Mattarella1 grande

In Italia non solo la linea più breve tra due punti, ma anche il modo preferito per rimanere nello stesso punto, è comunque l'arabesco.

Lo conferma la partita quirinalizia, dove la soluzione d’emergenza più scontata e coerente con uno stato di emergenza permanente – economico, politico e pandemico – anziché imporsi dall’inizio come scelta obbligata e ampiamente preferibile a ogni salto nel buio, è sbucata al termine di giornate di epilettico nullismo politico-istituzionale, dove entrambi i fronti del bipolarismo italiano hanno palesato fratture irrimediabili, incerottate alla meglio da retoriche unitariste, che non hanno retto alla prova dei fatti.

Di tutti i partiti a uscire intero da questa settimana di convulsioni istituzionali è stato solo uno, quello che sta all’opposizione del Governo, cioè FdI. Le due coalizioni di centro-destra e centro-sinistra hanno alternato la guerra interna e la guerra esterna, in genere menando fendenti a casaccio. Il bipolarismo che in Italia continua a essere presentato come la garanzia della democrazia decidente ha dispiegato tutta la sua potenza auto ed etero-paralizzante, senza tirare fuori un ragno dal buco. L’unica coalizione che esce intera, anche se malconcia, dal Conclave dei grandi elettori è quella di governo, ma come è noto non è una vera coalizione, bensì una piattaforma di sostegno parlamentare di un Governo nato a causa e al di fuori dei deliri e dei deliqui del Parlamento, nella disgraziata legislatura del trionfo populo-sovranista.

Si potrebbero fare varie considerazioni di stile e di sostanza su questo eterno ritorno dell’identico, sull’emergenza come regola, sul bis presidenziale come soluzione aborrita dagli stessi presidenti e poi accettata o subita per carità di patria. In circostanze normali si potrebbe anche eccepire che i no tetragoni di Mattarella al reincarico, conditi da un forbito latinorum dottrinario, si sono troppo agevolmente trasformati in un sì per essere davvero apprezzati come convinzioni di diritto e non come espedienti per una manovra politica abbastanza scoperta, la staffetta con Draghi al Quirinale.

Si potrebbero fare tante considerazioni, se non se ne dovesse fare una che precede e annulla tutte le altre: il sistema politico italiano, il suo bipolarismo di cartone, il suo bellicismo di chiacchiere, il suo identitarismo di maschere è una cosa morta e sepolta, anche se questa volta non si è trascinato con sé pure il vertice delle istituzioni repubblicane. Non è in grado di tenere in piedi governi che governino e di fare compromessi che funzionino. È unito solo dalla persuasione assurda che con il Covid è cambiato tutto ed è finita la carestia, che il patto di stabilità è in soffitta, che la BCE continuerà sine die a finanziare direttamente le spese dello Stato e che i 200 e rotti miliardi piantati nell’orto dei miracoli del bilancio pubblico italiano frutteranno l’oro che serve alla patria e anche di più.

Se in teoria il bipolarismo serve a rendere più “sperimentale” il processo politico e a saggiare la validità delle ipotesi più efficienti e a scartare quelle meno funzionanti, in pratica in Italia è diventata la guerra senza quartiere tra bande politiche che vogliono fare le stesse cose (quelle sbagliate, ovviamente) e se ne contendono il diritto e il vantaggio, a prescindere da qualunque risultato.

Rottamare questo sistema non solo con una diversa legge elettorale, ma con una diversa legge morale della competizione politica, diventata la fiera delle illusioni e degli inganni, è ormai una vera emergenza democratica e il fatto che la gran parte degli elettori non se ne sia ancora convinto – pur bestemmiando ogni giorno il declino dell’Italia – rende la situazione più equivoca e incarognita. Oltre a festeggiare fino allo sdilinquimento il sacrificio di Mattarella, occorre prendere atto che quello dei presidenti eterni è semplicemente uno degli effetti politici collaterali di un sistema politico morto e finché non si metterà mano a questa causa le sue conseguenze continueranno ad affliggerci.