sheerbernier

Andrew Scheer, 38 anni, è il nuovo leader del Partito Conservatore canadese e conseguentemente il nuovo Leader dell’Opposizione al governo di Justin Trudeau, eletto dopo una lunga battaglia risoltasi proprio sul filo di lana.

E’ solo per un soffio, infatti, che è fallito l’assalto del candidato più energicamente liberista, quel Maxime Bernier che pure i sondaggi delle ultime settimane davano come favorito.

Maxime Bernier ha affrontato la campagna con proposte nette sui temi della riduzione delle imposte, del contenimento del perimetro dello Stato e, più in generale, della liberalizzazione dell’economia canadese. 
Partito relativamente in sordina è via via cresciuto nei rilevamenti demoscopici in particolare dopo la decisione di Peter MacKay di non correre ed il ritiro a suo favore dell’imprenditore Kevin O’Leary – malgrado vari commentatori giudicassero “estreme” o “impraticabili” alcune delle politiche incluse nel suo programma.

Sostenitore adamantino del laissez-faire, è stato particolarmente duro nella sua opposizione all’economia sussidiata ed in particolare alle generose sovvenzioni di cui godono alcuni settori agricoli ed alcune grandi industrie come Bombardier.

Per certi versi era curioso come la candidatura più liberista provenisse proprio dal Québec, cioè dalla provincia più socialdemocratica e più refrattaria alle idee di libero mercato. In Québec raramente i Conservatori hanno successo e, quando ciò capita, avviene con candidati moderati e centristi in grado di annacquare a sufficienza il messaggio che il partito veicola a livello federale.

Bernier è, invece, un francofono con idee prossime a quello del libertarismo anglosassone. Il suo rigoroso conservatorismo fiscale lo rende più vicino alla mentalità dell’Ovest canadese, al punto da essersi guadagnato l’appellativo di “Albertan from Quebec”, con riferimento alla sua particolare affinità culturale con l’Alberta, la provincia storicamente più a destra della federazione.

Bernier si è presentato con idee fuori dagli schemi anche sui temi civili, proponendo un approccio di tipo liberale (o meglio "libertario" per usare il lessico politico canadese) a tutto tondo. Le sue posizioni gay-friendly, pro-choice ed antiproibizioniste sulla droga sicuramente avevano un potenziale in un paese come il Canada molto più socialmente progressista rispetto agli Stati Uniti, ma al tempo stesso rappresentavano un elemento di rischio nella campagna per la leadership del Partito Conservatore, potendo alienare il voto più tradizionalista.

L’elezione si è svolta con il sistema del “voto alternativo” (fondamentalmente quello “australiano”), per cui l’elettore aveva modo di fornire preferenze “ordinate” per i vari candidati. Inizialmente vengono contate le prime preferenze; poi ad ogni turno viene escluso l’ultimo candidato in classifica e le preferenze “successive” di coloro che lo hanno votato sono ridistribuite agli altri candidati, fino a che non restano solo due candidati e quindi emerge una maggioranza assoluta.

Dopo il primo conteggio Maxime Bernier è risultato in testa con il 28,9% dei voti, contro il 21,8% del suo principale avversario Andrew Scheer. Malgrado il vantaggio, è stato chiaro fin da subito che Bernier non si trovava in condizioni di sicurezza, in quanto Scheer offriva un posizionamento politico più “centrato” rispetto al Partito Conservatore canadese e quindi più in grado di intercettare le “preferenze di riserva” di chi ha votato per altri candidati.

In particolare i due candidati socialmente conservatori Brad Trost (8,3%) e Pierre Lemieux (7,4%) sono andati meglio del previsto ed i loro voti erano naturalmente destinati a convergere più facilmente su Scheer che su Bernier.
 Dal canto suo, invece, è andata sotto le attese (7,0%) Kellie Leitch, la più “trumpiana” tra i candidati, che pure aveva goduto di molta visibilità nei primi mesi della campagna.

La strategia di Bernier era chiara; vincere – grazie alle proprie politiche economiche - le province fiscalmente conservatrici delle Praterie (almeno Alberta e Manitoba dato che il Saskachewan era fuori portata essendo la provincia di Scheer) ed il Québec contando sul fatto di giocare in casa e di essere l’unico candidato francofono. E naturalmente essere ragionevolmente competitivo nelle altre province, in particolare in Ontario e nella British Columbia.

Tecnicamente tutti questi tasselli sono andati a posto, ma il problema è stato che Maxime Bernier ha sì vinto in Québec, ma con una percentuale inferiore a quella che si aspettava. Le sue posizioni per l’abolizione delle sovvenzioni agricole gli hanno alienato il consenso del Québec rurale, al punto che pare che molti agricoltori si siano iscritti al Partito Conservatore appositamente per votare contro di lui. 
Sarebbe bastato un risultato appena migliore nella provincia francofona per regalare a Maxime la vittoria finale.

Andrew Scheer, dal canto suo, ha costruito il percorso verso la vittoria presentandosi come il candidato in grado di riunire il partito e di offrire la migliore sintesi delle varie anime. L’obiettivo chiaro era quello di poter intercettare le seconde, terze, quarte preferenze degli iscritti che sostengono posizioni socialconservatrici – e che quindi avversano il libertarismo di Maxime Bernier sui temi civili.

