puigdemont

C’è un filo che sembra legare i referendum di Tsipras, Cameron e Puigdemont, ed è l'idea che si possa usare il potere politico di cui si dispone per intraprendere iniziative eversive - laddove "eversive" è una considerazione di fatto, non un giudizio di valore sulle ragioni sottostanti - senza curarsi troppo delle conseguenze, delle reazioni, del rapporto tra costi e benefici.

Una sorta di "politica dell’irresponsabilità", che forse è l’esito inevitabile di decenni pacifici e di sostanziale relativo benessere, durante i quali le scelte politiche non hanno mai indotto profondi e radicali mutamenti nella vita delle persone. L'escalation catalana di questi giorni non fa che evidenziare di più ogni ora che passa l'enorme sproporzione tra costi e benefici del referendum sull'indipendenza, a favore dei costi, così come è stato subito evidente dopo il referendum sulla Brexit e dopo quello greco contro il piano di salvataggio europeo. Anche in quelle occasioni c'è stata una sorta di brusco risveglio alla realtà, una caduta di massa dal pero, come se le conseguenze non fossero invece ben visibili anche prima.

Le differenze tra un caso e l’altro ci sono, e sono sostanziali. Ma ciò che li rende in qualche modo simili, o almeno “omologhi”, è l’illusione che si possano con leggerezza affidare al popolo decisioni che avranno effetti devastanti sull'assetto di una nazione - è la leggerezza chiaramente l’errore, non il ricorso al voto democratico su questioni cruciali -, come se il voto stesso esaurisse le "cose da fare" e non ci fosse una fase di transizione, costosa e traumatica, da affrontare. E come se il sostegno popolare alleggerisse automaticamente dalla responsabilità di guidare la propria gente e il proprio paese attraverso questa transizione. Piuttosto basta e avanza evocare, come un incantesimo, il Popolo che si fa guida della nazione: in quale altro paese dell'Europa mediterranea sentiamo spesso raccontare questa rassicurante favola della buonanotte? In quale altro paese dell'Europa mediterranea assistiamo all'invocazione del giudizio divino del voto popolare, espresso anche in questo caso via referendum, per decidere la permanenza o meno nella moneta unica?

Tsipras pensava che si potesse dire No al piano di salvataggio europeo e al tempo stesso non affrontare la crisi che stava trascinando il suo paese fuori dall’Euro, e si è risvegliato il giorno dopo il referendum (vinto) con le banche prese d'assalto e il paese a corto di liquidità. Chi l'avrebbe mai detto? Anche i leader britannici che hanno guidato la campagna per il “leave” al referendum sulla Brexit pensavano - o, peggio, lasciavano pensare - che fosse una passeggiata, ma il giorno dopo il referendum (vinto), rispondevano balbettando ai giornalisti che rammentavano loro i costi da sostenere, e che chiedevano “e adesso che si fa?”. Alcuni di loro sono usciti repentinamente di scena dalla porta di servizio per evitare di sobbarcarsi l'onere di condurre davvero la trattativa per l'uscita dall’Unione Europea.

Oggi in Catalogna, dopo il referendum (vinto), a frittata fatta, si comincia a realizzare che votare per l'indipendenza non basta, e che ci sono comunque costi enormi da sostenere dopo il voto: costi economici, con l’esodo delle banche e delle grandi aziende verso le altre regioni del paese, e costi politici che potrebbero anche assumere la forma spaventosa di una guerra civile, con tutto quel che ne conseguirebbe, se qualcuno non si deciderà a mettere l'interesse generale al di sopra della propria personale credibilità, e a tirare il freno a mano - ad Alexis Tsipras va riconosciuto il merito di averlo fatto, suo malgrado - prima che sia troppo tardi.

@giordanomasini