Tra Conte e Salvini tertium datur. Col PD, se possibile, senza il PD se necessario
Istituzioni ed economia
Giuseppe Conte è Primo Ministro da oltre 600 giorni, i due quinti di Prodi, la metà di Craxi e i due terzi di Renzi; più di Monti, D’Alema, Ciampi, De Mita e il doppio di Letta. Insomma, non un periodo breve per gli standard italiani. Da che io ricordi, è l’unico Presidente del Consiglio arrivato a Palazzo Chigi senza mai essere stato eletto in alcuna assemblea o senza aver ricoperto incarichi precedenti di governo in Italia o in Ue, ma catapultatovi direttamente da una cattedra universitaria, nemmeno di primo piano e da alcune buone amicizie politiche.
Detto questo, che cosa ha caratterizzato fino ad oggi la stagione della premiership di Conte? In ordine sparso: decreti Sicurezza e chiusura dei porti; abolizione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio; prepensionamenti con quota cento; reddito di cittadinanza; riduzione insensata e antipolitica del numero dei parlamentari, che ha reso sgangherata la nostra Costituzione sul punto delicatissimo dell’equilibrio dei poteri e del ruolo della rappresentanza democratica; pasticcio sull’Ilva e agonia Alitalia. Potremmo aggiungere i dati sulla crescita azzerata e il debito che avanza, ma su questo, e solo su questo del breve elenco, l’avvocato del Popolo potrebbe almeno chiamare in correo tanti altri con qualche ragione.
Il Conte uno gialloverde ha mal-governato mentre il suo alter ego giallorosso Conte bis ha non-governato, vivacchiando senza nemmeno la forza di disfare qualcosina dell’agenda salviniana. Certo, di nuovo c’è un atteggiamento conciliante nei confronti della Ue: dissimulato di velleitarismo sul MES e comunque senza alcuna capacità di visione, ma indubbiamente meno preoccupante per Parigi e Berlino (dove purtroppo non mancano riflessi miopi di quelli a cui il declino italiano non dispiace, purché ordinato). Certo, il Conte bis, come il Conte uno, non ha aumentato l’IVA e mantenuto il deficit all’interno dei limiti europei. Certo, dall’estate scorsa Salvini, già sodale del Conte uno, viene tenuto fuori dal Governo anche se il suo consenso non sta affatto crollando e la sua relativa diminuzione è compensata dalla crescita di Fratelli d’Italia del “Dio, patria e famiglia”.
Con questo pedigree, davvero Giuseppe Conte può rappresentare un punto di riferimento politico per i progressisti, cioè di quanti vogliono governare il futuro piuttosto che rincorrere il passato, i bei tempi andati che non erano cosi belli e comunque non torneranno? Non scherziamo: Conte ha avallato e con coerenza salvaguardato la svolta reazionaria e nazional-populista di Salvini e Di Maio e oggi al più galleggia immobile, forte solo della debolezza altrui.
La crisi della scorsa settimana sulla follia grillina del blocco della prescrizione, pur rientrata prima di scoppiare, ci ha lasciato con una domanda: il Governo proseguirà, ma per fare cosa? Non c’è una idea (forte) sull’economia, l’industria e la competitività. Si festeggia un momentaneo scampato pericolo giacché i dazi trumpiani hanno schivato produzioni importanti per l’Italia, ma un paese in cui l’export è decisivo non ha ancora nemmeno un viceministro al Commercio internazionale. La decisione di togliere le competenze sulla internazionalizzazione delle imprese al Mise per spostarle alla Farnesina è stato un errore, ma una volta presa implicava un lavoro a tappe forzate per attuarla al meglio, non lo stallo. Così come la decisione, più comprensibile, di smembrare il ministero dell’Università e ricerca da quello dell’Istruzione è ancora in alto mare. Quindi, su export, scuola e università il Governo è fermo.
Torniamo al punto. Tolto lo “stiamo insieme se no torna Salvini”, quale idea “progressista” offre come alternativa ai nazional-populisti il Conte bis? Davvero dalle parti del PD e della maggioranza, si può pensare di offrire in pasto all’opinione pubblica per altri tre anni il racconto di un governo che non cadrà perché i deputati non vogliono rinunciare allo stipendio e quindi voteranno sempre per non fare cadere Conte? E che, in particolare, la maggioranza della maggioranza, cioè gli eletti del M5S, spaventati dai sondaggi subiscono la nemesi di avere ormai come unica ragione della loro attività politica di prolungare il più possibile la loro personale permanenza a Montecitorio e Palazzo Madama?
Paradossalmente ad oggi non sembrano tanto i grillini, peraltro, quelli pronti a votare tutto pur di non andare a casa, bensì il resto di una maggioranza che nulla ha cancellato del Governo precedente e in nulla sembra voler contraddire l’agenda populista a M5S. E intanto con un Parlamento mai così inattivo, nulla accade sui temi che non attengono all’agenda di governo, ma che potrebbero dividere la maggioranza, come lo ius culturae o il fine vita o la cannabis. Nulla può essere messo sul tavolo, se disturba la vita del Conte bis
L’idea di affidarsi all’inerzia dei singoli parlamentari e non ad una forte opzione politica e di Governo affinché la legislatura possa durare e il fronte nazional sovranista sgretolarsi o almeno indebolirsi è destinata al fallimento. L’accondiscendenza nei confronti della ascesa del partito di Giorgia Meloni come antagonista di Salvini è un sintomo ulteriore di resa: si affida ad una competizione interna ai sovranisti la possibilità di un ridimensionamento di Salvini, senza considerare che da questa competizione il fronte nazional populista ed eurofobico uscirà nel suo insieme più forte e ideologicamente radicalizzato.
Il Pd ha scelto di compiacere il M5S accettando di minare istituzioni e stato di diritto – taglio dei parlamentari, prescrizione – puntare su di una legge elettorale con una soglia mai sperimentata nella storia repubblicana, che vedrebbe formazioni politiche che anche raccogliendo due milioni di voti potrebbero non avere rappresentanza parlamentare, puntellare la leadership pirandelliana di Conte per arrivare ad un centrosinistra unito, allargato e caratterizzato dai populisti e dal populismo?
Continuo a pensare che non sarà possibile riempire tre anni di tatticismi e rinvii, pur tra stipendi e nomine, e ad un certo punto il fronte stretto attorno a Conte schianterà al cospetto di un’opposizione che invece mostra di avere idee chiare e un disegno (sbagliato, ma assai condiviso anche perché appare l’unico in campo, sia per chi lo costruisce, che per chi lo combatte) per il futuro dell’Italia. Ma se invece le cose continueranno, di fronte ad un PD che allarga il proprio campo ai populisti anziché cercare l’alleanza con i liberal-democratici, agli europeisti riformatori, ai riformisti a difesa dello stato di diritto e delle garanzie, spetterà di organizzare una proposta unitaria e federale, in piena autonomia dalla attuale maggioranza e in opposizione al Governo. Tra Conte e Salvini, tra il populismo e il sovranismo, tertium datur. Con il PD, se possibile, senza il PD se necessario.