L’infornata delle nomine da parte del nuovo Cda della Rai – direzioni di reti, testate e tg - non ha avuto, né nei modi, né nei contenuti, alcunché di diverso da quelle che l’hanno preceduta. La foglia di fico dell’equilibrio e della competenza sulle vergogne di una spartizione implacabilmente “scientifica”. Tutto già visto. E non qualche volta: sempre. Coerente con il solito copione è anche il lamento degli esclusi, nel caso Conte, che deriva dalla propria esclusione un giudizio severo sulla parzialità delle nomine, come se invece la conferma dei grillini al Tg1 avrebbe inverato, di per sè, un principio antilottizzatorio.

Però, nella giornata di ieri, la notizia non è che Conte è Conte, e il M5S è M5S, cioè non l'alternativa, ma il semplice rovescio della cattiva politica. La notizia è che la Rai rimane la Rai, perché per la sua storia, per il suo statuto formale e materiale e per la sua stessa identità  non può essere nulla di diverso, a prescindere dall’impegno, dalla qualità e dalla cosiddetta professionalità di dirigenti, dipendenti e collaboratori. 

La Rai non può che essere partitocratica, come l’Eiar non poteva che essere fascista. Che riesca a essere partitocratica pure in una democrazia senza partiti dimostra la tenace e sinistra resilienza del suo modello, la prevalenza del sistema sugli attori del sistema. I partiti, i leader, le repubbliche passano. La Rai, potere di riferimento dei suoi editori di riferimento, invece resta e riesce a inglobare e servire i grillini, come faceva coi dorotei, e buttare fuori brutalmente fuori gli uni e gli altri dalla stanza dei bottoni e dalle direzioni dei tg quando mutano, come sempre avviene, i rapporti di forza. 

Le promesse e gli impegni di portare i partiti fuori dalla Rai sono una contraddizione in termini perché la Rai esiste e si qualifica ormai solo come strumento di potere politico, non essendoci alcuna ragione politico-culturale che giustifichi l’esistenza di un monopolio del servizio pubblico in un settore in cui è difficile stabilire i confini del servizio pubblico – le previsioni del tempo? le informazioni sul traffico? l’ora esatta? – ed è perfino ridicolo prevederne un monopolio retribuito.

Rispetto alla sfida dell’informazione ai tempi del colera social e dell’infotainment, come come solo prodotto economicamente sostenibile nell’editoria giornalistica di massa, la Rai non aggiunge e non toglie niente. Sta anche lei a rimorchio, come quasi tutti i giornali e i media radio-televisivi che abbiano il problema di far quadrare costi e ricavi (sempre considerando che quelli Rai sono ricavi con una clausola di sicurezza fiscale). Sarebbe insensato assegnarle un compito di resistenza allo spirito del tempo, ma è ridicolo giustificarne l’esistenza sostenendo che grazie alla Rai l’informazione, in Italia, è un po’ meno fatta di verità alternative, di paranoie a furor di popolo o di cazzate sensocomuniste. Anzi, forse lo è pure di più, anche se la concorrenza tra Mediaset e La7 nel fare dell’informazione italiana quella notte scura in cui tutti i populismi diffondono allegramente il proprio nero veleno fa quasi apparire la Rai rinunciataria, in questa corsa al peggio.

Per rimediare a questa situazione, cioè per impedire che la Rai continui a costituire un centro di potere, vi sarebbe un’antica proposta, quella di privatizzarla e di assegnare con gare aperte specifici e sempre più circoscritti compiti di servizio pubblico a operatori privati, come avviene con le trasmissioni delle sedute parlamentari da parte di Radio Radicale. Per fare Sanremo, Don Matteo, Il commissario Montalbano e L'eredità basta e avanza la pubblicità. Così non solo gli italiani, come contribuenti, risparmierebbero la gran parte dei costi del canone, ma come cittadini non pagherebbero il costo di un inquinamento ufficiale e statalizzato dei processi politici.

Ovviamente, quella della privatizzazione è una scelta la cui utilità è inversamente proporzionale alla possibilità e quindi la situazione è destinata a proseguire così e così anche la retorica sulla spoliticizzazione dell’informazione “di Stato”. Ma il dato è questo: la Rai è almeno teoricamente cancellabile (cioè privatizzabile), ma non redimibile (cioè spoliticizzabile). Tutte le sceneggiate sulle nomine dei vertici stanno lì a dimostrarlo. E tutti i paralleli con la BBC o con analoghe esperienze pubbliche straniere eludono la specificità genetica della Rai, cioè, per dirla chiaramente, la sua natura. La Rai è questo e non può che essere questo. Perchè non sia questo, non deve essere la Rai.

@carmelopalma