Sarà soprattutto questione di tasse, forse solo questione di tasse. Il successo o il fallimento del prossimo governo (multicolore, non monocolore) Renzi dipenderà in buona parte da quanto lo Stato allenterà la propria morsa sui contribuenti italiani, imprese e famiglie. Dalle prime informazioni sul futuro programma di politica fiscale del governo presieduto dal segretario del PD, emerge che l'azione del nuovo esecutivo seguirebbe essenzialmente tre filoni: la riduzione dell'Irpef (soprattutto sui redditi medio-bassi), il taglio dell'Irap per le imprese e una revisione profonda del rapporto tra contribuente ed erario.

Renzi

Sulla prima - l'imposta sul reddito delle persone fisiche - si parla di una riduzione di un punto delle prime due aliquote, quella del 23% sui redditi fino a 15mila euro e quella del 27% sui redditi inferiori ai 28mila euro. Ma le informazioni sono ondivaghe, se è vero che c'è chi parla di un taglio che riguarderebbe anche i ceti medio-alti (La Stampa cita una riduzione di tre punti dell'aliquota del 38% sui redditi fino a 55mila euro) e al contrario chi dice che l'intervento non riguarderà affatto le aliquote, ma avrà una natura più equitativa, limitata alle detrazioni dei soli redditi più bassi, quelli fino ai 25mila euro.

Per quanto riguarda l'odiosa Irap (su cui Renzi farebbe bene a leggere il contributo del deputato e tributarista Enrico Zanetti), i giornali riportano un'ipotesi di taglio del 10% circa del valore dell'imposta per i soggetti privati, con una riduzione concentrata in particolare sull'abbattimento del costo del lavoro dalla base imponibile.

C'è poi il tema della semplificazione del rapporto tra cittadino-contribuente e Stato: di questo troviamo traccia nel programma di Renzi per le primarie del 2012, quelle che lo contrapponevano a Bersani per la candidatura a premier del centrosinistra, e per ora facciamo riferimento in particolare all'idea "olandese" di una dichiarazione dei redditi pre-compilata che l'Agenzia delle Entrate manderebbe al contribuente e di cui questo è tenuto a verificare la correttezza. Sarebbe una civilissima inversione degli adempimenti, con il contribuente che da agente contabile controllato si trasformerebbe in controllore. Per ora è una proposta-sogno e, come tale, la accantoniamo.

Ci concentriamo invece sull'Irpef e sull'Irap. Due questioni: anzitutto, è sufficiente quel che propongono i renziani? E poi, quale sarebbe la copertura finanziaria per le minori entrate derivanti dai tagli di spesa? Alla prima domanda, diamo una risposta scontata: no, i tagli di cui sopra non sarebbero affatto sufficienti, stante il dramma fiscale che viviamo in Italia e il costante aumento di altre forme di tassazione, in primis quella locale. L'Irap non andrebbe limata di un decimo (costo per l'erario: 2,5 miliardi annui circa) ma di almeno la metà, cioè di 12-13 miliardi all'anno. E se si vuole produrre un significativo irrobustimento dei redditi da lavoro di almeno 400-500 euro per i redditi medi e bassi ("mezza tredicesima", ha detto Graziano Del Rio) occorre una cifra non dissimile, molto di più se si vuole estendere il beneficio anche ai redditi medio-alti. Ma già limitandosi alle misure che circolano come made in Renzi (5 miliardi per l'Irpef e 2,5 per l'Irap), si pone un problema evidente di copertura.

Per ora il piano Cottarelli di revisione della spesa - la famigerata spending review - non è ancora dettagliato nei suoi obiettivi (Enrico Letta li ha da ultimo quantificati in 16,6 miliardi nel biennio 2014-15, una parte dei quali peraltro già "impegnati" da misure previste dalla legge di stabilità). Perché Cottarelli possa mettere nero su bianco le specifiche voci di spesa da tagliare e perché tali tagli si realizzino, ci vuole che il governo assicuri all'alto funzionario del FMI la giusta copertura politica, che nei mesi passati non c'è stata. Non che non vi sia da tagliare significativamente, come ci ha segnalato recentemente su Strade Pietro Monsurrò o come ha suggerito domenica sul Messaggero Oscar Giannino (soprattutto riferendosi alle spese per forniture della PA, 130 miliardi nel 2013, fino a 140 miliardi quest'anno). Bisogna agire lì, così come occorre accelerare i piani di dismissione di patrimonio pubblico per abbattere il debito dello Stato e con esso gli interessi annuali.

Il problema - tuttavia - è che anche intorno a Renzi si odono le voci delle sirene pro-patrimoniale ed è sempre forte la tentazione di reperire risorse mediante un aumento della tassazione delle rendite finanziarie (ma è più corretto definirla "tassazione del risparmio"). Sarebbe un errore fatale, perché non si tratterebbe affatto di tassare i ricchi, ma la stragrande maggioranza degli italiani, il cui patrimonio si è già pesantemente deteriorato negli ultimi anni.

@piercamillo