gladio big 

Trent’anni fa, l’allora presidente del Consiglio Andreotti rivelò con un discorso alla Camera, accompagnato da un dossier, l’esistenza di una struttura paramilitare segreta di nome Gladio. Nata nel 1956 e rimasta quiescente per trentaquattro anni, Gladio era una rete stay behind, ovvero un’organizzazione di resistenza destinata ad attivarsi in seguito all’invasione militare del territorio nazionale. L’Italia non era il solo paese a disporre di una simile struttura: in seguito alla drammatica esperienza dell’occupazione nazista, quasi tutti gli Stati europei si erano dotati di organizzazioni simili, costruite sull’esempio e sull’esperienza della resistenza clandestina durante la Seconda guerra mondiale. Questa volta, però, il nemico non avrebbe indossato la croce uncinata, ma la falce e il martello.

In Italia, alla storia effettiva di Gladio, basata su presupposti militari, strategici e di politica internazionale, non si è mai dato molto peso. A farla da padrone negli ultimi trent’anni, sulla scia dell’impatto mediatico delle rivelazioni andreottiane, è stata la narrazione pubblica con le sue conseguenti deviazioni e strumentalizzazioni. Gladio è diventata, nell’opinione comune e grazie alla diffusione di una certa pubblicistica, il simbolo dei misteri, dei complotti, e delle deviazioni dell’autorità pubblica che avrebbero caratterizzato alcuni decenni della storia d’Italia. Dispiace constatare, alla luce di quanto comparso in occasione del trentennale delle rivelazioni, che la linea sembra non essere cambiata.

Il punto intorno al quale si sviluppano le teorie del complotto relative a Gladio è un classico della dietrologia sulla guerra fredda: l’ingerenza americana nelle vicende domestiche italiane. Gladio – e con essa tutte le reti stay behind europee – sarebbe stata la longa manus degli USA per controllare, con la scusa dell’anticomunismo, l’evoluzione politica degli alleati in chiave filoamericana. Sono teorie che hanno trovato il loro punto di arrivo e di massima diffusione nella pubblicazione di un libro intitolato Gli eserciti segreti della NATO, di Daniele Ganser, autore in seguito diventato noto per alcune teorie della cospirazione legate all’11 settembre. Teorie, va chiarito, ampiamente smentite da tutta la storiografia seria che si è occupata della questione stay behind, ma che continuano a essere estremamente popolari fra il pubblico generalista, e purtroppo anche tra alcuni “addetti ai lavori”.

L’aspetto fondamentale tralasciato dai cospirazionisti è che, con l’eccezione di Gladio, tutte le reti europee nacquero tra il 1945 e il 1946, molto prima della fondazione della CIA, della sua branca dedicata alle operazioni speciali (l’OPC), e in generale prima che gli americani stabilissero una strategia chiara riguardante il loro coinvolgimento in Europa, tema indissolubilmente legato al confronto con l’Unione Sovietica. Fu proprio in Europa, infatti, che si giocò la partita fondamentale della guerra fredda: in particolare, a farla da padrone almeno fino ai primi anni Sessanta fu la percezione che i sovietici avessero le capacità militari per conquistare rapidamente tutto il continente, se avessero voluto. Lo sviluppo delle reti stay behind in ambito NATO, e di altre iniziative successive supportate dagli americani, fu legato proprio a questa prospettiva, e alla necessità di mettere a frutto le sanguinose lezioni apprese durante la Seconda guerra mondiale.

Ho scritto che Gladio fece eccezione, e in effetti solo nel 1956 venne formalizzato l’accordo per la sua costituzione, frutto della collaborazione fra i servizi segreti italiani (il SIFAR) e la CIA, caso unico in tutta Europa. Questo non dovrebbe però dare adito alle teorie sull’ingerenza americana negli affari interni italiani. Il “ritardo” di Gladio, e il rapporto privilegiato del SIFAR con la CIA, nascono da precise circostanze storiche, tra cui lo status dell’Italia come ex nemico e l’esperienza dell’occupazione americana durante la guerra e negli anni immediatamente successivi, che diede origine a una peculiare collaborazione tra i due servizi segreti nazionali. Per chi, come me, si è preoccupato di indagare quelle circostanze, utilizzando anche la mole di documenti su Gladio declassificata di recente, è evidente che si tratta di una relazione complessa, fatta di resistenze piuttosto che di asservimento, e che richiama la relazione “aperta” e più nota fra la Democrazia Cristiana e i governi americani.

Certamente ci sono ancora molte ombre in questa storia. Nell’organizzazione di Gladio, basata su piccoli nuclei di operativi sparsi sul territorio nazionale, furono inquadrate anche delle vere e proprie unità paramilitari derivanti dalle formazioni partigiane operanti al confine Nordorientale, le cui funzioni restano poco chiare. Alcuni documenti parlano anche di dirottare Gladio, che in origine doveva attivarsi solo in seguito all’invasione nemica del territorio nazionale, verso scopi di sorveglianza interna in chiave anticomunista. Di queste attività non vi è traccia effettiva, se mai si verificarono. Quello che è certo però è che la questione non può essere banalizzata e ridotta alle categorie del complottismo e della dietrologia che tradizionalmente contagiano le riflessioni sul ruolo dell’Italia durante la guerra fredda. Studiare Gladio, sotto questo punto di vista, è anche estremamente utile per comprendere la malformazione dell’opinione pubblica su questi temi e le sue conseguenze.