segni di crisi. I partiti non sono infatti più macchine organizzative radicate nel territorio e fortemente disciplinate sulla base di un certo orientamento ideologico. Risulta quindi inevitabile che la loro coesione interna anche sul piano dei gruppi parlamentari si sia fortemente indebolita (manifestandosi ad esempio nei fenomeni del c.d. ‘transfugismo’ e della declinante disciplina di voto rispetto alle indicazioni della leadership politica).
D’altra parte, le commissioni permanenti, tradizionalmente sagomate sulle competenze dei ministeri, faticano sempre di più a seguire con efficacia le grandi questioni trasversali sulle quali si articolano oggi le maggiori politiche pubbliche (si pensi ad esempio alle principali finalità del Piano di ripresa e resilienza: transizione energetica, transizione digitale, coesione territoriale ecc.).
Emerge quindi la necessità di ripensare queste strutture in modo da rendere l’istituzione parlamentare più capace di rispondere alle esigenze di rappresentanza espresse dalla società contemporanea. Alcune interessanti sperimentazioni stanno emergendo. Ad esempio, la formazione di ‘intergruppi’ di parlamentari appartenenti a diversi partiti, ma accomunati dall’interesse per particolari questioni, quali la sanità pubblica o la gestione delle risorse idriche. Sul lato delle commissioni, alcuni parlamenti hanno dato vita a ‘commissioni per il futuro’ con il compito di elaborare scenari e prospettive di medio e lungo termine sui grandi mutamenti destinati ad investire le nostre società (cambiamento climatico, transizione demografica, innovazione tecnologica).
Conoscenza specializzata e frammentata da un lato, meccanismi cognitivi di fruizione erranti e orientati alla velocità dall’altro portano a un modello Wikipedia che sa molto di democratizzazione. Come evitare il rischio della semplificazione? E poi come conciliare intelligenza collettiva e gerarchia del sapere?
Viviamo in un’epoca segnata da un’enorme frammentazione del sapere. Un fenomeno che può costituire un rischio, anche sul piano democratico. L’altissima quantità di informazioni alle quale siamo quotidianamente esposti rende estremamente difficile la ricerca di un significato, l’individuazione di una rotta che ci consenta la navigazione in questo mare sconfinato.
Non possiamo delegare interamente questi compiti ai motori di ricerca o alle applicazioni di intelligenza artificiale. Anche perché una delle possibili tendenze è quella di rinchiuderci nelle c.d ‘echo chambers’, sorta di gabbie digitali nelle quali incontriamo solo le opinioni di chi condivide i nostri stessi orientamenti o pregiudizi. Per le democrazie è invece fondamentale che i cittadini possano avere accesso alla più ampia varietà di opinioni possibili, in uno spazio di confronto pluralistico e aperto.
Sostengo che i parlamenti possono dare ancora oggi un contributo cruciale nella costruzione e manutenzione di questa sfera di dibattito pubblico. Per continuare a fare ciò, la tradizionale ‘enciclopedia parlamentare’ deve tuttavia aprirsi a nuovi moduli. È necessario abbandonare il modello ‘chiuso’ della rappresentanza circolare a autosufficiente di stampo ancora ottocentesco per abbracciare forme partecipative e aperte. Vedo un possibile modello in questo senso nel successo di Wikipedia come enciclopedia in continua espansione in quanto basata sul contributo diffuso degli utenti e tuttavia in grado di offrire uno strumento di reference spesso più completo e aggiornato rispetto a quello delle tradizionali enciclopedie.
I parlamenti devono a mio parere farsi un po’ ‘wikipediani’, nel senso di abbandonare la presunzione assoluta di rappresentanza alle origini del parlamentarismo moderno per dare vita a canali di partecipazione dei cittadini in una logica di integrazione con le tradizionali forme istituzionali. Anche in questo campo sono in corso positive sperimentazioni che coinvolgono parlamenti di lunga tradizione storica come quello britannico. È in questa direzione che a mio avviso sarebbe necessario pensare all’innovazione istituzionale anche nel nostro paese.
L’enciclopedismo parlamentare si è sempre caratterizzato per la sua funzione didattica e didascalica, ma al tempo stesso, come lei afferma, è incompatibile con l’illusoria depoliticizzazione del conflitto sociale. In un luogo di partisanship e mediazione, come produrre conoscenza non di parte?
Nell’ambito delle istituzioni parlamentari, il compito di produrre informazioni non di parte è tipicamente svolto dalle amministrazioni dei parlamenti, in particolare dai servizi di documentazione che ho già prima menzionato e che hanno appunto la missione di offrire a tutte le parti politiche, di maggioranza e di opposizione, elementi di conoscenza oggettivi sui contenuti dell’attività delle Camere. È questo il vero valore aggiunto di tale documentazione ed è la ragione per la quale essa trova un crescente numero di utenti, non solo fra i parlamentari ma anche fra i cittadini attraverso l’accesso ai siti internet delle Camere.
Ovviamente la perdurante valenza ‘pedagogica’ dei parlamenti non si esaurisce in questo. La sua essenza non si esprime nella depoliticizzazione del conflitto, ma, al contrario, nel rendere quanto più visibili e pubbliche le ragioni del contrasto fra le diverse forze politiche. Questa dinamica conflittuale non è una patologia, ma è il sale stesso della democrazia. Farla emergere in modo comprensibile e strutturato agli occhi dei cittadini, come fanno le procedure parlamentari, è tuttora il contributo più prezioso e insostituibile offerto dalle Assemblee elettive al buon funzionamento delle nostre democrazie. L’alternativa è una semplificazione per via autoritaria della complessità del pluralismo politico e sociale.