tridico di maio grande

La più classica operazione di dossieraggio compiuta dall’INPS grillina ha alimentato la macchina del fango referendaria e dato al capobanda ministeriale dei pentastellati, Di Maio, il pretesto per auspicare “una bella sfoltita” dei parlamentari e di "345 stipendi inutili". Tutto chiaro, no? 

Che la Direzione Antifrodi dell’istituto abbia inteso segnalare – a chi e perché? – richieste che tutto si possono qualificare, fuorché frodi, è l’unico aspetto davvero anomalo di una vicenda che proprio da questa anomalia – e non dal guardonismo di un’opinione pubblica infoiata, alla caccia dei nomi dei colpevoli – trae la propria morale politica, per molti versi illuminante del funzionamento del potere italiano e del suo uso disonesto dell’o-ne-stà e amorale del moralismo.

Non è del resto la prima volta che le informazioni sensibili e potenzialmente sputtananti – senza che si nasconda in esse neppure un’oncia di illecito – vengono volantinate da istituzioni dello Stato fedeli alla missione (abusiva) di far sapere al popolo quello che il popolo deve sapere.

La giustizia penale funziona così da alcuni decenni, estendendo la propria pretesa di un controllo di legalità pervasivo a quella di una vera e propria guardiania morale della società. Ora anche l’istituto diretto da Tridico – per l’eccesso di zelo di qualche onesto e scandalizzato funzionario, ovviamente, mica per un disegno costruito a tavolino – si è candidato al ruolo di sorvegliante speciale dell’etica pubblica e della morale privata dei politici. La “trasparenza” intesa come spiata e come velina dal potere e nelle guerre di potere è da sempre uno strumento sporco della politica e privilegiato della politica nemica della libertà, cioè dello stato di diritto.

Ma degli approfittatori, dei parlamentari con stipendi ricchi che sono andati a procurarsi all’INPS l’argent de poche di una grandeur poveraccia, che vogliamo dire? Assolutamente niente. Forse solo che sono perfettamente rappresentativi della lotta alla casta come nuovo gioco di casta e di un principio di selezione politica costruita sul disprezzo del ruolo parlamentare. Loro, i reprobi, sono solo i comprimari e non i protagonisti di questa messa in scena e non sono in nulla moralmente diversi dai loro accusatori, che sono sbarcati a Roma per aprire il Parlamento come una scatola di tonno e hanno occupato ogni Palazzo con un codazzo imbarazzante di paesani, di famigli e di compagni di scuola, tutti scossi dal brivido della grisaglia e delle auto blu del popolo, che sono diverse da quelle di prima solo perché ora le usano loro.

In Italia, trent’anni dopo, siamo ancora lì. Alla questione morale come orgia della cattiva coscienza di massa. Al dossieraggio di Stato come suprema forma di giustizia. A lanciare monetine e a rendere il più abusato e sordido trasformismo di potere uno spettacolo collettivo di sentimenti forti e perfino assoluti, a cui un popolo sempre più preoccupato del futuro e sempre più indisponibile a fare i conti con le ragioni del declino economico e civile dell’Italia partecipa rivendicando il proprio brandello di innocenza e invocando l’impiccagione dei colpevoli designati.

@carmelopalma