Tapparini Trump

I Repubblicani stanno per cogliere il loro primo significativo successo legislativo da quando hanno assunto il controllo del Congresso. In questi giorni, la Camera dei rappresentanti ed il Senato hanno approvato la più radicale riscrittura della legislazione fiscale degli ultimi decenni.

La riforma fiscale di 1.5 trilioni di dollari voluta da Donald Trump, che nei prossimi giorni giungerà sul tavolo del presidente, introduce un esteso e duraturo taglio delle tasse per le imprese e riduce (temporaneamente) le tasse sulle persone. Il provvedimento è destinato ad avere vasti effetti sull’economia. Non sono mancati, tuttavia, gli inciampi. Il testo definitivo (lungo più di mille pagine) di quella che il New York Times ha definito una “rapina storica”, un provvedimento che “mette le mani nelle tasche dei vostri figli”, è stato assemblato da una Commissione formata dai rappresentanti di Camera e Senato che ha dovuto conciliare i diversi provvedimenti licenziati da entrambe le camere. In questi giorni, il Senato ha modificato ulteriormente il disegno di legge che deve perciò tornare alla Camera (tra le cose ritenute inappropriate c’è anche il titolo del provvedimento: “Tax Cuts and Jobs Act”).

L’approvazione della legge è stata accompagnata dall’opposizione risoluta dei Democratici, che hanno accusato i Repubblicani di fare un regalo ai ricchi e alle grandi imprese e di far lievitare il debito federale. Non un solo Democratico ha sostenuto la legge di riforma (12 Repubblicani hanno invece votato contro il provvedimento alla Camera). La leader democratica della Camera, la californiana Nancy Pelosi, ha definito la riforma un imbroglio, dicendo che “è semplicemente un furto, una rapina monumentale, sfacciata, che ruba a man salva alla classe media americana e a ogni persona che aspira a farne parte”. E John Cassidy, sul New Yorker, ha ribadito che l’ultima redazione del disegno di legge è “altrettanto regressiva (grava cioè maggiormente sui redditi minori) e fiscalmente irresponsabile di entrambi i provvedimenti che lo hanno preceduto, e forse di più”.

Stando al testo, le tasse per le imprese scenderanno al 21% dall’attuale 35%. I Repubblicani al solito scommettono che, in questo modo, ci sarà maggiore crescita economica, aumenteranno i posti di lavoro e cresceranno i salari. I tagli alle tasse riguardano anche le persone, inclusa l’aliquota massima che scende dall’attuale 39.6% al 37%. Il valore delle eredità al riparo dalla tassa di successione, per le coppie sposate, raddoppia fino a 22 milioni di dollari e i titolari di “pass-through businesses” (le imprese i cui profitti sono tassati attraverso un’imposta individuale) possono dedurre fino al 20% del loro reddito d’impresa. Ma le riduzioni fiscali per le persone sono destinate a spirare nel 2025, una misura che i Repubblicani hanno dovuto prendere per conformarsi alle regole di bilancio, che non consentono al provvedimento di aumentare il deficit per più di un decennio.

La riforma fiscale finirà per influenzare il business e le persone in modo diverso, con vincitori e perdenti che spesso saranno decisi dal tipo di attività intrapresa o dalla geografia. Ma la sua portata va oltre le tasse e colpisce al cuore un elemento centrale dell’Affordable Care Act, la riforma sanitaria voluta dal presidente Barack Obama, eliminando l’obbligo di sottoscrivere un’assicurazione sanitaria previsto dall’Obamacare. Si tratta della pietra angolare della riforma. Costringendo, infatti, persone sane a pagare un’assicurazione (cosa che in condizioni normali potrebbero decidere di non fare), si riusciva a mantenere basso il prezzo delle assicurazioni per le persone che altrimenti non avrebbero potuto permettersela. Una mossa che il Congressional Budget Office stima farà crescere i prezzi. A farne le spese saranno soprattutto i più poveri, che hanno lavori che non garantiscono una copertura sanitaria (entro il 2027 pare ci saranno 13 milioni di assicurati in meno). La riforma fiscale, inoltre, aprirà perfino l’Arctic National Wildlife Refuge in Alaska alle trivellazioni petrolifere e alle perforazioni per l’estrazione del gas, una sconfitta per gli ambientalisti che si sono opposti a questa eventualità per decenni.

“Oggi - ha detto lo speaker Paul Ryan prima del voto della Camera -, stiamo restituendo alla gente il loro denaro”; e dopo il voto della Camera, Trump si è complimentato, su Twitter, con “all great House Republicans who voted in favor of cutting your taxes!” ed è tornato a celebrare l’avvenimento dopo il passaggio al Senato: “The United States Senate just passed the biggest in history Tax Cut and Reform Bill. Terrible Individual Mandate (ObamaCare) Repealed.”

L’attuale riforma è paragonabile all’enorme taglio delle tasse del 1981, il quale, come allora sostennero i proponenti, doveva ripagarsi da solo con la crescita economica; e come il disegno di legge attuale, il provvedimento del 1981 era un’enorme riduzione fiscale per i ricchi e le grandi imprese. La crescita economica prevista non si è, tuttavia, materializzata e, invece, il deficit è cresciuto. Nel tentativo di contenere il deficit, il Congresso dovette annullare i tagli del 1981 e aumentare le tasse un anno dopo e poi di nuovo nel 1983 e nel 1984. Un esito simile attende, verosimilmente, l’attuale riforma quando queste previsioni finiranno per non ripagarsi da sole.

Il Joint Committee on Taxation, una delle istituzioni (non politiche) più rispettate, calcola che il provvedimento potrebbe stimolare una crescita dello 0.8% nell’arco di dieci anni e che, tuttavia, l’extra gettito non sarebbe (neppure lontanamente) sufficiente a coprire le perdite per l’erario derivante dal taglio delle tasse. Il JCT stima che, se non ci dovessero essere effetti significativi sull’economia, la riforma aggiungerebbe 1.4 trilioni di dollari al deficit federale in dieci anni. Prendendo invece in considerazione una maggiore crescita, il provvedimento finirebbe per accrescere il deficit federale (solo) di 1 trilione di dollari, più di quanto abbia fatto il provvedimento di stimolo assunto dal presidente Obama per salvare l’economia durante la Grande Recessione. Un’indagine condotta dall’Università di Chicago tra i maggiori economisti del paese è giunta alle stesse conclusioni. Non uno solo degli esperti ha detto che il provvedimento in discussione avrebbe portato alla diminuzione del rapporto debito-Pil.

I Repubblicani potevano scegliere di lavorare con i Democratici per approvare modifiche più equilibrate, meditate e durature al sistema fiscale. Non l’hanno fatto ed è probabile che la loro vittoria sulle tasse si riveli effimera. Poi, forse, saranno pronti per una vera riforma.