carne vegetale grande

La dico subito: "Diffidate da chi si proclama ambientalista e non è vegano". Certo il vegetarianesimo aiuta, ma senza il passaggio definitivo a una dieta esclusivamente basata sulle piante le credenziali non saranno a cinque stelle (oddio che ho detto!). Se ancora non siete pronti al vegetale 100%, ci potrebbero essere le carni coltivate in laboratorio.

Anni di ricerca, e di investimenti, stanno iniziando a rendere possibile il "mangia come parli" contro il riscaldamento tellurico e le crudeltà nei confronti degli animali. Nella primavere del 2019 un primo esempio di cucina sostenibile è stata offerta da una catena di fast food (oddio che ho detto di nuovo!). Burger King ha infatti lanciato il suo Impossible Whopper di origine vegetale! 

Secondo quanto reso noto recentemente il panino presenterà lo stesso tipo di hamburger dell'opzione a base di carne (con pomodori, lattuga, maionese, sottaceti e cipolle bianche affettate sul classico panino con semi di sesamo: solo la mayo non sarà plant based, ma può essere rimossa per l'opzione vegana). L'esperimento dell'Impossible Whopper è iniziato in 59 punti vendita di St. Louis, Missouri; lo strepitoso successo adesso verrà portato a livello nazionale entro la fine del 2019. La strategia di marketing di José Cil, CEO della società madre di Burger King, Restaurant Brands International, è chiara: "Non si tratta di far scambiare il Whopper originale per l'Impossibile Whopper", si tratta di "attirare nuovi clienti". Una strategia che pare stia pagando e che, magari in futuro, potrebbe avere un impatto strutturale sul business model di Burger King o delle catene di fast food in generale.

Sono in molti a lavorare a carne che non sia fatta di carne. Il professore olandese di fisiologia Mark Post aveva già presentato la sua prima "bistecca in vitro. Questa che viene chiamata "utopia alimentare" fatta di carne senza bue sta piano piano divenendo realtà, materializzandosi in uno strano grumo di fibre muscolari colorate con succo di barbabietola, sintetizzato in laboratorio da cellule animali. In apparenza simile ad un classico burger di carne macinata. 
Ottenere carne senza uccidere animali non è più quindi fantascienza e il settore è al centro di massicci investimenti, inclusi quelli di personalità come gli uomini d'affari Richard Branson e Bill Gates o l'attore Leonardo DiCaprio.

In questo piatto potenzialmente ricchissimo ci si stanno infilando start-up statunitensi, israeliane ed europee -  Memphis Meats, JustAleph Farms,  SuperMeat, Future Meat Technologies, e Mosa Meat  - aprendo la strada in un contesto in cui tutti gli ambientalisti, e anche diversi medici e organizzazioni internazionali, a partire dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, propongono di ridurre il consumo di la carne per ragioni ambientali e di salute personale.

Ma come si raggiunge questo prodotto finale senza uccidere animali? La start up Mosa Meat prevede tre fasi principali: il processo inizia con una raccolta di cellule staminali dal muscolo di un animale, per esempio una mucca. Le cellule sono le stesse che creano nuovo tessuto muscolare quando il muscolo è ferito ed è con queste proprietà che si produce di carne in laboratorio. Formano una fibra muscolare chiamata "myotube" che non supera la lunghezza di 0,3 mm.

Messi in un gel, questi miotubi assumono gradualmente volume per diventare un piccolo pezzo di tessuto muscolare. I processi di produzione possono variare a seconda dell'azienda, ma anche per tipo di carne (principalmente carne di manzo, pollo e maiale). Affinché la carne cresca, occorre un periodo di circa 44 giorni: una mucca viene solitamente macellata dopo (pochi) anni di vita per la sua carne. Il settore non è però ancora completamente sviluppato, richiede innanzitutto un aumento del processo di produzione e nessuna delle start-up afferma di avere trovato tutte le soluzioni alle sfide poste: ad esempio, nessuno è ancora riuscito a sbarazzarsi del siero fetale di bovino e di altre molecole di origine animale che sono essenziali per la produzione di carne artificiale.

Secondo quel vulcano dell'innovazione (o pubbliche relazioni?) che è Richard Branson, nei prossimi 30 anni non verranno più uccisi animali per la loro carne. La carne coltivata sarà il futuro della carne; per Bill Gates la carne coltivata è una delle tecnologie chiave del 2019. Anche il settore della carne tradizionale (adesso dovremo chiamarla così?) ha iniziato a investire milioni in start-up per questa carne di coltura, tra i più grossi gli europei della Bell Food Group, o gli statunitensi Tyson Foods e Cargill: i loro investimenti di oggi potrebbero tornare utili se le profezie di Sir Richard si dovessero avverare.

