Corsi e ricorsi storici: qualche millennio dopo l'Impero Romano, oggi è l'Unione Europea a bussare alla porta del Sud-est asiatico per intessere rapporti commerciali sempre più stretti con i suoi mercati.

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Nella sua totalità, l'ASEAN rappresenta già il terzo partner commerciale dell'Unione Europea, dopo gli USA e la Cina, con un volume di scambi superiore ai 240 miliardi di Euro l'anno. E l'interesse pare essere reciproco, dato che l'Unione Europea è il terzo partner dell'ASEAN dopo Cina e Giappone, nonché il suo primo investitore.

La nuova via della seta, però, è una strada ancora tutta da percorrere. L'idea di lavorare a un trattato di libero scambio con i Paesi dell'ASEAN fu messa nero su bianco dal Consiglio europeo già nel 2007, ma dopo sette incontri nel giro di due anni, nel marzo 2009, le parti alzarono bandiera bianca per le criticità sorte nel tentativo di trovare una base comune su cui lavorare: ostacoli che, col senno di poi, non possono sorprendere, date le difficoltà che l'ASEAN ha anche solo nel mantenimento degli accordi di libero scambio all'interno della regione.

Le parti si accordarono per rimandare le trattative a data da destinarsi, ma l'ASEAN autorizzò informalmente l'Unione Europea a negoziare per l'adozione di free trade agreements (FTA) direttamente con i singoli Stati, con l'obiettivo di ripartire da quei testi per consolidarli in un accordo omnicomprensivo con tutta l'ASEAN.

E così, nel marzo 2010 l'Unione Europea aprì le trattative con Singapore. Trattative che, nel settembre 2013, hanno portato a un testo condiviso, tuttora sottoposto al vaglio della Commissione e del Parlamento europeo ma comunque già molto importante, per almeno tre motivi.

Innanzitutto, a livello simbolico, perché Singapore è il primo Stato della regione con cui l'UE sia riuscita a concludere un accordo. In secondo luogo, per l'importanza economica del trattato: Singapore è il primo partner commerciale dell'UE nella regione, con un trend in continua ascesa (dal 2008 al 2013 lo scambio di beni è cresciuto di più del 20%, lo scambio di servizi addirittura del 40%) e sicuramente il miglior investment climate in tutta l'area. Infine, il FTA stipulato con Singapore è fondamentale perché va ben oltre gli standard definiti dalla WTO per la stipula di accordi simili.

In linea di principio, l'UE e Singapore si sono impegnati a offrire reciprocamente il best treatment messo a disposizione ad altri partner commerciali, garantendo condizioni di parità per le imprese attive nei rispettivi mercati di appartenenza e grandi opportunità per gli investimenti esteri grazie a un livello di protezione sostanzialmente identico a quello previsto all'interno dell'UE.

Pochi mesi dopo l'apertura delle trattative con Singapore, l'UE invitò a Bruxelles anche la Malesia. La rapidissima crescita economica di quest'ultimo Paese, tuttavia, indusse il suo governo alla prudenza, nella convinzione che sarebbe stato saggio adottare misure protezionistiche per far crescere la propria economia interna, prima di aprirsi al commercio internazionale. I mastodontici piani di politica industriale messi in campo dal governo malese negli anni successivi complicarono le negoziazioni, che furono definitivamente abbandonate dopo le elezioni in Malesia nel 2013.

Nel frattempo, l'UE ha iniziato a negoziare l'adozione di accordi di libero scambio anche con il Vietnam, nel 2012, e la Thailandia, nel 2013. Le speranze di pervenire a risultati concreti, tuttavia, per il momento restano tiepide. Tutti i Paesi dell'ASEAN stanno vivendo anni di fortissima crescita e non è un mistero che i rispettivi governi vedano spesso come una minaccia all'equilibrio raggiunto l'adozione di FTA.

La costruzione di una vera free trade area all'interno dei confini dell'ASEAN, in questo senso, potrebbe forse costituire un passo importante per superare - anche psicologicamente - il timore del neo-colonialismo, rendendo l'area indipendente e più unita anche nel contesto internazionale. Senza contare che l'enorme bacino di consumatori, se inserito in un contesto commerciale unificato, potrebbe far aumentare vertiginosamente gli investimenti esteri, attratti da un mercato potenziale di quasi 600 milioni di persone.

Tutte carte che l'UE sta cercando di mettere sul tavolo, finora con risultati altalenanti, ma con la speranza che l'accordo con Singapore costituisca davvero la prima tappa di una via della seta ancora tutta da tracciare.