sole tra i rami grande

Partito unico o partito nuovo? Si tratta di un falso problema? Questione di lana caprina? Io non lo credo. Nelle settimane scorse, proprio sulle pagine di Stradeonline, ma anche de Linkiesta, ho posto la questione: l’esperienza del terzo polo può davvero essere proficuamente messa a frutto, senza scavalcare gli steccati dei partiti oggi federati, Italia Viva e Azione? No, non é possibile.

Questa visione si é progressivamente fatta strada. LDE, l’associazione politica nata su iniziativa di Giannino, Benedetto, Gozi e De Nicola, ha scelto di fare sua l’idea del partito nuovo e ha proposto una card piuttosto eloquente: Non serve un partito “unico”, federato o aggregato. Serve un partito nuovo.

L’idea sembra fare breccia anche in altre forze. Nella nota al termine di un incontro fra Renzi e i parlamentari di Italia Viva, si legge fra l’altro che il partito del terzo polo deve nascere attraverso un “percorso democratico dal basso”, che “deve essere condiviso dal più alto numero di realtà politiche esterne alla Federazione”, che presuppone “un grande sforzo di elaborazione politica e culturale”, per poter contare su “un impianto culturale rigoroso”.

Bene, molto bene. Quindi é tutto ok? Ne dubito. Ne dubito perché non sono affatto certo che ci sia piena consapevolezza della differenza fra i due possibili percorsi. Il processo necessario per unire due partiti esistenti , ha nulla a che vedere col processo necessario per generarne uno nuovo.

Il processo necessario per arrivare al “partito unico” é semplice, piuttosto rapido e si fonda sostanzialmente sulla negoziazione fra le parti in causa. Negoziare il partito unico corrisponde a generare un partito nuovo? No. Eppure l’equivoco é dietro l’angolo, la buccia di banana é ben disposta sul terreno. Così la tentazione consiste nel pensare che la negoziazione sul piano nazionale possa corrispondere a una “elaborazione politica e culturale”, che la negoziazione sul piano locale possa corrispondere a un “processo democratico dal basso” e che l’accordo prodotto dal compromesso possa corrispondere a un “impianto culturale rigoroso”. Questa nefasta scorciatoia potrebbe prevedere di rinnovare il maquillage coinvolgendo nella negoziazione anche forze oggi “esterne” come Più Europa e la già citata LDE e assicurando loro uno spazio. Grazie a una “terza gamba”, si avrebbe, finalmente, il partito nuovo? No, si avrebbe un partito comunque nato vecchio, ma un po’ più litigioso.

Il processo volto a generare un partito davvero nuovo é del tutto diverso. In questo caso, bisogna partire da un “foglio bianco”, non solo per quanto attiene i contenuti, anche per quanto attiene le strutture gerarchiche, nazionali e locali dei due partiti oggi federati. Bisogna coinvolgere il maggior numero di persone possibile, cosa che la tecnologia consente con uno sforzo probabilmente sostenibile. Bisogna prevedere una modalità grazie alla quale chiunque possa dare il suo contributo ideale, ma per farlo debba prodursi in uno sforzo elaborativo e comunicativo. Insomma, non serve scimmiottare i social, bisogna invece prevedere modalità grazie alle quali i contributi siano selezionati alla fonte.

Certo, poi bisognerà elaborare una “sintesi su un piano più alto” dei contributi derivanti da questa sorta di macro-Ted. Da questo lavoro potrà derivare il manifesto del partito nuovo, cornice entro la quale muoversi, bussola nella definizione delle strategie politiche e organizzative e si potrà celebrare un grande congresso fondativo e dare vita a un partito davvero nuovo guidato, se possibile, da volti nuovi.

Partito unico e partito nuovo rappresentano dunque scelte diverse che implicano processi diversi e risultati diversi. Se si scegliesse la via del partito unico, ma lo si chiamasse partito nuovo, si assisterebbe alla nascita di un partito nuovo nato vecchissimo.