Il suicidio strategico dell’Europa
Istituzioni ed economia
La prima sfida per preservare un “ambiente internazionale” fondato sulla libertà (e sulle libertà) per il mondo libero e quindi per l’Europa, è costituita dall’irresistibile ascesa economica, tecnologica e militare della Repubblica Popolare di Cina e, allo stesso tempo, dalla nuova mutazione del suo regime, da autoritario a totalitario.
La seconda è rappresentata dal rafforzamento della notevole capacità di arrecare danno e di destabilizzazione della Federazione russa, capacità che si traduce non tanto in una nuova minaccia militare per l’Europa, grazie all’importante aggiornamento strategico dell’Organizzazione atlantica, quanto piuttosto in un accresciuto potere di nuocere agli interessi dell’Unione europea (e dei suoi stati membri) non solo nel suo vicinato immediato: in Ucraina, in Bielorussia, nel Caucaso meridionale, nel Medio Oriente e nel Maghreb ma anche in Africa.
Di fronte a queste due grandi sfide esistenziali in termini di sicurezza, i Paesi dell’Unione sono ampiamente divisi. Per molti di questi, il riflesso è lo stesso di quello avuto durante la guerra fredda: una partecipazione, convinta per alcuni, «inerziale» per altri, alla strategia di difesa contro la potenza erede dell’Unione sovietica, strategia di difesa organizzata da e intorno agli Stati Uniti. Il cambiamento di natura della minaccia russa sembra sfuggire loro. Questa non si declina più in termini di una minaccia diretta all’integrità territoriale degli stati membri, che richieda una risposta in termini di politica di difesa, essendo questa assicurata in modo adeguato dalla Nato. Si manifesta ormai in termini di minaccia diretta agli interessi strategici dell’Unione e dei suoi stati membri, minacce nuove che richiedono risposte in termini di politica di sicurezza. Fra gli interessi strategici dell’Unione e dei suoi Stati membri figura anche in primo piano la necessità di difendere l’integrità politica dell’Unione e quindi di contrastare le operazioni di destabilizzazione interna dei suoi stati membri, nonché quelle volte a rimettere in discussione la fondatezza stessa dell’esistenza dell’Unione rincorrendo a strumenti vecchi (corruzione, acquisizioni, disinformazione, …) e nuovi (tecnologici e cibernetici …).
In particolare, la Federazione russa persegue una politica volta a rafforzare il proprio controllo sulle vie di approvvigionamento energetico dei Paesi dell’Unione. È vero ad Est dell’Unione, con la costruzione del Nord-Stream 2, che accresce la dipendenza diretta dell’Unione nei confronti della Russia, indebolendo allo stesso tempo un paese chiave dell’Europa orientale: l’Ucraina, finora importante via di transito del gas russo. Ma è anche vero a sud dell’Unione. La Russia è in effetti uscita come grande vincitrice della recente guerra tra l’Azerbaigian e l’Armenia, rafforzando attraverso la sua presenza nel Nagorno Karabakh le sue capacità di sbarrare il corridoio Baku-Tbilisi-Mar Nero (1) e persino di un ipotetico corridoio Baku-Armenia-Turchia. Allo stesso modo, sempre a Sud, con il notevole rafforzamento della sua presenza militare in Siria, ha neutralizzato per molti anni a venire qualsiasi progetto di costruzione di oleodotti o di gasdotti che colleghino direttamente, via Siria, la penisola arabica al Mediterraneo, dotandosi al contempo della capacità di intervenire direttamente e in tempi molto stretti in tutto il Mediterraneo, a cominciare dalla Libia.
