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La questione dell’immediata apertura del processo di adesione dell’Ucraina all’Ue in Italia è finita in una discussione tipicamente italiana, cioè in un labirinto di sofismi, mezze verità e ipocrisie costruito con l’obiettivo esplicito di rendere la questione incomprensibile o inaccettabile da parte di un’opinione pubblica impaurita dalle bombe della guerra e confuse da quelle della propaganda.

Ricapitoliamo i fatti. Il presidente ucraino Zelensky non ha chiesto che l’Ucraina entri oggi a far parte dell’Ue. Ha chiesto che venga subito riconosciuta la sua candidatura all’adesione in base all’art. 49 del TUE https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:12016M049&from=IT (Trattato sull’Unione Europea). Poi partirebbe il negoziato di adesione, con l'adeguamento dell'assetto giuridico-istituzionale del paese candidato agli standard dell'Ue. Si tratta di due cose del tutto diverse, che possono essere confuse da un "addetto ai lavori" solo se il suo obiettivo è di nascondere qualcosa di meno confessabile dietro questa voluta confusione.

Perché Zelensky chiede che l'Ucraina sia riconosciuta subito come candidata all'adesione? In sintesi, per due ragioni.

La prima è il riconoscimento del fatto che la rottura tra l’Ucraina e la Russia, nel 2014, cui è seguita l’annessione della Crimea e l’occupazione di una parte del Donbass, è avvenuta sulla scelta di ancorare lo sviluppo politico e economico ucraino all’Unione europea e non alla Russia. È stata una scelta di campo costosa per gli ucraini e anche per gli europei, che però ha cambiato oggettivamente, al di là di quello che i singoli stati membri vi vogliano o non vi vogliano vedere, le coordinate strategiche, in cui l’Ue oggi è costretta ad operare.

Anche la guerra in corso è un effetto di quel mutamento di scenario, ma non nel senso che la scelta europea dell’Ucraina è stata una “provocazione” verso la Russia, ma che qualunque aspirazione alla libertà politica e all’emancipazione del protettorato di Mosca è incompatibile con i disegni neo-imperiali del Cremlino nei confini dello spazio post-sovietico e anche oltre (Finlandia, Svezia).

La seconda ragione rimanda a una considerazione di opportunità. L’Ucraina ha messo in conto che né la Nato, né i paesi europei interverranno militarmente per difendere quaranta milioni di ucraini dall’aggressione di Putin. Tutta l’assistenza che chiede, anzi che doverosamente esige, è la fornitura di armi e l’isolamento economico della Russia.

L’avvio delle procedure di adesione dell’Ucraina all’Ue è la garanzia, certamente relativa, ma molto più solida delle semplici promesse, che comunque si metta questa guerra – che Zelensky muoia o sopravviva, che le principali città ucraine siano prese o resistano – gli stati Ue non molleranno la presa sul Cremlino e non torneranno alla routine dello status quo ante, anche se l’Ucraina diventasse una enorme Cecenia o un'altra Siria.

Visto che alla dirigenza ucraina non sfugge che questo è uno scenario altamente probabile, il loro interesse è che la “ferita” che la tragedia ucraina rappresenta nella coscienza e nel corpo del continente europeo non venga ricucita secondo i vecchi metodi, ma che rimanga aperta, e che continui l’isolamento di Mosca. In questo Zelensky è patriotticamente e realisticamente più europeista di molti politici degli stati fondatori. Vede benissimo che lo status quo ante non è possibile, che Putin o vince o cade, e che se vince o non cade tutta l’Europa è in pericolo.

La tesi secondo la quale il riconoscimento dello status di candidato all’adesione precipiterebbe formalmente l’Ue nella guerra di Putin è letteralmente risibile. La Turchia è candidata all’adesione dal 1999 e i negoziati si sono di fatto interrotti dopo la deriva autocratica del regime di Erdogan, ma l’Ue non è stata neppure sfiorata da tutte le operazioni belliche intraprese in questi ventidue anni dal presidente turco.

Dal punto di vista negoziale, inoltre, rispetto alla Russia il congelamento del dossier Nato è molto più rilevante del congelamento di quello Ue e soprattutto le sanzioni economiche e la fornitura di armi a Kyiv è considerato – ed oggettivamente è – assai più “bellico” dell’avvio di una procedura di adesione.

Chi oggi implicitamente o esplicitamente si oppone all’avvio del processo di adesione dell’Ucraina non vuole evitare che l’Europa “entri in guerra”, ma che l’Ue assuma impegni di lungo periodo a tenere una posizione ferma e non negoziabile sulla libertà dell’Ucraina, anche in caso di occupazione russa. Visto che quello che aspetta l’Europa (milioni di profughi, un contraccolpo sulle economie nazionali e un senso diffuso di incertezza) è destinato a prevalere emotivamente sulle immagini della guerra e dei massacri e a orientare le reazioni spontanee dell’opinione pubblica, l’impressione è che i partiti italiani (e molti altri partiti europei) non vedano l’ora di tornare al business as usual con Mosca e soprattutto che ritengano questo scenario possibile e auspicabile.

Il muro di gomma opposto dall’Italia alla richiesta di Zelensky assume poi aspetti grotteschi tipicamente italiani, come è avvenuto al Parlamento europeo, dove - presente Zelensky collegato dal suo bunker di Kyiv - tutti i partiti hanno formalmente votato a favore della risoluzione approvata a grande maggioranza, che chiede esattamente ciò verso cui gli stessi partiti in patria si dichiarano scettici o contrari.