iuventa

Le parole a cui il senatore Esposito è stato crocifisso non sono un esercizio di cinismo, ma di onesta razionalità. Le ONG fanno un “mestiere” che non è quello delle istituzioni legali. Il loro compito è soccorrere e salvare vite umane sofferenti o in pericolo, non quello di contrastare le organizzazioni criminali, con cui possono agevolmente, dal punto di vista morale, anche scendere a patti pur di conseguire il proprio obiettivo. Le navi della marina militare italiana non potrebbero darsi appuntamento con gli scafisti o con i loro emissari, per prendere in carico, minimizzando i rischi, le tonnellate di derelitti stipati sulle bagnarole al largo delle coste libiche, come la Iuventa è stata accusata (accusata, non condannata) di aver fatto non solo da parte della magistratura italiana, ma anche da parte di altre ONG.

Peraltro, l’umanitarismo anarchico e “antagonista” della ONG tedesca Jugend Rettet, che rivendica non solo il proprio diritto di salvare vite, ma anche quello di difendere l’altrui diritto di migrazione come diritto umano assoluto e indisponibile, è molto lontano dall’ispirazione delle ONG attive nel Mediterraneo e anche di quelle, come Medici Senza Frontiere, indisponibili a sottoscrivere il codice di condotta del Ministero dell’Interno.

Nondimeno il fatto che la Iuventa possa aver fatto illegalmente ciò che gli apparati di sicurezza degli stati fanno spesso segretamente – negoziare coi criminali e perfino pagarli, per salvare la vita delle loro vittime – non rende la loro pirateria umanitaria responsabile dei crimini in cui finiscono – appunto per “mestiere” – invischiati. Non più di quanto gli uomini dei servizi di mezzo mondo siano responsabili dei crimini dei jihadisti da cui da decenni riscattano gli ostaggi dei rispettivi Paesi.

In realtà anche la pirateria umanitaria è uno degli effetti e non delle cause di una emergenza che ha ragioni strategiche, occultate nell’isteria scandalistica contro le colpe delle ONG e contro il supposto “buonismo” degli stati, che invece devono provvedere al soccorso non per umana generosità, ma per un obbligo giuridico, non diverso - né per rango, né per importanza - da quello che oggi invocano i magistrati per perseguire i responsabili della ONG tedesca.

Semplificando molto, ma neppure troppo, il corridoio balcanico si è intasato, fino a costringere l’Ue a cedere ai ricatti di Erdogan, perché è esplosa la Siria, senza che vi sia neppure stato un intervento “americano” o “occidentale” a cui addebitare la detonazione. Anzi, tre o quattro anni fa, tutti dal Papa in giù, salutavano il non intervento di Obama come una scelta utile a salvare la pace – e si è visto. Allo stesso modo le coste libiche sono diventate un bocchettone che sversa una fiumana di disperati nel Mediterraneo, perché la Libia di Gheddafi non c’è più e una Libia diversa non c’è ancora e di tutto quello che succede nell’Africa sud sahariana non c’è più nessuno in Occidente che possa vantare un qualche potere di “governo”.

Ma di tutto questo, che è l’essenziale, e che rimanda all’esigenza di uno sforzo politico-militare impegnativo e gravoso, non si parla, anzi è bene non parlare. L’essenziale e il rimosso coincidono perfettamente. E quindi si parla di niente, come della colpe di un’ONG di ragazzini anarchici, che gioca a sfottere le autorità italiane (“Fuck Imrcc”), mentre le navi militari italiane chiamate da al Sarraj rischiano di essere bombardate dall’amico di Mosca e di Parigi, il generale Haftar.

La pirateria umanitaria è la prima delle notizie, ma rimane l’ultimo dei problemi.