Non si vota più col portafogli. È una pessima novità culturale
Istituzioni ed economia
La nostalgia del Ventennio, la caccia ai rom o ai "ladri", le mascherate giustizialiste o garantiste sui casi di corruzione tentata, riuscita o malintesa: il “materiale” di questa campagna elettorale è doppiamente tossico. In primo luogo perché accende le passioni maligne di un elettorato disorientato, in cui l’odio diventa il triste surrogato della felicità. In secondo luogo perché dirotta l’attenzione di tutti e la logica di tutto – di qualunque discussione, di qualunque alternativa, di qualunque scelta – a una guerra tra mondi non comunicanti, in cui agli elettori è solo richiesto di decidere da che parte schierarsi e per che vessilli combattere. Guerreggiata a intensità crescente, la guerra civile populista, che non è solo tra M5S e Salvini, ma di tutti contro tutti, di fatto supera e cancella la dimensione della politica come governo, di mezzo di produzione di un prodotto che sia qualcosa di diverso e di più concreto del rimbombo del subconscio collettivo.
Il capolavoro politico del populismo è esattamente nella trasformazione dell’agorà politica - che dal V secolo avanti Cristo, quando venne “inventata” nella polis ateniese, è il luogo e il modo in cui le persone discutono delle scelte di governo e dei loro risultati – in una piazza anonima e indeterminata, in cui gli individui, nella loro singolarità, sono meri “conduttori” di passioni collettive. La comprensibile preoccupazione che il successo populista possa portare la politica oltre la democrazia, dovrebbe essere sopravanzata dal terrore che il populismo faccia pure di peggio traghetti la democrazia oltre la politica e ne faccia, appunto, un mero strumento alienazione collettiva e di condizionamento individuale.
Solo questa dinamica profonda può spiegare l’altrimenti incomprensibile, cioè perché ormai le dinamiche di consenso e i risultati di governo sembrino essere in larga misura indipendenti e comunque non rispondenti a una logica comune. Il successo populista è anche alla base di un fenomeno deteriore e irrazionale, cioè dell’assenza di interesse materiale e di “guadagno” nelle scelte di voto di vasti settori dell’opinione pubblica e in particolare di quelli che versano in condizioni di disagio e perfino di sofferenza economica più marcata. Quanto più platealmente si configura il processo democratico come un mero scambio di prestazioni: “io ti do il voto e tu mi dai...”, tanto più è evidente che la scarsa quantità e qualità delle prestazioni corrisposte non ha ricadute né immediate, né rilevanti sul consenso delle forze populiste.
Un anno di governo desolante, in cui nessuna promessa e stata mantenuta e nessun impegno adempiuto – dalla “abolizione” della povertà, alla riduzione della pressione fiscale, al rimpatrio di mezzo milione di irregolari – consegnerà a Lega e M5S più voti di quanti ne avevano complessivamente all’inizio di questo annus horribilis. Gli italiani – e non solo loro: si pensi ai britannici – hanno in larga parte smesso di votare col portafoglio, con calcolo magari cinico, ma razionale. Ed è una delle peggiori novità culturali nel tempo nuovo dell’antipolitica di governo.