centro grande

Perché il “centro” perde le elezioni e non riesce a trovare un posizionamento politico? In Italia e all’estero destra e sinistra trasmettono messaggi semplici che connotano una “visione del mondo” e fanno appello ad un sistema di valori che trascende l’azione politica specifica: identità nazionale da un lato; giustizia sociale - oggi declinata in vari modi: giustizia sociale e ecologica, fondata sulla diversità, equità e inclusione - dall’altro. Tali sistemi di credenze funzionano e sono efficaci proprio perché offrono riferimenti in assenza dei quali c’è alienazione e smarrimento emotivo e psicologico. Effetto tribù: chi nasce o viene educato di destra o di sinistra, lo rimane per tutta la vita, e difficilmente cambia campo, anche se i propri politici si mostrano incapaci.

Il “centro” non fa appello a nessuna visione del mondo, tende invece a definirsi a seconda delle opportunità tattiche ed elettorali del momento, cercando affinità ideologiche di comodo, a seconda della stagione politica - e del sistema elettorale - con la destra o la sinistra. Ecco che il centro diventa facilmente partito del pragmatismo tattico istituzionalizzato, funzionale alla ricerca e alla conservazione di incarichi politici da parte dei suoi esponenti. La storia italiana conta una lunga lista di inaffondabili professionisti della politica “centristi”, pur di varia estrazione partitica e ideologica giovanile. Persone “competenti”, “moderate” e “ragionevoli” e che hanno servito in posizioni anche di alto livello, nel governo Italiano o nelle istituzioni europee, pur avendo ricevuto appena qualche manciata di voti. Brillanti carriere a suon di legislature e di incarichi, ma per cosa verranno ricordati?

Difficile attribuire dunque i recenti fallimenti elettorali - e in particolare l’ultima tornata alle elezioni europee - solo alle vicende di ostilità o incompatibilità personale tra leader e compagini politiche della “galassia” di centro. Nelle loro schermaglie di posizionamento, è facile invece individuare un elemento di fondo che tutti accomuna: l'assenza di ideali chiari per cui battersi, e una cultura politica evoluta non in funzione dell’aggregazione intorno a valori e riferimenti concettuali, ma del “pragmatico” e machiavellico obiettivo di massimizzare qualche possibilità di accaparrarsi posizioni e cariche, attraverso la partecipazione a coalizioni o cartelli elettorali di scopo. In uno scenario che evolve sempre più in contrapposizione tra corazzate ideologiche, questo “centro” assomiglia sempre più a una scialuppa di legno piena di comandanti di ventura in cerca di un ingaggio, che tuttavia rischia di rimanere schiacciata tra gli scafi, senza che questi neanche se ne accorgano.

Eppure un’idea forte e immediata da contrapporre al nazionalismo identitario della destra e all’ideologia della giustizia sociale e ambientale della sinistra ci sarebbe: la libertà. Nel libro “la via della schiavitù” F. Von Hayek esaminò le circostanze ideologiche, istituzionali ed economiche che legittimano l’asservimento di comunità intere al potere arbitrario di élite ristette di persone, in nome di una qualche ideologia della verità e della purificazione sociale. La libertà individuale - di pensiero, di scelta, di ricerca e di impresa, e le responsabilità che ne conseguono - per contro, andava intesa a detta di Hayek e degli altri fondatori del liberalismo moderno, come una condizione improbabile e artificiale, resa disponibile agli individui grazie a complesse tecnologie istituzionali, economiche e giuridiche: lo stato di diritto costituzionale, i contrappesi tra poteri, il libero mercato, la democrazia elettiva. Questa idea di libertà assume un significato tanto più urgente ed efficace come progetto alternativo e di contrasto alle sirene illiberali, sempre più persuasive, a destra e a sinistra.

Destra e sinistra sono seducenti perché offrono certezze di pensiero e liberano l’individuo dall’ansia esistenziale della decisione e della connessa possibilità di errore: danno significato alla vita, fanno sentire nel giusto e creano spirito di appartenenza, annullando le differenze individuali. Sono ideologie “platoniche” che vagheggiano società perfette e che implicano una concezione complottista della realtà: una volta stabilito l’ideale di comunità, qualsiasi problema dipenderà da un “nemico”, da individuare e neutralizzare. Cosa ci può essere di più entusiasmante che partecipare (a destra) alla difesa della Nazione - o ancor più odiosamente, della razza - dai “nemici esterni”, che siano persone (gli immigrati) cose (le merci “straniere”) o attività (le aziende straniere)? A sinistra: alla liberazione della società dalle ingiustizie politiche, economiche, ambientali, di genere (perfino linguistiche) perpetrate da sistemi di potere votati allo sfruttamento economico (il capitalismo) o politico (gli Stati Uniti, l’Occidente colonialista, il patriarcato, o vattelappesca)?

Una forza politica “terza” né di destra né di sinistra dovrebbe lasciar perdere le dichiarazioni sulla propria presunta superiore competenza tecnica - economica, giuridica o altro - o gli opportunismi sul posizionamento tattico politico “al centro”, e porsi come obiettivo primario denunciare e contrastare la natura illiberale e oppressiva di queste ideologie, e i loro effetti deresponsabilizzanti e disumanizzanti: esse avranno tanto più successo quanto più riusciranno a far agire le persone “per partito preso” - rimandando quindi la responsabilità a principi e prescrizioni superiori - e non in base alla propria fallibile valutazione delle conseguenze delle proprie azioni, cioè al senso di responsabilità personale.

In breve una forza politica alternativa alla polarizzazione tra destra e sinistra dovrebbe farsi carico dell’obiettivo della difesa della libertà. Ma lavorare su questa proposta implicherebbe abbandonare le logiche di opportunismo politico e i comodi alibi della “politica sangue e merda” che costituiscono il dna profondo dei partiti di “centro liberale”, e esporsi e rischiare e battersi politicamente per affermare un’idea.