Le firme e il quorum. Come ripensare la funzione dei referendum nella democrazia italiana
Istituzioni ed economia
In queste settimane si stanno raccogliendo le firme per i referendum sulla giustizia e sull'eutanasia. Torna così di attualità un tema che riaffiora periodicamente a ogni tornata referendaria. Anzi, due temi, che personalmente reputo collegati: il numero di firme necessario per richiedere un referendum e il quorum per renderlo valido. L'Articolo 75 della nostra Costituzione fissa le due asticelle rispettivamente a 500.000 firme (primo comma) e "se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto" (quarto comma). Premetto che non sono un costituzionalista e quindi chiedo anticipatamente scusa per eventuali castronerie, ma proverò a fare un ragionamento di buon senso.
A mio avviso i due temi erano collegati anche nelle intenzioni dei costituenti e del legislatore che ha definito tutto l'iter referendario: una soglia relativamente alta per richiedere il referendum, un vaglio da parte della Corte dopo che la Cassazione ha sancito che il numero di firme raccolte superi la soglia minima, un quorum che doveva sembrare relativamente basso (alle prime elezioni politiche avrebbe votato più del 90% degli aventi diritto) perché il referendum sia valido. Negli anni il rapporto tra il primo e l'ultimo 'paletto' si è invertito: oggi raccogliere le firme è molto più facile, e lo sarà sempre di più grazie alla possibilità di raccogliere le firme online, che raggiungere il quorum. E non a caso il mancato raggiungimento del quorum è l'obiettivo al quale punta sempre il fronte del No.
Ma prima di vedere una possibile soluzione per equilibrare il processo referendario, credo sia giusto fornire qualche dato che corrobori la tesi di partenza. Perché affermo che la raccolta firme è più semplice oggi di come la immaginavano i costituenti settanta anni fa, mentre il quorum è più difficile da raggiungere? Quando è stato scritto l’art. 75 della nostra Costituzione la popolazione italiana con diritto di voto alla Camera ammontava a poco meno di 30.000.000 di elettori. Le 500.000 firme necessarie per richiedere un referendum erano quindi l’1,7% del totale. Alle ultime politiche gli italiani con diritto di voto erano invece circa 51.000.000: l’1,7% corrisponde a 867.000 cittadini. E per quel che riguarda il quorum? Alle elezioni politiche per la Camera dei Deputati del 1948 si recò alle urne il 92% degli aventi diritto, a quelle del 2018 il 72%: chi volesse sfruttare la propensione al non voto per far fallire un referendum oggi partirebbe con venti punti di "vantaggio" rispetto a quanto immaginavano i costituenti.
Quale possibile soluzione, allora? Togliere il quorum (o abbassarlo sensibilmente) e prevedere che il numero di firme necessarie a richiedere il referendum venga calcolato di volta in volta come proporzione degli elettori delle politiche precedenti la raccolta firme.
La proposta non è nuova, ma, come accennavo sopra, ha oggi una motivazione aggiuntiva: non solo infatti il numero di firme necessario per chiedere un referendum abrogativo si è abbassato de facto, visto l'incremento della popolazione, ma da qualche settimana è anche più facile raccoglierle, visto che è ammessa la raccolta online. Ovviamente questa seconda cosa è un bene, ma come ha fatto acutamente notare il vicedirettore del Post Francesco Costa nella sua rassegna stampa quotidiana Morning, questa novità cambia alla radice la natura stessa dello strumento referendario: ogni cambiamento, anche positivo, non può non implicare una riflessione sullo strumento sul quale quel cambiamento impatta. Anche in questo caso dò al lettore un dato per suffragare la tesi: lo fornisce Staderini sul Fatto Quotidiano del 17 agosto quando segnala che per il referendum sull'eutanasia in tre giorni sono state raccolte - solo online - 159.000 firme.
Chiaramente se si dovesse intervenire dovranno essere persone più competenti di me a fare le proposte di dettaglio, ma anche qui provo a fornire qualche numero per esemplificare meglio la proposta. Quale potrebbe essere una percentuale "giusta" per le firme? Siccome l'obiettivo è l'equilibrio tra il filtro ex-ante (le firme) e quello ex-post (il quorum), la percentuale dipende dalla esistenza o meno del quorum (seppur ridotto) e troverei ragionevole una percentuale tra l’1,5% e il 2% (tra 765.000 e 1 milione, prendendo come riferimento le elezioni per la Camera del 2018). Quale percentuale invece per il quorum? In analogia con la proposta sulle firme, si potrebbe ad esempio immaginare di portarlo alla metà poi uno dei votanti alle politiche precedenti (circa 17,5 milioni, prendendo sempre come riferimento le elezioni per la Camera del 2018), che corrisponderebbe al 34% circa degli aventi diritto.
Chiudo con due precisazioni sulla abolizione del quorum, perché non ci siano dubbi sul mio pensiero. Personalmente non sono un fautore della democrazia diretta a scapito di quella parlamentare, anzi. Peraltro, anche se volessimo allargare i poteri del "popolo" nel processo legislativo, non sarebbe certo il ricorso intensivo al referendum abrogativo lo strumento più efficace: sarebbe molto meglio introdurre un istituto nuovo come il referendum propositivo e migliorare l'efficacia di quello attualmente previsto, la proposta di legge di iniziativa popolare. Ecco perché, qui la seconda precisazione, per me abbassare il quorum per la validità di un referendum non è una scelta giusta in sé, ma se e solo se viene accompagnata dall'altra misura sulle firme.
In estrema sintesi, il nuovo equilibrio tra filtro ex-ante e filtro ex-post sarebbe più efficace nel contemperare le esigenze del sistema su due fronti: evitare di intasare la Corte Costituzionale con un numero eccessivo di richieste di referendum e migliorare la qualità del dibattito pubblico qualora un referendum venga ammesso alla consultazione popolare. L'assenza di quorum o la sua riduzione, infatti, consentirebbe di limitare sensibilmente il ricorso alla campagna astensionista da parte dei fautori del NO, facilitando così la discussione di merito sui quesiti durante la campagna elettorale.