Fabrizio Barca, gli imprenditori e i capitalisti di relazione
Istituzioni ed economia
A volte ho l'impressione che in Italia il dibattito sulla politica – ma soprattutto sulle politiche – sia inquinato da una serie di pregiudizi d'annata, dalla distinzione manichea tra comunismo e liberismo, tra vecchio e nuovo, tra tradizione e innovazione, tra difesa della Casta e sua rottamazione, il tutto a discapito della comprensione del merito delle questioni e quindi della loro risoluzione.
Nell'editoriale di ieri Simona Bonfante sostiene che il PD ha un rapporto malato con le imprese: o le disprezza o le ignora o le strumentalizza a scopi promozionali. A dire il vero il Partito Democratico, nella sua forma attuale e in quelle dei suoi genitori politici, ha sempre avuto rapporti stretti con aziende ed imprenditori, peccando semmai nel criterio di selezione. Forse nel tentativo di far dimenticare i propri trascorsi comunisti, o forse perché dopo la svolta della Bolognina il Partito non aveva più obbiettivi ideologici, i dirigenti di centrosinistra hanno spesso promosso politiche e atteggiamenti di vicinanza alle grandi imprese: dalla telefonata tra Fassino e Consorte, ai rapporti di Vendola e Bersani con la famiglia Riva, proprietaria dell'ILVA, agli elogi che Renzi ha riservato a Marchionne, passando per la sua amicizia con Davide Serra e Oscar Farinetti, tutti i leader della sinistra hanno dimostrato parecchia disponibilità nei confronti dei grandi capitalisti italiani.
Bonfante inizia il suo articolo prendendo le mosse dalle parole di Barca su De Benedetti: ma nell'irritazione di Barca credo di poter leggere il fastidio per quel sistema di relazioni opache tra i poteri pubblici e le grandi imprese che è sempre stato uno dei veleni che inquinano l'economia italiana. Nelle parole di Barca, è inopportuno che De Benedetti intervenga nella scelta dei ministri non perché è un imprenditore, ma perché è un certo tipo di imprenditore: possiede Repubblica e l'Espresso, Sorgenia e altre società attive nei settori automobilistico e sanitario. È, insomma, un grande imprenditore con rapporti stretti con la politica, rapporti che intrattiene perché ha interessi cospicui da proteggere. È opportuno che ad un imprenditore di questa importanza sia concesso di intervenire nel processo politico finalizzato alla selezione dei ministri di un Governo?
È vero, la sinistra dovrebbe dimostrare più interesse a liberare le potenzialità inespresse della piccola e media impresa; ma quando Barca critica De Benedetti, critica il capitalismo relazionale, le relazioni eccessivamente informali e strette tra politica e grande capitale, gli intrecci malati di interessi che legano l'autorità pubblica e i grandi gruppi industriali in cerca di monopoli, commesse, contratti di esclusiva e quindi profitti garantiti. A De Benedetti e a tutti quelli come lui bisognerebbe dire, con forza, che deve astenersi da simili comportamenti e che dovrebbe tornare a gestire le sue aziende avendo come interlocutore non la politica, ma il mercato.