conte coronavirus grande

Gli eventi forman tutti una catena nel migliore dei mondi possibili, perché , finalmente, quando voi non foste stato cacciato a furia di calci nel deretano da un bel castello per amor di madamigella Cunegonda; quando non foste stato sottomesso all’Inquisizione; quando non aveste fatta a piedi l’America; quando non aveste dato un buon colpo di spada al barone; quando non aveste perso tutti i vostri montoni del bel paese d’Eldorado, non mangereste qui cedri canditi e pistacchi” il saggio Pangloss conclude con queste parole Candido di Voltaire.

Pangloss, alla fine della novella, “filosofo” mediocre di cui l’autore fa il principale zimbello (e parodia di Leibniz) del suo libro, continua ottusamente ad insistere, cieco di fronte a qualsiasi funesta traversia sua e del povero Candido, sulla sua teoria del “migliore dei mondi possibili” adducendo quali prove per tale sua congettura una serie di eventi che sarebbero piuttosto utili a smentirla.

Candido, dopo essere stato cacciato da un castello della Westfalia, è vittima dell’Inquisizione, si trova nel mezzo della distruzione del terremoto di Lisbona e, alla fine del suo tormento, si ritrova a coltivare in una piccola fattoria nel Bosforo a fianco della sua amata Cunegonda diventata orami “brutta assai”; a fronte di un tale susseguirsi di sventure il saggio Pangloss, a intervalli regolari durante il racconto, si ostina ad esaltare la propria ottimistica teoria con grottesco e comico effetto, sostenendo che, in realtà, sia tutto parte di una preordinata catena di eventi per cui le correnti disgrazie siano necessarie per prospere future felicità.

Ora, non si vorrebbe certo accusare i vertici dell’attuale Governo di essere leibniziani, tuttavia se gli esponenti del PD paiono come vittime di un incanto, instupiditi da un annebbiamento mentale che fa creder loro di prendere parte a quello che amenamente ed ingenuamente vedono come “il migliore dei governi possibili”, Conte sembra essere proprio l’ampolloso e garrulo predicatore della dottrina che stordisce Zingaretti.

Conte è un pifferaio di Hamelin, o forse, più propriamente - considerato il linguaggio falsamente forbito tramite il quale tenta di elevarsi - un filosofo improvvisato, un Pangloss. Pochi giorni fa in un’intervista alla Stampa Zingaretti diceva che a Conte “non c’è alternativa”, e, dunque, “smettiamola con la fantapolitica”. Questo il mantra che ripetono i politici del PD ormai da settembre: ovvero che questo governo che abbiamo è “il migliore dei governi possibile”. L’assurdo contrasto tra le varie inefficienze, esasperate, certo, dall’epidemia, ma oramai tanto più eclatanti e (osiamo dire) comiche (un Governo allo sbando, decreti che vengono prima pubblicizzati che pubblicati, un commissario che dovendo procurarsi forniture di mascherine riesce, al contrario, a renderle meno disponibili) e il racconto che di questa gestione viene fatto (“siamo un esempio per il mondo” e via dicendo) è, sì, incredibilmente simile al comico contrasto che Voltaire delinea tra le sventure di Candido e le prediche di Pangloss, ma è, tuttavia, anche indice di una chiara sindrome psicotica di mispercezione della realtà da cui sono affetti non solo il Pd, Italia Viva o il M5s, ma, a quanto appare, l’opinione pubblica italiana tutta.

Conte non accetta critiche ad Arcuri, perché (sembra affermare schernendo i giornalisti) Arcuri ha fatto tutto ciò che era possibile fare nelle condizioni in cui si trovava. Conte ha affermato, inoltre, che tutto ciò che egli stesso ha fatto lo rifarebbe, nessun dubbio! Proprio la filosofia del saggio Pangloss “le cose non possono essere altrimenti”. Se tutte le disavventure del povero Candido non hanno fatto cambiare idea al professor Pangloss, ma sono state viste come una necessaria e provvida catena di eventi, ugualmente nulla riesce a far cambiare idea a Zingaretti né tantomeno a Conte.

Il Pd ed Italia Viva per una sindrome di Stoccolma panglossiana, continuano ad autoconvincersi, pur governando e sostenendo un’agenda e delle proposte politiche, portate avanti dal M5s, non dissimili, per molti versi, da quelle di Salvini, di essere nella migliore delle coalizioni di governo possibili e che ogni altra opzione di governo sia e fosse in realtà impossibile. Come predica il saggio Conte, tutte le sventure e i miasmi politici in cui ci si è imbattuti negli ultimi mesi di governo sarebbero necessari per l’armonia generale e perfetta del Governo attuale.

