barcone grande

L’antivigilia di Natale Meloni è volata in Iraq per festeggiare la ricorrenza con i contingenti militari italiani di stanza nel Paese e per incontrare il premier iracheno Mohamed Shia al Sudani, nonché quello della regione autonoma del Kurdistan iracheno Masrour Barzani, a cui ha ribadito l’impegno dell’Italia nella coalizione anti-Daesh.

Il giorno prima di partire per l’Iraq Meloni era passata dal salotto di Vespa e a Porta a Porta aveva riassunto le posizioni e le prospettive della sua strategia di Governo, ribadendo la linea dura sul tema dei richiedenti asilo: “Quelli che accogliamo noi sono banalmente quelli che hanno i soldi da dare agli scafisti. Io non credo che questo sia un modo intelligente di gestire l'immigrazione”.

Attenta, appena arrivata a Palazzo Chigi, a distinguersi per serietà da Salvini, Meloni in questo caso ha invece utilizzato un topos caratteristico della propaganda leghista, che descrive l’afflusso di immigrati e profughi verso l’Europa come una invasione programmata e le folle di diseredati che si ammassano alle frontiere europee come delle persone che “hanno i soldi” e che quindi piangono fintamente miseria, per dissimulare i propri veri propositi di occupazione politica e di parassitismo sociale.

Niente di nuovo, del resto, per Meloni, che aveva in passato sostenuto, all’unisono con Salvini, la teoria del complotto razzista della “sostituzione etnica”, non come semplice risultante della modifica degli equilibri demografici dell’Italia e dell’Europa, ma come disegno organizzato di destrutturazione politica e civile della società italiana e europea.

La moderazione e l’istituzionalizzazione del profilo meloniano non riguarda dunque il tema migratorio. Non è casuale: l’identità etno-nazionalista del sovranismo italiano, costretto di malavoglia ad allinearsi, per motivi economici e strategici, all’asse euro-atlantico, trova proprio sull’immigrazione una espressione più libera e meno costretta da vincoli e compatibilità internazionali.

Non potendo più puntare il mirino contro l’euro, contro l’Ue e contro l’America liberal – come usava fare fino a che alla Casa Bianca c’era Trump e Putin era un alleato imprescindibile contro la cultura relativista – la destra sovranista ha un solo nemico di cui può tuttora parlare liberamente male, senza rischiare niente: gli immigrati, gli africani, gli invasori. E può farlo come al solito, senza trattenersi dal vellicare il pregiudizio, confortare la maldicenza, suffragare la menzogna della “ricchezza” di questi finti poveri che vogliono sbarcare sulle nostre coste.

In realtà, a smentire tutto quello che Meloni ha detto il giorno 22 da Vespa basterebbe quel che ha fatto il giorno 23 a Bagdad e Erbil, andando in uno dei tanti fronti di guerra permanente che circondano i confini europei e che disseminano lungo le rotte di ingresso in Europa, per terra e per mare, le centinaia di migliaia di disperati che arrivano ogni anno nell’Ue.

Il 40% dei circa 630.000 extracomunitari che nel 2021 hanno presentato domanda di asilo in un Paese Ue erano siriani, afghani e iracheni. La mappa della presunta “invasione” è approssimativamente la mappa della guerra che circonda l’Europa, infatti a questi profughi extra-europei si sono aggiunti nel 2022 milioni di profughi europei, dall’Ucraina vittima della macelleria putiniana.

Non è bastato il clima natalizio a disarmare l’etnicismo anti-migratorio di Meloni, né avrebbe potuto, perché su questa materia da sempre incandescente dei rapporti con gli “stranieri”, non si confrontano buoni e cattivi sentimenti, ma idee politiche radicalmente alternative, visioni di fondo della società e della sua organizzazione economica e sociale.

L’etnicismo, che è separato dal razzismo da un diverso grado di intensità, non da una diversa natura, non è una affezione psicologica, ma un’ideologia politica. La stessa che portò nel 1938 praticamente tutti gli stati del mondo riuniti nella Conferenza di Evian ad affrontare elusivamente le richieste di emigrazione dalla Germania e dall’Austria di alcune centinaia di migliaia di ebrei e a concludere che nei rispettivi territori per loro non c’era posto. Non che fossero troppi. Il fatto è che erano ebrei e accoglierli avrebbe significato, al di là del numero, importare un problema razziale. Poi era tutta gente, per dirla con Meloni, che aveva i soldi da dare agli scafisti per lasciarsi alle spalle l’inferno.