Al tempo stesso Scheer è riuscito a conseguire un discreto sfondamento nel Québec spaventato da un “eccessivo” liberismo, come ben simboleggia il fatto che sia riuscito a prevalere di misura su Bernier persino nella Beauce, cioè nel collegio elettorale di quest’ultimo. Alla fine, dopo 13 conteggi e l’eliminazione del terzultimo candidato, Scheer è riuscito a prevalere di un soffio: 50,9% contro il 49,1% di Bernier. 

Scheer rappresenta, probabilmente, la scelta più mainstream per il Partito Conservatore, inserendosi dichiaratamente nel solco della leadership di Stephen Harper – c’è chi lo definisce un Harper che in più riesce anche a sorridere. Un ontariano che da tempo rappresenta politicamente il Saskatchewan e che sa parlare al Québec, Andrew Scheer appare certamente in grado di comprendere le diverse dinamiche dell’Est e dell’Ovest del Canada.

Nel suo discorso di accettazione ha chiamato a raccolta tutte le anime del partito, dai libertari ai conservatori sociali, ed ha delineato i termini di una forte opposizione alle politiche di Justin Trudeau. Per Scheer il Partito Conservatore sarà sempre il “partito della prosperità e non dell’invidia”, il “partito dei contribuenti e non degli insider” e difenderà il concetto che la società viene prima dello Stato. Serve un sistema economico che crei opportunità e premi il duro lavoro.

Tra le prime misure di un futuro governo Scheer ci sarà l’abolizione della carbon tax, in una mossa che prende le distanze rispetto all’ecologismo ideologico del Liberal Party. “Riscaldarsi in Canada in inverno – spiega il nuovo leader conservatore” – “non deve più essere considerato un lusso”.

Scheer ha promesso di mettere al primo posto la battaglia per la libertà di espressione, contro tutti i tentativi di censura in nome della “political correctness”. Saranno tagliati i finanziamenti alle università che continuano ad impedire il libero dibattito. Insomma un programma interessante, anche se in generale più orientato alle piccole misure che alle riforme profonde che appartenevano alla visione di Bernier.

Naturalmente il lavoro di Andrew Scheer non sarà facile. Come spesso avviene nei paesi con un’economia sostanzialmente sana, è raro che i governi siano mandati a casa dopo un solo mandato – è più probabile che si determino dei cicli (due mandati conservatori tra il 1984 ed il 1993, quattro mandati del Liberal Party tra il 1993 ed il 2006 e poi ancora tre mandati conservatori tra il 2006 ed il 2015) e che l’opposizione debba intraprendere un percorso di lungo periodo prima di potersi guadagnare il governo. Justin Trudeau sarà, quindi, realisticamente ancora un avversario temibile nel 2019.

In ogni caso l’elezione del nuovo leader del Partito Conservatore canadese ha rappresentato un esercizio straordinario di democrazia interna. L’intero processo è durato circa un anno, con quattordici candidati in lizza. Nel corso del percorso si sono svolti sedici dibattiti pubblici tra tutti i candidati, almeno uno per provincia, nel corso dei quali i contendenti hanno potuto evidenziare le proprie posizioni all’elettorato conservatore.

Le regole dell’elezione sono state progettate per assicurare un’effettiva parità di opportunità tra tutti i contendenti. Dalle elezioni del 2015 che hanno visto l’uscita di scena di Harper, il Partito Conservatore è stato guidato da una leader ad interim, Rona Ambrose che, tuttavia, il regolamento interno vincolava a non potersi candidare per l’effettiva elezione di una nuova leadership, in modo che tale corsa non potesse essere influenzata dalla presenza di una incumbency. Si tratta, del resto, di una consuetudine collaudata in Canada che garantisce correttezza e certezza ai processi di selezione della classe politica – contrariamente a quanto avviene da noi quando, le poche volte i partiti si dotano di procedure di democrazia interna, lo fanno ogni volta con regole ad hoc.

La qualità del dibattito e delle proposte è stata sempre molto alta ed ha evidenziato la vitalità del partito in termini di elaborazione politica, al punto che oggi tra i partiti conservatori dei vari paesi quello canadese è probabilmente il più ideologicamente limpido. Stephen Harper ha governato nove anni sulla base di un programma coerentemente liberalconservatore: responsabiltà fiscale, fedeltà ai valori occidentali e – quello che è tutt’altro che scontato al giorno d’oggi – convinta promozione del libero scambio. Rona Ambrose ha gestito l’interinato in modo impeccabile, incalzando sistematicamente Trudeau sulle sue politiche di spesa a debito.

Scheer è senz’altro in grado di portare avanti il posizionamento politico dei suoi predecessori e, al tempo stesso, il risultato comunque notevole di Maxime Bernier mostra come all’interno del partito ci siano spazi anche per una proposta politica liberista dai connotati più radicali.

Insomma nell’attuale momento di smarrimento ideologico che caratterizza l’Europa continentale è dall’”anglosfera” – ed in particolare dai paesi più piccoli (demograficamente) e “tranquilli” come il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda - che continuano ad arrivare ventate di aria fresca.

Contrariamente a chi ritiene che ormai la politica ruoti attorno ad altre polarità e che quindi serva farsi bastare anche dei Trudeau, dei Macron e, ça va sans dire, dei Renzi, i risultati economici ottenuti negli ultimi anni dai paesi anglofoni dimostrano che l’unica ricetta politica in grado di produrre crescita di lungo periodo e non solamente di gestire il declino è quella della “destra liberista” classica.

Altro che “third way” o “liberalsocialismo”. Back to the basics: qui servono dei Reagan e delle Thatcher e in certi paesi, per fortuna, ancora se ne trovano.