Il filosofo turlupinatore, tanto rassicurante quanto improvvisato, stretto parente del saggio Pangloss di Voltaire, sembra volerci dire: “quando il Pd non avesse ceduto al M5s sulla prescrizione; quando il Pd non avesse ceduto al M5s su Quota100 e Reddito di cittadinanza nella legge di bilancio; quando la Lamorgese non avesse imitato il comportamento di Salvini nei confronti delle ONG; quando non si fosse strattonata la Costituzione con una emissione amorfa di DPCM, ora non saremmo un esempio da seguire nel mondo nella gestione dell’epidemia” o, ma forse non si osa tanto, “non avremmo le mascherine a 0,50 cent”.

Zingaretti nella sua intervista alla Stampa continuava “Ma le faccio una domanda: nelle condizioni politiche, economiche e sociali in cui ci troviamo, avremmo potuto fare di più e di meglio? Io dico di no”. Il migliore dei governi possibile, si autoconsola Zingaretti, ma non solo: il migliore dei governi possibili che ha fatto anche i migliori dei provvedimenti possibili, gestendo la crisi nel migliore dei modi possibili.

La situazione è tanto esilarante da raccontare quanto alienante da osservare nel suo susseguirsi. L’opinione pubblica italiana sembra, nondimeno, anch’essa convinta delle predicazioni leibnizianamente ottimistiche del Presidente del Consiglio, addirittura da un giornale sovente critico nei confronti di qualsiasi governo si è levata un’alzata di scudi contro gli “agguati” a Conte. Gli intellettuali dell’appello in difesa di Conte su Il Manifesto dichiarano di non voler dire che il Governo Conte sia “il migliore dei Governi possibile”, tuttavia la logica del loro appello sembra suffragare proprio questa tesi.

La logica attuale della politica italiana prende la forma di una concezione di meccanica necessaria, di incastri deterministici di “ragioni di Stato” e di cencellismi tra partiti. Italia Viva è arrivata al punto di votare contro una mozione di sfiducia al Ministro Bonafede che sosteneva di condividere nel contenuto, e ciò sembra avvenire in nome di un disegno determinato all’interno del quale, proprio secondo le predicazioni del saggio Conte, Bonafede è un elemento necessario alla ragione di Stato, necessario al Governo.

Una innovativa teodicea politica, ispirata non tanto a Leibniz quanto a Pangloss, quella del contratto giallorosso, che cerca di giustificare ed inserire le nefandezze (e le incompetenze) di Bonafede (ma anche di altri) all’interno di uno schema perfetto di “ragione di Stato e di Governo”.

Forse esagerando, si è constatato come il mantra del “migliore dei governi possibili a queste condizioni” nelle sue ultime epifanie abbia ironicamente richiamato il Candido, tuttavia, questa impostazione non è certo nuova per la politica italiana. La rivoluzione grillina, in Italia, è stato un cambiamento totale avvenuto affinché nulla cambiasse. È stata rivoluzionaria perché il paradigma e la dialettica politici italiani sono stati profondamente sconvolti, ma essa è stata una rivoluzione reazionaria: per passare come diceva Vittorini “di Vandea in Vandea”. Di partitocrazia in partitocrazia, dunque: l’Italia politica è un sistema ove gli interessi di partito vengono permanentemente visti come una meccanica deterministica e chiusa che debba per ragion di necessità (e di Stato) sopprimere la libertà di scelta dei singoli parlamentari.

Ma la ragion di Stato nell’Italia partitocratica è, generalmente, ragion di partito, ragione di sopravvivenza politica in un meccanismo ormai incancrenito. Le prospettive politiche future non vengono viste come determinate principalmente dal libero arbitrio dei loro attori, ma sono solo inserite all’interno di questo sopramenzionato meccanismo consociativo.

I nostri governanti non essendo probabilmente né avvezzi agli scritti di Voltaire, né profondi conoscitori della teodicea di Leibniz, non si rendono conto che, al contrario, la loro impostazione sulla “necessità” del loro governo e della sua perfezione, oltre a ricordarci la acuta parodia di Voltaire su un certo tipo di ottimismo, potrebbe purtroppo richiamare anche impostazioni filosofiche più deterministiche e (direbbe Popper) storicistiche che, per la nostra sollecitudine nei confronti della libertà personale, non sono affatto rassicuranti perché hanno dato adito ad altri e molti gravi, dispotici disastri politici.

@ArikBriscuso