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In Europa la situazione è grave, ma non è seria. Le sfide che minacciano gli Stati membri dell’Unione Europea (e a volte quest’ultima nel suo complesso) continuano a moltiplicarsi, da ultimo con il rischio di un’invasione russa in Ucraina: ma citando il celebre aforisma di Ennio Flaiano i capi di Stato e di governo europei passano da un appuntamento a quello successivo in una serie continua di rinvii e penultimatum su tutto.

Sfogliando i giornali e scorrendo le notizie, se si volesse collegare quello che sta succedendo sul palcoscenico internazionale con quello che i leader (non) decidono sarebbe faticoso trovare un senso al loro immobilismo e alla loro perpetua incapacità di mettere un punto fermo su qualsiasi tema rilevante: a cominciare dalle politiche di accoglienza e dal rispetto della rule of law.
Si deve avere solo rispetto per gli uomini e le donne che esercitano il difficile mestiere di governare le ingovernabili (e spesso ingrate) democrazie occidentali di questo scorcio di XXI secolo: ma il punto centrale delle difficoltà in cui si trovano sta in una questione piuttosto semplice e alla loro portata, di fronte alla quale non si può scusare il ritardo accumulato in questi anni.

Mettiamo a nudo la domanda, fino a scorticarla, prendendo a prestito le parole di Luigi Einaudi da un articolo intitolato “Chi vuole la pace?” e pubblicato sul Corriere della Sera il 4 aprile del 1948, appena poche settimane prima del suo ingresso al Quirinale: “Quando noi dobbiamo distinguere gli amici dai nemici della pace, non fermiamoci perciò alle professioni di fede, tanto più clamorose quanto più mendaci. Chiediamo invece: volete voi conservare la piena sovranità dello Stato nel quale vivere? Se sì, costui è nemico acerrimo della pace. Siete invece decisi a dare il vostro voto, il vostro appoggio soltanto a chi prometta di dar opera alla trasmissione di una parte della sovranità nazionale ad un nuovo organo detto degli Stati Uniti d’Europa? Se la risposta è affermativa e se alle parole seguono i fatti, voi potrete veramente, ma allora soltanto, dirvi fautori della pace. Il resto è menzogna”.

Eccola la questione, nella sua cruda semplicità. Si potrebbe pensare, distratti dalla bravura con cui ci mentono da molti anni, che la difficoltà di procedere verso gli Stati Uniti d’Europa sia colpa dei sovranisti all’interno delle opinioni pubbliche nazionali; o che sia causata dalle resistenze degli illiberalismi di Visegrád; o addirittura che in fondo non ci sia alcun bisogno urgente di un passo del genere, e che le crisi siano affrontabili con cooperazioni rafforzate in questa o quella materia, con qualche alleanza bilaterale in grado di spingere il processo di unione fino a rimetterlo in moto. No!

La faccenda è più semplice, e non dobbiamo più lasciarci distrarre: se rimanessimo concentrati vedremmo infatti che non c’è bisogno di puntare necessariamente all’esercito europeo per fare sul serio, e nemmeno di grandi progetti di sviluppo digitale, o di piani trentennali per combattere il cambiamento climatico. Si può puntare a molto meno, per procedere e dimostrare seriamente la volontà di una piena integrazione politica: basterebbe completare l’Unione bancaria per chiudere almeno la questione della moneta unica (finalmente, visto che è in arrivo il trentennale del Trattato di Maastricht che la avviò). Fare le cose più semplici e immediate, in una situazione complessa e incerta, è una forte dichiarazione di impegno politico: rinviarle è un segno di paura.

Se non si è disposti a mettere insieme il denaro, si può pensare seriamente che ci sia la volontà di rischiare la pelle gli uni per gli altri in un esercito? “O la borsa, o la vita!” si può riassumere: nel senso che l'Unione Europea finirà per farsi distruggere, se non porterà velocemente a termine il progetto di Unione monetaria ed economica (che poi andrà completato con una fiscalità autonoma e un bilancio federale). Tutto il resto è menzogna.