Craxi e Hammamet. Riabilitare l’uomo per giudicare il politico
Istituzioni ed economia
Si rimane un po' perplessi di fronte al "pan-penalismo" e alla superficialità di chi liquida tutt'oggi Bettino Craxi e il craxismo rispettivamente come un latitante e come una forma spinta di edonismo arraffone di cui, va da sé, beneficiò la "casta" socialista – per dirla grillinamente – se non perfino il solo Craxi, a spese del popolo o, meglio, della gente, ovviamente parte lesa nel "grande furto" consumatosi durante la tarda Prima Repubblica.
In "Hammamet", il film di Gianni Amelio che a vent'anni dalla scomparsa del leader socialista ha riaperto il dibattito sul titolo con cui consegnarlo alla storia (latitante, appunto? Martire della transizione robesperriana dalla Prima alla Seconda Repubblica? Statista?), si assiste ad una semplice per quanto confusa "normalizzazione", ri-umanizzazione di Craxi, eppure i feticisti della condanna penale, della verità processuale assolutizzata e promossa a verità storica, mormorano.
Bisognerebbe invece riabilitare il Craxi uomo – non beatificarlo: riabilitarlo, come Amelio ha pur timidamente tentato di fare – così da poter esprimere un giudizio equanime sul Craxi politico.
Questi intuì la mediatizzazione e la spettacolarizzazione della politica (Rino Formica, riferendosi ai vip presenti ai congressi in era craxiana, coniò una locuzione fortunatissima: "nani e ballerine"), con tutto quel che ne consegue: la personalizzazione della leadership, speculare alla liquefazione del partito, la semplificazione del messaggio, il marketing, gli slogan… In estrema sintesi, la trasfigurazione dell'elettore in "tele-consumatore".
Autonomista nenniano, mise fine alla subordinazione non tanto e solo ideologica quanto perfino psicologica al PCI: falce e martello finirono in soffitta, sostituiti da un più minimal e post-ideologico, forse perfino commerciale garofano rosso e, quel che fu più clamorosamente eterodosso, "fece la barba a Marx" rivalutando il socialismo libertario (al cospetto di una modernizzazione/americanizzazione così traumatica nulla o quasi poté il pur innovativo "eurocomunismo" di Enrico Berlinguer…).
Sull'altro fronte, si appropriò della posizione "pivotale" che sin dal dopoguerra spettò alla Democrazia Cristiana – inchiodandola peraltro al sospetto di aver commesso un "presidenticidio": dopo il sequestro di Aldo Moro democristiani e comunisti furono, com'è noto, fermi su posizioni anti-trattativiste, a differenza appunto di Craxi, dichiaratosi disponibile a una "soluzione umanitaria" assieme a Fanfani e Pannella. Così il leader socialista riscattò il suo partito dalla marginalità cui era stato relegato durante la cosiddetta "solidarietà nazionale", sino a insediarsi a Palazzo Chigi nell'83, primo socialista a rivestire il ruolo di Presidente del consiglio.
Il resto è quello che, come si diceva, si vorrebbe fosse oggetto di un giudizio equanime, depurato da quell'odio "catartico" e disumanizzante di cui Craxi fu destinatario: la sterilizzazione della scala mobile, l'abbassamento del tasso d'inflazione, la revisione del Concordato, il "decreto Berlusconi", sino a quelle che a parare di chi scrive sono le sue colpe (politiche, lo si sottolinei) peggiori, cioè l'esplosione del debito pubblico e la mancata revisione in senso presidenzialista o semi-presidenzialista della Costituzione; in politica estera, il giudizio su Craxi sembra sia stato unanime circa la risolutezza con cui agì durante la crisi di Sigonella, mentre più controverso è il giudizio sull'appoggio dato dal PSI per l'istallazione dei missili Cruise, il sostegno alla causa palestinese e la posizione assunta nell'ambito della guerra delle Falkland. Si trattò sempre e comunque di una politica improntata, nel bene e nel male, a uno spregiudicato pragmatismo anti-ideologico.
