Cortocircuiti diplomatici: l’ambasciatore italiano che difende Putin
Istituzioni ed economia
Galateo diplomatico, equilibrio, coerenza con gli indirizzi di politica estera del Paese che si rappresenta sono tre regole a cui un diplomatico non dovrebbe mai abdicare nell’esercizio delle proprie funzioni, a maggior ragione se l’incarico svolto è quello di ambasciatore.
Per comprendere il ruolo della diplomazia in Italia e il suo legame con il Ministero degli Esteri è utile leggere quanto scritto sul sito della Farnesina: “Nella gestione delle relazioni internazionali, il Ministero degli Affari Esteri contribuisce a individuare e definire l’interesse nazionale, sia esso politico, economico, culturale o sociale, e, tramite le strutture di cui dispone, se ne fa promotore ed esecutore”.
Il passo chiarisce in modo inequivocabile come i diplomatici di ogni rango debbano essere promotori ed esecutori dell’interesse nazionale. Interesse nazionale che viene individuato da un organo politico, il Ministero degli Esteri. Quest’ultimo punto è fondamentale per comprendere le critiche piovute sull’ambasciatore italiano a Mosca, Cesare Maria Ragaglini, all’indomani dell’intervista pubblicata dal Corriere della Sera martedì 25 luglio.
Il pezzo, a firma Paolo Valentino (già autore di un’intervista con Vladimir Putin nel giugno 2015, considerata da alcuni un po’ troppo accomodante con l’inquilino del Cremlino), aveva come oggetto i rapporti tra Italia e Russia, la crisi ucraina e il ruolo della NATO.
Le risposte fornite da Ragaglini, in evidente contraddizione con la posizione ufficiale del governo italiano - ribadita dal premier Gentiloni anche a fine giugno, quando l’Europa aveva confermato le sanzioni alla Russia - hanno provocato la reazione indignata dell’ambasciatore ucraino in Italia Yevhen Perelygin, del presidente dell’Assemblea Parlamentare della Nato Paolo Alli e del presidente della Commissione Affari Esteri della Camera Fabrizio Cicchitto.
Un’analisi puntuale delle affermazioni di Ragaglini paleserà in maniera lampante il motivo per cui le tre figure istituzionali sopracitate abbiano stigmatizzato le parole del diplomatico italiano e sottolineato la grave gaffe diplomatica causata dal suo comportamento.
“Non condividiamo molte delle osservazioni fatte dall’ambasciatore italiano in Russia Cesare Ragaglini. L’annessione della Crimea è stata una patente violazione del diritto internazionale ed è grave che essa venga sostanzialmente giustificata da un ambasciatore italiano […] Già la Russia è rappresentata in Italia e in altre nazioni da ambasciatori di alto livello e professionalità e non ha certo bisogno che questa funzione venga svolta da ambasciatori italiani” (Fabrizio Cicchitto).
“Ragaglini può dire quello che vuole, ma finché Putin continuerà a violare il diritto internazionale, le sanzioni saranno inevitabili” (Paolo Alli).
“L’Ambasciatore italiano a Mosca Cesare Maria Ragaglini, nella sua intervista al Corriere della Sera, ha rilasciato dichiarazioni ambigue e controverse, ed è il caso di dirlo, quasi certamente non in linea con l'indirizzo politico del paese, l'Italia, che egli rappresenta a Mosca. Non è chiaro a nessuno, così come non è chiaro a noi, come l'Ambasciatore possa dichiarare apertamente posizioni fuori dalle sue competenze” (Yevhen Perelygin).
Procediamo con ordine partendo dall’incipit del pezzo, un virgolettato in cui Ragaglini afferma testualmente: “Penso che il presidente Putin veda nell’Europa un partner naturale. La cosa che lui e i russi si aspettano dalla comunità internazionale è il rispetto. Non è solo una questione sentimentale. In realtà racchiude una parabola. Dopo l’implosione dell’Urss, la Russia si è trovata sull’orlo del fallimento, depredata delle sue risorse, destabilizzata, indebolita militarmente, privata del suo status di grande potenza, dominata da un senso generale di insicurezza. Putin ha risollevato il Paese e dopo la crisi ucraina, vissuta come l’ultima umiliazione, ha tracciato una linea rossa”.
