Mastella grande

Giornali e tv danno atto da giorni di un (pare) infruttuoso, ma frenetico impegno del Sindaco di Benevento, Clemente Mastella per procurare voti responsabili al governo Conte bis, per il tramite della moglie senatrice Sandra Lonardo e direttamente, con contatti con leader e parlamentari, uno dei quali, Calenda, ha svelato il metodo e la cifra delle lusinghe di questo politico di lungo corso, abituato al do ut des trasversale come stile di presenza e di azione.

È però soprattutto divertente (per usare una delle astruserie lessicali democristiane) assistere alle convergenze parallele tra l’amoralismo callido di Mastella e il moralismo squadristico di Travaglio a sostegno del trasformista maximo di Volturara Appula. Il legame tra mastellismo e travaglismo è storicamente meno casuale e oppositivo di quel che sembri.

Mastella è infatti un monumento all’eterogenesi dei fini del giustizialismo. In un Paese in cui si è ritenuto per decenni, in nome di un panpenalismo fanatico e ignorante, che tutto ciò che era “cattivo” dovesse per forza essere anche “illecito”, le assoluzioni o i proscioglimenti dopo inchieste o imputazioni assurde dei campioni della democrazia di scambio finiscono per restituire loro non solo un’innocenza sfregiata, ma anche una verginità politica immeritata. Se ciò che è sbagliato è reato, ciò che non è reato allora non è sbagliato e neppure politicamente censurabile.

Se la via della Procura sostituisce quella delle urne o della vita interna dei partiti, allora la verità giudiziaria su un fatto diventa surrettiziamente verità storica e morale su un personaggio o su un fenomeno. Se ad esempio la nomina e dunque la lottizzazione politica dei vertici delle aziende sanitarie non è reato – e non potrebbe, visto che è prevista per legge – allora chi critica questo vero e proprio cancro della politica regionale diventa automaticamente un nemico della democrazia o l’alfiere di una tecnocrazia opaca e interessata.

Le 15 tra assoluzioni e proscioglimenti che Mastella ha inanellato nella sua carriera – che vanno tutti a vergogna dei sui persecutori giudiziari e non a macchia del suo curriculum politico – autorizzano oggi paradossalmente Mastella a riversare l’ombra della stessa vergogna su chi continua a criticarlo o a considerare politicamente inaccettabili i suoi mezzi e i suoi fini.

Per i giustizialisti che pensano che il clientelismo politico e le prassi partitocratiche non debbano essere politicamente avversate, ma liquidate per via giudiziaria, le assoluzioni dei partitocrati sono solo banali inciampi nella corsa delle magnifiche sorti e progressive dell'o-ne-stà, mentre costano assai di più, in termini di credibilità, ai politici che hanno inutilmente tentato per anni di combattere la partitocrazia, nelle sue antiche forme e ancora di più in quelle nuove del mero comparaggio personale (tipo Di Maio, che nomina a vertici delle società pubbliche i compagni di scuola), senza illudersi che bastasse dilatare le fauci del diritto penale fino a fargli ingoiare tutto intero il boccone del malcostume politico. 

Il risultato è che in Italia il giustizialismo totalitario e l’affarismo dei “politici di relazione” sono due facce della stessa medaglia. Non sorprende che si trovino uniti a difesa del Governo che rappresenta al massimo grado sia l'una che l'altra malattia della politica italiana. Mentre in un Paese non diciamo ideale, ma quantomeno decente in termini liberali, quelli come Travaglio non avrebbero conquistato l’egemonia culturale e quelli come Mastella non avrebbero forgiato la costituzione materiale della nostra disgraziata democrazia.

@carmelopalma