DellaVedova gennaio deadend

Ho sempre guardato con sospetto chi si cimenta in analogie tra le famiglie politiche americane e quelle italiane o in generale europeo-continentali. I partiti americani hanno avuto una storia molto diversa dalla nostra; chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la storia americana recente sa benissimo per esempio che nessuno dei due partiti tradizionali ha mai messo in dubbio l’economia di mercato e la tutela assoluta della proprietà privata, e che l’influenza del comunismo e del socialismo nel paese è stata storicamente molto limitata, cosa che rende arduo quindi tracciare paragoni tra i Democrats americani e alcuni partiti socialdemocratici europei.

Altrettanto inappropriato può essere fare paragoni tra i repubblicani americani e i partiti conservatori europei, soprattutto quando si affrontano temi economici (la destra europea è generalmente nazionalista e protezionista: tutto il contrario dei repubblicani, perlomeno prima di Trump) e se si guarda alla base elettorale che ha sostenuto tradizionalmente questi partiti.

Tuttavia, un recente special report dell’Economist che ha dedicato una bella retrospettiva ai destini dei Democrats americani mi ha fatto ricredere almeno in parte e mi ha spinto a pensare che forse le conclusioni della rivista inglese avrebbero qualcosa da dire anche al partito che in Italia, a torto o a ragione, si è più ispirato ai Democrats americani, condividendone gioie e dolori. Vediamo cosa dice l’Economist sui Democrats americani.

1. La vittoria di Trump ha spinto moltissimi iscritti o simpatizzanti a darsi alla militanza attiva per evitare una rielezione del nemico n.1 nel 2020. Madri di famiglia, professionisti, imprenditori, soprattutto molte donne; questa linfa nuova potrebbe costituire la migliore carta da giocare alle elezioni mid-term. La stessa cosa era avvenuta, piu’ o meno, con il PD sotto la leadership di Renzi.

2. Tuttavia, il partito democratico USA resta un mosaico di gruppi con idee anche molto diverse ed è’ meno coeso dei repubblicani che comunque stanno facendo quadrato intorno a un presidente (anche se non molto amato) e che riescono ad esprimere valori chiari, netti, immediatamente riconoscibili dall’elettorato. Anche questo mi ricorda qualcosa, sebbene da noi si parli di “correnti”, che sono a mio avviso meno giustificabili considerato che militanti e iscritti del PD sono molto meno numerosi dei Democrats e quindi dovrebbero essere meno divisi.

3. La leadership democratica americana è incerta se spostarsi verso “sinistra” o verso il “centro”, ovvero se essere puramente “liberal” (termine che in America significa sinistra) o qualcos’altro di mezzo. Dibattito che esiste anche in Italia all’interno del PD e che lo lacera tutti i giorni.

4. Nell’incertezza della direzione, tuttavia, i Democrats stanno lasciando spazio eccessivo a gruppi che fanno della difesa dei diritti civili l’unico messaggio: diritti delle minoranze, degli immigrati (con la proposta di abolire anche il dipartimento che si occupa di rimpatriare gli irregolari!), diritti LGBT, ecc. Questi messaggi purtroppo risuonano solo con una parte dell’elettorato democratico, e anzi confondono l’elettorato “di mezzo”, soprattutto “le famiglie” che, dice l’Economist, semplicemente fanno fatica a capire come in un programma si possa parlare “20 volte di diritti LGBT e mai di immigrazione illegale”. Qui i paragoni con l’Italia si affievoliscono anche perché il compito di fare dei diritti civili la (quasi unica) battaglia in Italia e’ stato svolto tradizionalmente da partiti esterni al PD sebbene ad esso frequentemente alleati.

5. Infine, i Democratici USA sono ossessionati più di quanto sarebbe necessario dal garantire la “diversità” sia nelle classi dirgenti che nelle candidature alle prossime cruciali elezioni mid-term, con un occhio particolare alle minoranze più disagiate. Al punto che in qualsiasi evento politico di qualche dimensione si deve garantire la presenza di speaker con caratteristiche diverse: donne, uomini, gay, etero, neri, bianchi, cittadini, immigrati regolari, immigrati irregolari. Il rischio è che questi esercizi in “diversità” (candidare un cittadino di origini egiziane alla guida del Michigan, per esempio) possano diventare fini a se stessi o avere un effetto boomerang devastante.