Chi conosce la storia più recente della Russia non potrà che scorgere in queste affermazioni i capisaldi della vulgata di Putin, ossia la teoria della Russia umiliata, il reputare il crollo dell’URSS la più grave catastrofe del secolo scorso e il considerare l’Ucraina non uno stato sovrano, ma un’appendice della Russia stessa. Che simili affermazioni vengano fatte non dall’ambasciatore russo a Roma, ma dal suo omologo italiano a Mosca, è davvero sorprendente.
A sorprendere, poi, non è solo l’inopportunità di tali asserzioni da parte di un funzionario definito da Paolo Valentino “uno dei migliori diplomatici italiani”, ma la grossolanità della ricostruzione storica.
Il crollo dell’Impero Sovietico è stato oggetto di analisi approfondite da parte di illustri sovietologi – tra i contributi più interessanti citerei il volume di Andrea Graziosi, L’Urss dal trionfo al degrado (Il Mulino 2008), e il saggio dell’accademico di Harvard Serhii Plokhy, The Last Empire. The final days of Soviet Union (2014) – i quali, seppure in ottica diversa, hanno sottolineato il fallimento politico, economico e morale di un regime totalitario, va da sé irriformabile.
Eloquente quanto affermato da Andrea Graziosi in un’intervista di qualche anno fa sul sito Osservatorio Balcani e Caucaso: “L’Unione Sovietica è andata in crisi perché il sistema socio-economico non funzionava più. Gli uomini morivano a 63 anni, si viveva malissimo, non c’erano soldi, mancavano i beni da comprare.
Era talmente in crisi che tutto il gruppo dirigente, compreso forse l’ultimo Brezhnev, era rassegnato a riforme radicali” (Andrea Graziosi).
La Russia post-sovietica ha sicuramente attraversato un periodo di gravi difficoltà nei primi anni della sua indipendenza, ma le ragioni di tale crisi non vanno certo individuate all’esterno – FMI e Stati Uniti elargirono anzi notevoli aiuti finanziari per la ricostruzione del Paese – quanto piuttosto nell’incapacità di effettuare riforme in ambito politico ed economico. Le riforme promosse dal primo Eltsin per cercare di convertire gradualmente il sistema all’economia di mercato furono bloccate sistematicamente dalla vecchia nomenklatura sovietica.
Ma veniamo all’affermazione forse più sconcertante, ossia quella secondo la quale “Putin ha risollevato il Paese e dopo la crisi ucraina, vissuta come l’ultima umiliazione, ha tracciato una linea rossa”.
Prescindendo dai metodi attraverso i quali Putin avrebbe risollevato la Russia – i dati economici e il livello di servizi, infrastrutture e sanità della Federazione fotografano una realtà molto diversa da quella evocata da Ragaglini – vorrei soffermarmi sul concetto della “crisi ucraina vissuta come umiliazione”. Parlare di umiliazione russa in relazione alla crisi ucraina significa non riconoscere all’Ucraina la sua natura di stato indipendente né il suo diritto a essere soggetto della Storia, e assimilare il suo popolo, la sua cultura, a quelli russi.
Come ha fatto notare il sito StopFake, è affatto singolare che nel discorso dell’ambasciatore “compaiono quasi tutte le keywords della propaganda russa (tranne quella degli ucraini nazisti), magari pronunciate involontariamente o dovute al fatto che chi vive nella società russa non può evitare il bombardamento mediatico e non rimanerne condizionato”.
Altrettanto grave è quanto asserito dal diplomatico italiano sulla Crimea. “Intanto la Crimea non era il primo Paese che votava per la sua indipendenza in Europa”.
Affermando ciò Ragaglini sembra dimenticare che la Crimea non è un Paese sovrano, ma parte del territorio ucraino, e che un eventuale referendum per sancire la sua indipendenza da Kyiv andava concordato con le autorità ucraine. L’idea della Crimea come territorio russo è un altro dei capisaldi della propaganda russa. Sentire tali affermazioni dalla bocca di un ambasciatore sconcerta per tante ragioni, non ultimo perché contribuisce a rafforzare, nei lettori di un’autorevole testata, un’idea falsa.
Storicamente parlando, la Crimea fu annessa dall’impero russo nel 1783, anche se la colonizzazione avvenne a partire dal 1853. Fu realmente russa dal 1853 al 1917. Con la formazione dell’URSS, poi, dal 1921 al 1945 divenne una repubblica sovietica separata. Dal 1945 al 1954 fece parte della Russia e dal 1954 al 2014 è stata ucraina. In sostanza è stata russa per 73 anni, ucraina per 60 anni, ma tatara per 400 anni.
