Il governo Conte II è politicamente bino, come il suo Presidente. 

Il Capo del governo è diventato il campione dell’equilibrio e della credibilità europea dell’Italia e del pappa e ciccia macron-merkeliano, dopo essere stato sensale e mandatario di un contratto euro-sfascista, sottoscritto dagli amichetti di Farage e della Le Pen e benedetto da zio Vlad.

Il suo è un esecutivo di sopravvivenza, negoziato tra due forze politiche che le elezioni anticipate avrebbero relegato all’opposizione e ispirato, anche fuori dal Parlamento, da chi ha reputato che la massima priorità repubblicana fosse quella di scongiurare un governo Salvini a breve (i governi Salvini et similia a lungo non sono invece entrati nel calcolo). Però il Conte II è anche qualcosa di altro e di più serio e “profondo”.

È il tentativo di ricongiungere la sinistra con il popolo perduto (o mai avuto) di un Paese che si fottuto pensando di essere “speciale” ed essendo invece semplicemente anomalo e attardato nell’illusione del benessere senza crescita, del reddito senza lavoro, dei diritti senza doveri. Un Paese insomma in cui il default etico-politico ha preceduto e causato quello economico-sociale.

Insomma il governo Conte II è una sorta di compromesso storico populista.
 Il PD si arrende all’idea di non potere né vincere, né governare senza le “masse antipolitiche”, il corrispondente contemporaneo delle “masse cattoliche”, inseguite dal sogno berlingueriano. Il nuovo partito di sistema, il M5S (Di Maio parla del partito-Rousseau come della nuova DC, “garante della stabilità del Paese”), esercita un potere prevalente e determinante, scegliendo di condividerne alcuni vantaggi e di scaricarne alcuni costi sull'alleato minore.

Berlinguer all’inizio degli anni 70, dopo il golpe in Cile, elaborò il fattore K nel senso dell’identificazione tra la normalizzazione democratica del PCI e la sua compromissione politica con l’inamovibile perno del sistema dei partiti e con la cultura della Chiesa (e di grandi maggioranze di italiani comuni), che la stagione post-conciliare aveva ammorbidito nella sua pregiudiziale anticomunista, ma non aveva ancora liberato dal dogma dell’unità politica dei cattolici.

Oggi il PD, per un gioco di carambole in cui c’entrano anche questioni di opportunità spicciola e personale, ha scelto di sposare una visione analoga, cioè l’idea della implausibilità di una alternativa di sinistra che sia alternativa non solo alla destra populista tradizionale (nazionalista, etnicista ecc. ecc.), ma anche al populismo trasversale e al ribellismo incazzato di un Paese che non credendo più alla politica è disponibile a credere a tutte le antipolitiche su piazza. Anche in questo caso la sinistra si illude di allearsi con il senso comune per averne ragione, per conquistarlo, per egemonizzarlo. Come allora, finirà male.

Come nel compromesso storico, l’impressione – non dico la speranza – è che sarà il partito compromesso (allora il PCI, oggi il PD) a perderci, non il partito compromettente, che il necessitato accordo rende intoccabile e solenne nella sua riconosciuta supremazia.

@carmelopalma