Quali sono le chances di vittoria Democrats alle prossime elezioni mid-term? Secondo l’Economist, data la situazione sopra descritta il partito ad oggi ha non piu’ del 50% di chances di vincere. Con una congiuntura economica in miglioramento, un possibile confronto “patriottico” con l’Iran nel pentolone, e un sistema elettorale che generalmente punisce i democratici anche a causa della conformazione dei collegi elettorali, il 50% non è assolutamente garanzia di vittoria.

Fin qui l’analisi, che si può più o meno condividere, ma nella quale mi sembra di trovare spunti applicabili anche alla situazione italiana. La parte più interessante però sono i "consigli" ai Democrats da parte di un giornale che si augura ovviamente la loro vittoria.

I Democratici non devono abbandonare la difesa di gruppi piccoli e vulnerabili della società (immigrati, islamici, neri, gay), ma non possono pensare di costruire una coalizione vincente intorno ad essi. Né devono costruire intorno a queste identità una serie di diritti che sembrano esistere solo in contrasto con quelli della popolazione in generale. In altre parole, se i Democratici vengono visti solo come il partito che “difende i neri, CONTRO i privilegi dei bianchi” o gli “immigrati irregolari CONTRO il resto della popolazione americana”, finirà per fare battaglie di principio o di lobbying in favore di queste comunità, senza avere alcuna speranza di riconquistare il potere e quindi di incidere sulla vita delle stesse. 

Molti democratici, dice l’Economist, sono rimasti ‘scioccati” da quello che la vittoria di Trump ha rivelato del proprio paese e dei propri concittadini, lo stesso choc avuto in Italia dalla dirigenza del PD (forse quella meno attenta all’umore del paese). La tentazione di prenderserla con gli elettori ignoranti traviati dai discorsi da bar di un Trump o per tornare ai nostri lidi di un Salvini o Grillo è forte. Eppure, dice la rivista, le nazioni - come i bambini - non rispondono bene ai rimproveri continui. Vanno incoraggiate, dicendogli che se la stanno cavando, ma possono fare meglio.

Data la natura frastagliata del mondo democratico americano, dovrebbe essere possibile accogliere sotto lo stesso tetto dei Democrats anche persone con opinioni diverse: donne contrarie all’aborto ma in favore dell’Obamacare così come donne che odiano il maschilismo di Trump, per esempio. La ricerca di una purezza ideologica non si addice ad un partito che ha fatto del progressismo la sua bandiera e che quindi non può rintanarsi, come i repubblicani, all’interno di un quadrato di idee e convinzioni immutabili senza compromessi con i cambiamenti che avvengono comunque nella realtà. Infatti la rivista riporta un sondaggio secondo cui ben il 92% dei votanti Democrats ritiene che la linea guida nella vita di una persona debba essere proprio questa “flessibilità” e capacità di mettere da parte le proprie convinzioni se necessario.

Si potrebbe quindi scoprire alla fine che non c’e’ una vera distinzione tra “centro” e “sinistra”, ma che gli obiettivi sono simili: cambia invece solo il metodo scelto per raggiungerli e le parole scelte per spiegarli. Tornano ai nostri lidi, il PD potrebbe cominciare a chiedersi quindi se gli obiettivi generali che si prefigge per l’Italia non siano in fin dei conti gli stessi e se le differenze invece siano solo una questione di metodo e comunicazione.

L’ultimo suggerimento - e quello che, nell’opinione dell’Economist forse potrebbe essere il piu’ difficile da digerire per i Democrats - è quello di recuperare un minimo di patriottismo positivo, che è diverso dal nazionalismo. Il patriottismo che ci ricorda chi siamo, da dove veniamo e che una democrazia deve difendere (o comunque dare l’idea che si stiano difendendo) sempre ed in primis gli interessi dei cittadini-elettori. Food for thought anche per i Dem italiani, i quali hannoun vantaggio rispetto ai democratici americani: la capacità dimostrata finora di saper gestire molto meglio degli avversari politici un’economia complessa e a rischio come quella italiana irreversibilmente integrata con l’Europa e il resto del mondo. E hai detto niente.