Altro discorso è la questione del presunto "regalo" di Khrushchev del 1954. La Crimea non fu regalata, bensì scambiata, ai tempi di Khrushchev, ma tale decisione venne presa collegialmente dai vertici del Cremlino, tanto che in calce al documento che ufficializzava questo passaggio troviamo le firme di Pegov e Voroshilov. In cambio l'Ucraina dovette rinunciare a una parte dei propri territori della zona di Taganrog. La Crimea era isolata dal territorio russo e priva di acqua potabile. In seguito, grazie alle opere di ingegneria, l’acqua del Dnipro arrivò in Crimea. Tutto ciò avvenne solo per una migliore gestione economica del territorio, in quanto la Crimea è diretta estensione del territorio ucraino.
Il referendum del 2014 di cui parla Ragaglini, oltre che palesemente manipolato nei suoi risultati finali, è stato imposto alla popolazione locale con kalashnikov e intimidazioni dai famosi ‘omini verdi’.
Veniamo ora alle affermazioni sulla NATO che hanno suscitato le proteste di Paolo Alli, presidente dell’Assemblea Parlamentare della Nato, l’organo di raccordo tra i Parlamenti nazionali e l’Alleanza atlantica: “Non è possibile pensare che l’Ucraina entri nella Nato, che poi è il punto focale. Se risolviamo questo problema, risolveremo tutto il resto. Piaccia o meno, è così” afferma Ragaglini rispondendo a Valentino che gli chiede come si esca dalla crisi ucraina.
Ancora una volta le parole dell’ambasciatore sembrano echeggiare quelle del Cremlino e confondono cause ed effetti del conflitto ucraino. La Russia, con buona pace di Ragaglini, è sottoposta a sanzioni perché ha annesso illegalmente parte del territorio ucraino, la Crimea, e perché ha invaso i territori del Donbas fornendo assistenza militare e inviando proxy a combattere nelle fila dei separatisti. Se l’opinione pubblica ucraina è oggi per la maggior parte favorevole a un ingresso nella Nato è solo perché la Russia, violando il Memorandum di Bupadest del 1994, ha invaso il suo territorio.
“I simpatizzanti di Putin in occidente e lo stesso presidente russo giustificano le violazioni del diritto internazionale di cui si macchia continuamente Mosca in virtù del principio di autodeterminazione dei popoli. Poi, però, negano a un popolo sovrano come quello ucraino – o quello georgiano – il diritto di aderire liberamente alla Nato o all’Unione europea: due prospettive tra loro fortemente legate” (Paolo Alli).
All’ambasciatore Ragaglini che invoca il rispetto della Russia da parte della comunità internazionale vorrei dedicare le riflessioni di due storici, Serhii Plokhy e Timothy Snyder, proprio sul tema del (mancato) rispetto del diritto internazionale da parte del Cremlino.
“Per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, una grande potenza europea ha fatto guerra a un vicino più debole e ha annesso una parte del territorio di uno stato sovrano. [...] L'immotivata aggressione russa contro l’Ucraina ha minacciato le fondamenta dell'ordine internazionale – una minaccia alla quale l'Unione europea e la maggior parte del mondo non erano preparati a rispondere, ma che richiede un’adeguata controazione” (Serhii Plokhy, The Gates of Europe).
“Inaugurata nel 2013 una nuova fase coloniale, i leader e i propagandisti russi hanno negato ai loro vicini ucraini il diritto di esistere o li hanno etichettati come russi di second’ordine. Con parole che ricordano quelle pronunciate da Hitler sugli ucraini (e sui russi), le autorità hanno definito l’Ucraina un’entità creata artificialmente, senza storia, cultura né lingua, appoggiata da un gruppo mondiale di ebrei, omosessuali, europei e americani. […] Il presidente Vladimir Putin ha elaborato una dottrina di politica estera basata sulla guerra etnica. Questo approccio, che ricava dal linguaggio la legittimità a invadere a prescindere, che sia stato usato in Cecoslovacchia da Hitler o in Ucraina da Putin, decostruisce le logiche della sovranità e dei diritti e getta le basi per lo smantellamento degli Stati” (Timothy Snyder, Terra Nera).