Lo shift verso il Pacifico, il grande ribaltamento americano, iniziato sotto l’Amministrazione Obama e proseguito sotto quella del Presidente Trump, non è altro che la presa in considerazione di questo spostamento dell’epicentro della minaccia strategica da Mosca verso Pechino. In altri termini, non è né una manifestazione di disinteresse per l’Europa, né a fortiori un abbandono della stessa da parte degli Stati Uniti. Gli Europei darebbero prova di accortezza se ne prendessero atto lasciando nel dimenticatoio atteggiamenti e posture da amanti traditi. Questo grande spostamento riguarda anch’essi, in primis, per almeno due ragioni:
Allo stesso titolo degli Stati Uniti, è di vitale importanza per l’Europa difendere la libertà in tutte le sue forme, compresa quindi la libera circolazione delle persone e delle merci nel Pacifico. La seconda è più specificamente europea. Si tratta della necessità di una presa di coscienza al livello dell’Unione e dei suoi Stati membri del fatto che l’Unione europea è de jure (La Réunion e Mayotte) o de facto (Polinesia francese, Nuova Caledonia, Isole Sparse, …) una « potenza » del Pacifico.
Se queste premesse sono esatte, ne dovrebbero derivare i seguenti elementi.
L’obiettivo assunto dagli Stati membri della Nato di consacrare il 2% dei loro bilanci allo sforzo di difesa non può essere considerato come un capriccio o una fissazione degli Stati Uniti. È una conseguenza logica della necessità per gli Stati Uniti di dedicare considerevoli risorse finanziarie in materia di difesa alla priorità strategica il cui epicentro si trova ormai nel Pacifico.
Questo spostamento del centro di gravità strategico mondiale e la modifica della gerarchia delle priorità politico-militari degli Stati Uniti dovrebbero portare l’Unione a rafforzare le sue capacità di intervento autonomo al fine di essere in grado di rispondere alle minacce alla sicurezza nel suo vicinato (Medio Oriente, Caucaso e Maghreb). Alla luce del fallimento di tutte le iniziative di integrazione su base nazionale degli strumenti diplomatici e militari nel corso degli ultimi decenni, questa indispensabile politica di sicurezza europea non può che fondarsi su degli strumenti politici, diplomatici e militari comuni, a partire e intorno ad un esercito europeo comune.
Lo spostamento dell’epicentro della minaccia alla sicurezza dovrebbe altresì indurre alla trasformazione dell’Organizzazione atlantica in Alleanza per la difesa della Libertà attraverso un suo allargamento ai paesi democratici del Pacifico e, in particolare, al Giappone, all’Australia, all’Indonesia, alla Corea del Sud e alla Nuova Zelanda. La questione dell’appartenenza della Turchia a questa nuova organizzazione internazionale di sicurezza andrebbe posta.
Infine, senza aspettare una nuova Pearl Harbour, americana o europea che sia, la questione del coinvolgimento dell’Unione negli sforzi politici e militari da dispiegare di fronte alla nuova minaccia strategica nel Pacifico andrebbe affrontata. Se, come lo abbiamo detto, l’Unione, e non solo uno dei suoi Stati membri, è di fatto un attore del Pacifico, allora essa dovrebbe dotarsi dei mezzi affinché possa essere in grado di concorrere, come suggerito da John R. Bolton (2), agli sforzi politici e militari in vista di salvaguardare la libertà in questa regione del mondo. Alla luce della portata della sfida, sarebbe nell’interesse di tutti gli europei che la loro partecipazione non si facesse in ordine sparso ma attraverso una politica di sicurezza comune e uno strumento comune: un esercito europeo comune.
Pubblicato in inglese sulla rivista https://www.geopolitic.ro
1 - In seguito alla guerra del 2008 tra la Georgia e l’Ossetia del Sud sostenuta dalla Federazione russa, le forze russe hanno confermato l’amputazione della Georgia dei territori sud-osseti e abcasi riconoscendo le loro indipendenze e, di conseguenza, ponendoli in una logica di integrazione sempre più spinta nell’ambito dello spazio di sicurezza russo. Queste forze russe sono ormai a pochi chilometri soltanto del gasdotto Baku-Tbilisi-Mar Nero e/o Erzurum.
2 - Già consigliere alla Sicurezza nazionale sotto George W. Bush, dal 2001 al 2005
La delega delle politiche di difesa alla Nato e la rinuncia a un a una autonoma politica di sicurezza in particolare verso est rende l'Unione europea più vulnerabile a rischi che non sono di integrità territoriale, ma di subordinazione strategica e di destabilizzazione interna da parte dei regimi russo e cinese.