zingaretti grande

"Non avevamo in testa le vicende sovietiche, piuttosto c’eravamo formati nel Movimento per la Pace e raccoglievamo le firme contro i carri armati sovietici in Afghanistan. Né tanto meno libri di Marx, di Lenin o persino di Togliatti. Non avevamo in testa particolari ideologie o miti da consacrare. Piuttosto sentivamo quella comunità di giovani comunisti, dentro al Pci, come il canale migliore per esprimere le nostre inquietudini, gli aneliti dell’anima, le disordinate spinte adolescenziali, già chiare nelle loro fondamentali discriminanti." (Nicola Zingaretti)


A quanto pare, per Zingaretti, il comunismo non ha niente a che fare con Marx e Lenin. È, piuttosto, un'inquietudine adolescenziale, un anelito dell'anima. Un guazzabuglio. Neppure Dibba avrebbe osato tanto, citando, a braccio, Osho. Mancano soltanto le farfalline allo stomaco e il gioco (al massacro di una pur sempre illustre storia) è fatto.

Eppure, D'Alema non sembra da meno quando afferma che il PCI è stato sempre riformista. E, dunque, anti-comunista.
Insomma, il comunismo in Italia non è mai esistito. È un sogno adolescenziale. Il qualunquismo, in compenso, è vivo e lotta insieme a loro.

Ma se i comunisti smettono di leggere Marx e Gramsci, ammesso che lo abbiano mai fatto, cosa resta del comunismo? Delle due l'una: o il neoliberismo (con le sue declinazioni negative dove domina, spericolata, l’economia finanziaria a discapito di quella reale) o le categorie sociali di invidia e risentimento. Su cui occorrerebbe una sana e pacata riflessione.
Forse la migliore giustificazione morale e psicologica del comunismo è da ricercare nelle categorie economiche e sociali di invidia e risentimento. Si spiegherebbe anche, in un colpo solo, il successo della filosofia del lock down, come rivincita dei “deboli” nei riguardi della classe sociale più operosa. Quella degli imprenditori e commercianti che, con imprese spesso a conduzione familiare, rappresentano il tessuto connettivo della ricchezza italiana.

Una giustificazione che condurrebbe, forse, anche a Nietzsche, quel grande "maestro del sospetto" che sapeva cogliere la motivazione inconscia del comunismo nel risentimento, male del secolo, che lo accostava anche al cristianesimo. E non è un caso se un grande filosofo, Karl Loewith, definiva la teodicea cristiana come presupposto filosofico della teodicea marxista, ravvisando nel giudaismo il filo rosso tra i due fenomeni. L'intima fenomenologia.

Persino Sciascia giustificava la sua adesione al comunismo per il tramite del cristianesimo. Ma Sciascia era Sciascia, ovvero un gigante che non ebbe paura di approdare tra le braccia dei liberali-radicali di Pannella. A chi gliene chiedeva conto rispose: “Contraddissi e mi contraddissi”. La pandemia ancora in corso sta acuendo alcuni aspetti perversi del mercato che, forse, esigerebbero opportune e prudenti regolamentazioni.

Come mai non si leva neppure una critica, da sinistra, al comportamento della monopolista Pfizer che sospende la produzione di vaccini per ottimizzare i guadagni? Dov'è finito l'anticapitalismo di sinistra? Il vaccino era arrivato da quel libero mercato tanto deprecato dalla sinistra comunista. E adesso come la mettiamo?

Pur di fare i salutisti duri e puri e continuare la caccia alle streghe, negazionisti e no vax, si rimuovono persino le perversioni del capitalismo delle multinazionali farmaceutiche? (Lo dico da liberale). Colossi come Google, Amazon, Facebook, rischiano di diventare più potenti (economicamente) degli stati e di determinarne le scelte. Emblematico il caso in cui Facebook censura brutalmente Trump, comportandosi da editore.

Inoltre si fa avanti, in maniera sempre più inquietante, il fenomeno del capitalismo della sorveglianza. Servono vaccini anche su questo fronte, forse. Tutto questo mentre si celebra il centenario dalla nascita del PCI e compagni e compagne sono troppo impegnati a scrivere quelle agiografie, le vite dei santi della chiesa comunista che poco, davvero, hanno a che fare con la storia di quel partito e di quella idea, e molto con la propaganda.

Forse ci aspetta un mondo peggiore dopo il "big reset". Perché, come affermava Manzoni, "non sempre ciò che vien dopo è progresso".