Modello Calabria, riportare tutto a 'uno'. Un rischio per tutta la politica italiana
Istituzioni ed economia
In questi ultimi giorni, a ridosso delle elezioni regionali, molti commentatori - di destra e di sinistra - si sono esercitati sul tema dell'unità tradita e del proliferare correntizio, come causa della debolezza dei partiti. Solo a prima vista, a mio parere, queste giuste critiche possono considerarsi rivolte contro la feconda pluralità di "anime" esistenti in un soggetto politico. Ad essere disgregativa e a portare al collasso i partiti come istituzioni, tanto sul piano nazionale quanto sul piano locale, è la “ricapitolazione” della dinamica politica sull’uno, sull’unico, cioè la chiusura sul presunto e cosiddetto leader dell’insieme dei mezzi, dei fini e delle relazioni, da cui è costituita l’attività partitica.
Si tratta di una dinamica che va molto oltre la “personalizzazione” della politica contemporanea e rimanda invece all’antica immagine dei maggiorenti (signori delle tessere o della spesa locale) che si trasformavano in signori della guerra, dentro partiti che si trasformavano per ogni congresso o elezione in un teatro di sanguinoso conflitto fratricida. Questo fa degenerare in “correnti”, cioè in un meccanismo di controllo e rendita interna, le componenti culturali che dovrebbero avere una forza aggregativa e espansiva esterna.
Tale processo è particolarmente diffuso nelle aree territoriali più refrattarie ad allontanarsi dai modelli consolidati e disponibili solo a adattare il vecchio correntismo partitocratico al nuovo leaderismo carismatico o supposto tale. E si tratta di aree che a questa resistenza devono addebitare il proprio sottosviluppo politico e civile e di conseguenza l’inefficienza di governo. Da questo punto di vista, la Calabria rappresenta purtroppo un vero paradigma e alle ultime elezioni regionali non ha mancato di dimostrarlo.
A sinistra, prima tutti bersaniani, poi tutti renziani, poi ancora tutti per Zingaretti, ora tutti per Letta e – a destra, ancora - prima con Berlusconi, poi con Salvini e Meloni, e ora magari di nuovo in fila dietro al redivivo Silvio “di Calabria” (numeri “eccezionali” per Forza Italia, sostanzialmente ridimensionata, invece, sul piano nazionale). Di certo Mario Oliverio (l’immarcescibile ex governatore “progressista” calabrese che ha tentato anche stavolta l’ennesima avventura elettorale, in danno del centrosinistra si intende) batte tutti i record di persistenza al potere (era dagli anni ’80 dello scorso secolo in Consiglio Regionale) ma è pur vero che ci sono giovani più vecchi degli ottantenni. Nuove leve che interpretano la politica come "o con me, o contro di me", nuove speranze che aggrediscono gli uomini e i circoli non allineati al pensiero dominante, futuri leader che lavorano per boicottare gli altri, le candidature diverse, i componenti delle stessa lista . Tutti "colpevoli", appunto, di non "servire" l'Uno, l'Unico, che ovviamente non è mai uno solo, ma è composto da tanti “Uni”, che si ritengono tali.
Ed è stato chiaro nel corso di questa ultima campagna elettorale: la retorica del "primo", del più forte, dell'avanguardia, del capo, del maschio alfa, del "migliore" (ed in questa retorica l’oggi delusissimo De Magistris è stato il campione per eccellenza) ci riporta a stagioni tristi dell'impegno per la gestione della cosa pubblica. Così si abbatte lo spirito di comunità, si tradisce il mandato costituzionale contenuto della disciplina dei partiti, si azzera il confronto ideale, si schiaccia l'elaborazione teorica e la progettualità pratica sulle esigenze di visibilità e di carriera del candidato "eccezionale", circondato da yes man e lacchè di vario genere. L'unità a cui, invece, fa riferimento lo spirito più autentico della buona politica è la sintesi frutto della discussione e del lavoro franco tra pari, tra uguali, senza "signori' buoni solo per attribuire benefici. Solo questa sintesi genera una vera linea politica fondativa e proiettata al futuro.
Tale sintesi, ovviamente, deve essere garantita - all'interno dei partiti - da organi e vertici che siano garanti di tutti, non di pochi.
Un segretario e anche un commissario (e in Calabria, purtroppo, battiamo tutti i record per commissariamenti et similia), che è “uno” o che risponde solo a “uno”, come può dirsi "legittimo"? La iattura della parzialità interessata spezza, appunto, la comunità riducendola a un insieme di bande in mano ai capoccia di turno. È la degenerazione e l’autodissoluzione della democrazia e del rapporto tra politica e società!
L’impregno dei veri riformisti (non di quelli che usano il lemma come un feticcio di nascosta conservazione), in Calabria e fuori dalla Calabria, consiste nel "far passare" i mali antichi che precedono e seguono gli appuntamenti elettorali: l'individualismo, il carrierismo, il pervertimento degli interessi diffusi, trasformati da fine del governo a mezzo di consenso. Questo vale per tutti i partiti e per tutti i territori, a partire ovviamente dalla Calabria. Un impegno per una nuova normalità, che non ha bisogno di commissariamenti, né di auto-commissariamenti, che mutilano la partecipazione e certificano l’irredimibilità della democrazia, in Calabria come in Italia, e rischiano di trasformarsi in profezie che si auto-adempiono.