Tutto questo, come si accennava all'inizio, è assente in "Hammamet" e – quel che è più grave – nel dibattito pubblico. Si nega al politico Craxi l'onore delle armi (l'indifferenza e il silenzio circa il suo operato è la manifestazione della condanna più pesante che ha subito e che gli è sopravvissuta, la damnatio memoriae) e si negò barbaramente all'uomo Craxi la facoltà di andare a curarsi a Milano. Era affetto da diabete, problemi cardiaci e, in ultimo, tumore al rene, ma il procuratore Francesco Saverio Borrelli insistette robesperrianamente sull'inevitabilità dell'arresto qualche istante dopo l'atterraggio; Ciampi, a sua volta, gli negò la grazia – anche in seguito a un pasticcio di Berlusconi che lo strattonò troppo esplicitamente.
Craxi fu dunque operato in un ospedale militare tunisino da medici del San Raffaele, in condizioni di fortuna: uno dei medici teneva la lampada, una scena assai "cinematografabile" che pure è stata esclusa dal film, come anche è assente quella strafottenza libertina e spendacciona tardo-socialista, nemesi della severa austerità tipica dell'alta Prima Repubblica, che fu anch'essa determinante alla buona riuscita dalla mostrificazione di Craxi presso un popolo moralista – e, va da sé, amorale – qual è quello italiano (scenari, questi, che avrebbero potuto esser estetizzati "sorrentinianamente").
Craxi, infatti, osò troppo: al congresso di Rimini parlò sullo sfondo di un tempio di cartapesta, in una sorta di auto-deificazione (di cartapesta anch'essa, inevitabilmente) che plastificò la sua inconsapevolezza per l'esito cui, tanto nella tradizione cattolica quanto, più generalmente, in quella dell'assolutismo politico, vanno incontro gli dei che si fanno carne; in questo Craxi fu ostinatamente complice dei suoi "carnefici": da predatore divenne preda – da leone, animale che gli venne persino regalato; a cinghialone – quasi orgogliosamente (in una lettera, poco prima che la tempesta si scatenasse, Marco Pannella gli manifestò la sua «paura per il grado di insensibilità con cui continui a farti odiare dalla gente»).
Manca anche questo nel film, e anche stavolta si tratta di qualcosa di parecchio videogenico, la preda che si compiace di esserlo e i cacciatori che, in piena estasi persecutorio-giustizialista, smarriscono qualunque lucidità – e ciò, beninteso, è legittimo: ogni regista sceglie quel che vuole narrare e lo imposta come vuole. Non si capisce solamente che bisogno ci fosse di ricorrere a una finzione che perde il confronto con la realtà; non si capisce ad esempio che bisogno ci fosse di "thrillerizzarlo" inserendo la figura di un ragazzo psicolabile, figlio di un socialista della vecchia scuola morto in circostanze misteriose, che gli fa da fotografo/figlio adottivo, quando la biografia del fotografo di Craxi realmente esistito, Umberto Cicconi, offre parecchio materiale da thriller, per l'appunto (rischiò di farsi ammazzare da una guardia del corpo di Arafat e un pestaggio del Kgb…).
Al termine del film, però, si assiste alla scena-paradigma dell'esito della vicenda umana e politica di Bettino Craxi: assiso agonizzante su una sedia a rotelle, viene deriso da comici "da Bagaglino", la platea ride e applaude rumorosamente. Si tratta di qualcosa di universale: gli stessi che glorificano qualcuno, l'indomani sono pronti a tempestarlo di monetine e oltraggiarne il cadavere l'indomani. Ma è una dinamica che ha delle specificità italiane: ci sia autoassolve dalle proprie colpe addebitandole a un singolo da fare fuori – la logica spietata, inumana del capro espiatorio – salvo poi né storicizzarlo, così razionalizzando il proprio passato (cosa che gli italiani fanno assai di rado), né men che meno divinizzarlo, come la tradizione mistico-religiosa vorrebbe: al contrario, lo si demonizza o, più laicamente, si insiste nella criminalizzazione. "Crimine", per l'appunto: alla magistratura, da allora in poi potere forte che beneficia del sostegno di masse di repressivisti che hanno individuato in essa la panacea di tutti i mali (e perfino di interi partiti politici nati nel brodo di coltura antiliberale del pan-penalismo), abbiamo appaltato persino l'interpretazione della storia.
Chi vorrebbe esprimere, come si diceva, un giudizio politico equanime è costretto a un sovrappiù di premesse e postille, nelle quali puntualizzare che la disapprovazione di questa o quella decisione o dell'intera politica tout court non trascende nell'ostilità umana alla persona o nella conformistica e codarda liquidazione della stagione craxiana a una vicenda da sbrigare in procura.