Il Nagorno Karabakh tra giochi russi e ambizioni turche
Istituzioni ed economia
Domenica 27 settembre è riesploso uno dei conflitti europei “addormentati”: quello tra l’Armenia e l’Azerbaigian per il controllo della regione del Nagorno Karabakh. Attualmente sono più di 200 i morti tra militari e civili. Dietro questo conflitto mai risolto, si nasconde un’importante partita per il controllo di risorse energetiche tra Turchia e Russia, rispettivamente alleati dell’Azerbaigian e dell’Armenia.
La regione, ricca in petrolio e gas, è situata nel Caucaso meridionale, al confine tra Azerbaigian e Armenia. Ufficialmente, il Nagorno Karabakh si trova nei confini geografici dell’Azerbaigian ma è dal 1988 sotto il controllo dei separatisti armeni. La regione autonoma è a maggioranza etnica armena (dunque cristiana, mentre l’Azerbaigian è musulmano) ma fu assegnata nel 1920 (all’epoca entrambi i paesi facevano parte dell’Unione Sovietica) da Stalin all’Azerbaigian. Gli storici dissentono sui motivi di questa scelta. Alcuni sostengono che fu fatta come prova di amicizia verso la Turchia, nella speranza di espandere l’ideologia e il dominio comunista. Altri invece attribuiscono la scelta al principio del divide et impera staliniano.
L’Azerbaigian e l’Armenia sono due paesi storicamente rivali e la disputa per il controllo della regione emerse con la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Il 20 febbraio 1988, il Soviet della Regione autonoma del Karabakh adottò una risoluzione per l’annessione all’Armenia. La richiesta fu respinta da Mosca e diede inizio ai primi scontri armati tra l’Azerbaigian e l’Armenia per il controllo della regione. Nel 1991 poi, si tenne un referendum nella regione per proclamare
l’indipendenza in cui prevalsero i favorevoli con il 99.98% dei voti. Il risultato però non fu ritenuto valido dal governo dell’Azerbaigian e nessun paese membro delle Nazioni Unite riconobbe l’indipendenza del Nagorno Karabakh. Gli scontri nella regione durarono fino al maggio del 1994, causando migliaia di morti e centinai di migliaia di rifugiati. Tuttavia, il conflitto non fu mai del tutto risolto. Non fu firmato nessun accordo di pace ufficiale, solo un accordo provvisorio di cessate il fuoco noto come l’Accordo di Biškek. Seguirono poi negli anni varie reiterazioni del conflitto come nell’aprile del 2016 quando l’esercito azero lanciò un’offensiva per riacquisire il controllo della regione.
Il conflitto si è ora riacceso la mattina del 27 settembre dopo che l’esercito azero ha lanciato degli attacchi missilistici contro varie città nella regione. Ma perché è riesploso proprio ora? Le posizioni del premier armeno Pashinyan, in carica dal 2018, sono sempre state molto provocatorie agli occhi del governo dell’Azerbaigian visto che Pashinyan ha sempre sostenuto che la regione dovesse appartenere all’Armenia. Il governo dell’Azerbaigian si trova ora in grave difficoltà per le ripercussioni del coronavirus sul prezzo del petrolio e del gas. E un conflitto con gli odiati rivali armeni potrebbe dunque servire come strategia di “rally round the flag” e unire la popolazione attorno al governo in tempi di crisi.
La situazione si fa inoltre più complessa e preoccupante per via del coinvolgimento della Russia e della Turchia, ed il conflitto può dunque assumere un significato internazionale. Entrambi i paesi, hanno da anni avviato strategie espansionistiche e si stanno scontrando su vari fronti, come quello libico e siriano. Da notare principalmente il cambio di posizione del governo turco che auspicava un approccio diplomatico e pacifico, mentre ora minaccia l’intervento militare a sostegno dell’Azerbaigian.
L’improvvisa aggressività di Ankara potrebbe essere spiegata dalla ricchezza in gas e petrolio della regione e dal fatto che l’anno prossimo scadrà l’accordo che obbliga la Turchia a rifornirsi d’energia da Mosca. Per di più, proprio nella regione, passa il gasdotto del Caucaso meridionale, che trasporta il gas azero al gasdotto trans-anatolico controllato dalla Turchia. Quest’ultimo, che dovrebbe fornire gas anche all’Italia, permetterebbe alla Turchia di diventare uno snodo centrale nella distribuzione di gas in Europa, rafforzando di conseguenza il peso del paese a livello internazionale.