Questo famigerato siero fetale bovino è ottenuto dal sangue di feti prelevati da vacche gravide al momento della macellazione, si tratta di un costoso "elisir" che rappresenta circa l'80% del costo di produzione della carne artificiale e che comunque potrebbe rappresentare un problema per un tipo di consumatore contrario agli allevamenti e alla macellazione degli animali. Le cellule staminali sono anche problematiche perché non si riproducono indefinitamente: alcune start-up stanno esplorando il percorso di modificazione genetica, che renderebbe questa carne "OGM". 

Con queste premesse, la sfida della carne coltivata è quindi quella di riuscire a produrre con prezzi e pezzi da macellaio, non solo carne macinata. Di certo, al momento, la ricerca e le sue applicazioni sono la voce di bilancio maggiormente impegnata da queste aziende ad altissimo tasso d'innovazione. 
Uno dei motivi principali per questo cambio di produzione sembra essere, almeno nella letteratura propagandistica di queste nuove tecnologie, la "causa ambientale". La produzione di carne per come la conosciamo oggi è una delle attività umane più inquinanti e consumatrici di risorse, per non parlare delle questioni etiche sollevate dall'abuso di animali nel settore dell'allevamento.

La bistecca coltivata sarebbe infatti un'alternativa molto meno inquinante e potrebbe contribuire al risparmio energetico - secondo Mosa Meat  un campione di cellule prelevate da una mucca produrrebbe fino 80.000 pezzi di carne, mentre oggi ci vorrebbero quasi 34 mucche per la stessa quantità. La carne in vitro sarebbe quindi la soluzione ideale, secondo i suoi promotori che stanno cercando di imporre il nome "carne pulita" per descrivere questa nuova industria. Sui benefici ambientali di questa alternativa però i pareri sono discordi. Uno studio dei ricercatori delle università di Oxford e Amsterdam  che ha annunciato nel 2011 una drastica riduzione dell'impatto ambientale, è stato successivamente fortemente criticato in particolare sui valori di alcuni parametri. Ma la ricerca continua.

Tra l'altro pare piuttosto difficile stimare ragionevolmente il consumo di energia delle fabbriche di carne coltivata quando oggi non esiste alcun processo di produzione. Alcuni dei risultati ottimistici del 2011 son sono stati rivisti al ribasso il World Economic Forum di quest'anno ha dichiarato che le emissioni di carne coltivata sarebbero inferiori solo di circa il 7%  rispetto a quelle dell'attuale produzione di carni bovine, mentre, come segnala il sito The Conversation
un nuovo studio pubblicato a febbraio di quest'anno sostiene che, a lungo termine, questa industria emergente potrebbe essere ancora più inquinante del bestiame attuale.

L'altra argomentazione avanzata dai promotori della carne da laboratorio riguarda la salute: non conterrebbe infatti residui antibiotici e non presenterebbe un rischio di contaminazione batteriologica che accompagna le carni macellate. Questa "pulizia" della carne artificiale è, tanto per cambiare, ampiamente messa in discussione. Il famoso siero nutrizionale di cui sopra è composto da fattori di crescita, nutrienti energetici, amminoacidi, ormoni e antibiotici e antimicotici. Il materiale per l'impalcatura necessario per la sua produzione contiene collagene e gelatina.

Sempre The Conversation segnala che l'industrializzazione della produzione potrebbe comportare l'ingresso di agenti patogeni come la listeria. Gli scienziati osservano che i protocolli necessari per produrre volumi commerciali sarebbero superiori a quelli richiesti nell'industria farmaceutica. La coltura cellulare a questa scala pone seri rischi di contaminazione crociata.

Quindi, in un mondo in cui cresce la popolazione e in preda all'emergenza climatica, come potrà esser possibile soddisfare l'appetito umano per la carne? Le industrie emergenti delle "carni artificiali" completeranno senza dubbio l'offerta che oggi vede la carne vegetale come l'unica alternativa alla carne tradizionale. Stiamo pur sempre parlando di un mercato globale di 180 miliardi di euro annui! Se tanto mi dà tanto, i futuri giganti dell'agricoltura cellulare saranno delle start-up sostenute dai produttori di carne, in collaborazione con importanti gruppi farmaceutici per i quali questo mercato costituisce un'estensione della loro catena produttiva.

Occorre quindi interessarsene all'inizio, perché là dove c'è innovazione privata c'è, giustamente, tornaconto economico e il valore aggiunto sarà il frutto di ricerche che porteranno a brevetti. Anche qui, come già accaduto in passato, occorre tenere separati processi produttivi e prodotti finiti e includere nelle necessarie decisioni legislative tanto la scienza quanto gli impatti ambientali, e quindi socio-economici (e culturali) che queste innovazioni porteranno. Ce la faremo a poter essere ambientalisti scientifici durante tutto il processo decisionale?

Per ora la carne vegetale è una realtà, per il futuro, se e quando ricerche, studi e confutazioni avranno confermato quanto affermato, ci potranno esser carni di derivazione animale che non implicano il macello delle bestie da cui provengono. Nel frattempo, per esser sinceramente ambientalisti occorre perseguire "solo" stili e scelte alimentari senza animali.