di maio ha vinto il si grande

Il referendum ha dato un esito previsto, ma particolare: i parlamentari italiani per eccesso di zelo nel conformarsi alla volontà generale hanno votato in percentuale molto maggiore (97%) la riforma costituzionale rispetto al popolo stesso. Il Parlamento non ha saputo, quindi, rappresentare adeguatamente le posizioni differenti dell’elettorato, ma ha preferito essere un megafono inerme della posizione maggioritaria.

The day after sarà come l’hanno previsto i sostenitori del NO, non come l’hanno descritto, in buona o cattiva fede, i fautori del Sì. È palese che i risultati del taglio saranno nefasti per quanto riguarda la salubrità delle istituzioni della Repubblica e del suo dibattito politico. La vittoria del sì non aprirà un varco ampio e importantissimo per fare breccia nel conservatorismo istituzionale della Repubblica e per dare vita a una grande stagione riformista, al contrario farà esplodere quel carattere e quella tensione reazionaria che era implicita nel “taglio” e che dopo il “taglio” sarà dispiegata con ancora maggiore forza.

Non si vogliono rimodernare le istituzioni, non si cercano soluzioni per problemi esistenti, ma, dai diversi punti di vista dei proponenti, si cerca, da una parte, di legittimare una visione reazionaria ed illiberale della politica e, dall’altra, di mantenere stabile un sistema di potere.

Una delle "grandi riforme" che seguiranno quella costituzionale è quella della legge elettorale; in particolare, la nuova legge elettorale dovrebbe essere grosso modo quella depositata dall’On. Brescia questo gennaio alla Camera. Quando venne proposta, sembrava dovesse risolvere tutti i problemi impliciti nel “taglio”, ricevendo grandi peana da parte delle élite intellettuali della sinistra governativa perché, assieme alla riforma costituzionale, inauguratrice di una nuova era politica della Repubblica. Una legge, si è detto, che insieme alla riforma costituzionale, dovrebbe assicurare governabilità (seppur proporzionale) e portare a un nuovo bipolarismo.

L’esito del voto del weekend sarà, forse, una rivoluzione politica (una legittimazione dell’antipolitica, la ghigliottina tanto attesa sul Parlamento), ma sarà anche “il giusto contrario della rivoluzione”, una reazione: Sciascia ricordando il saggio di Vittorini “Di Vandea in Vandea” nel quale si raccontava il Vespro come una rivoluzione reazionaria - “Il Vespro che chiude la porta alla Francia, per aprirla alla Spagna, all’Inquisizione, alla superstizione, al sanfedismo…” - sosteneva come Vittorini, oltre a fare un’analisi della nascita del mito dei Vespri siciliani, pensasse anche al suo presente, al fascismo, a un’altra rivoluzione che tale si diceva, ma non era.

Allo stesso modo, la reazione grillina non è un’esaltazione democratica, ma ha cupi elementi antipolitici, antiliberali, anti-pluralisti, “sanfedisti”. Essa può essere vista anche come un tentativo conservatore, una manovra primo-repubblicana di impantanamento della politica; l’annunciato nuovo bipolarismo è un tentativo di fagocitazione, di inglobamento ricattatorio, di paralisi della Repubblica.

Con la riduzione dei parlamentari, si tenta di capitalizzare i lati vantaggiosi del maggioritario senza doverne affrontare “le noie”, senza doversene assumere le responsabilità. Con una soglia di sbarramento alta si ottengono i vantaggi sperati, senza doversi concentrare su un maggiore legame con i territori, senza una maggiore competitività, senza una maggiore responsabilizzazione dei candidati. Con un effetto maggioritario farlocco (risultante dalla riforma costituzionale e non dalla legge elettorale) il Pd e il M5s possono ottenere, inoltre, il risultato di aggirare la necessità di coalizzarsi ufficialmente (che vi sarebbe con un maggioritario vero), potendo massimizzare ciascuno i propri voti attraverso una legge proporzionale; inoltre, il M5s senza la necessità di coalizzarsi alle elezioni per ottenere più seggi, potrà, nuovamente, una volta in Parlamento, agire da jolly per la formazione del Governo, alleandosi alternativamente con la destra o la sinistra.

È un modo per cristallizzare l’attuale situazione politica italiana, un bipolarismo “pseudo-maggioritario” che priva i parlamentari di qualsiasi autonomia; è una strategia che non assicura una particolare governabilità, ma assicura il pantano istituzionale, assicura la stabilità dei partiti ora al Governo.

Questa riforma, con quel che ne conseguirà, sembra quasi generare una spirale che ostacoli (almeno istituzionalmente) una nuova svolta politica: i partiti minori che vorrebbero porsi come un’alternativa ai due poli sono spinti ai margini di questo nuovo bipolarismo e, con una forma di ricatto istituzionale e elettorale vengono incentivati/costretti a integrarsi nelle coalizioni dei due poli illiberali e ad annullare la propria “alternatività”.

I partitini che si riconoscono in uno dei due poli saranno invece favoriti. Ugualmente, i parlamentari meno “ortodossi”, di qualunque polo, saranno ostracizzati, relegati ai limiti del Parlamento quali pericolosi eretici, polvere in un meccanismo altrimenti funzionante. Si tenta di istituzionalizzare un sistema per cui l’alternativa viene inglobata dai due poli artificiali, che  devono attrarre alle due estremità, come dei buchi neri, la novità e il non-conforme.

Si potrebbe identificare questa situazione come una situazione simile a una “partitocrazia” (una partitocrazia a partiti liquidi), a una riproposizione della centralità della DC, della balena bianca nella prima repubblica; tuttavia attualmente ci troviamo in un inquietante bipolarismo illiberale, con il M5S come arbitro della coalizione di governo: una nuova mostruosa “balena gialla”, senza i numeri della DC, ma con una rendita di posizione, visto il quadro politico, garantita anche con numeri relativamente bassi.

La bipolarizzazione fraudolenta del quadro politico impone uno schema per cui la polarizzazione dei voti porta alla radicalizzazione delle posizioni; non alla creazione di grandi partiti plurali, ma di “entità” frammentarie e grumose, tanto impolitiche sul piano dei contenuti quanto scatenate e ferine nella difesa dei propri spazi di potere. Anche in questo il M5S è l’esempio perfetto. Un partito che dice tutto e il suo contrario, che fa tutto e il suo contrario, che fa i governi con Salvini e poi “salva la patria” da Salvini, ma che rivendica una continuità di potere e di comando in nome della “coerenza” e lavora per annullare al proprio interno e al proprio esterno ogni forma di pluralismo politico e quindi la normale competizione democratica.

@ArikBriscuso