A nove mesi dal voto, il Movimento Cinque Stelle, tra scie chimiche e reddito di cittadinanza, mostra il suo vero volto: più che un progetto politico, sembra un esperimento di teatro collettivo orchestrato da un profondo conoscitore della vanità e della suggestionabilità umana.

 

"Era una casa molto carina / 
Senza soffitto senza cucina 
/ Non si poteva entrarci dentro / 
Perché non c'era il pavimento 
/ Non si poteva andare a letto 
/ Perché in quella casa non c'era il tetto / 
Non si poteva fare la pipì 
/ Perché non c'era vasino lì 
..."

Questi versi rubati all'indimenticato Sergio Endrigo scattano la fotografia in strofe più adatta a rappresentare la rivelazione politica italiana dell'ultimo anno. In questo caso però si tratta di una costruzione a 5 stelle, una sorta di tempio privo di architrave e basamento, le cui colonne, rappresentate dalle convinzioni granitiche dei suoi sacerdoti, si reggono sul nulla e sostengono ancora meno.

Una specie di grande contenitore che agli ormai celebri e un po' datati complotti giudo-plutocratico-massonici aggiunge la novità delle scie chimiche, dei microchip sottocutanei, dei vaccini che provocano l'omosessualità e del complotto mondiale ordito per nascondere l'esistenza delle sirene. In questo riuscitissimo esperimento di teatro collettivo, abilmente orchestrato da uno sceneggiatore accorto e profondo conoscitore sia della vanità umana che porta il singolo a rendersi inconsapevole e spesso ridicolo protagonista, sia della suggestionabilità che lo rende prima assimilatore passivo e poi pusher di leggende metropolitane, ha trovato cittadinanza tutta una serie di teorie e di soggetti a dir poco singolari che, se prima si limitavano a spararle nell'agorà sterminato del web, oggi lo fanno dalle aule parlamentari e a spese della collettività.

Sono nuovi, sono naif, sono colorati e spesso allegramente inconsapevoli dell'importanza del ruolo che ricoprono e della potenzialità di quella massiccia presenza all'interno delle aule parlamentari. Indipendentemente dal condividere o meno, nel merito così come nel metodo, teoria e azione della compagine pentastellata, non si può non riscontrare la marginalità politica alla quale la stessa componente grillina si è autonomamente votata. Invece di portare un po' di brio in Parlamento si sono ritagliati il ruolo di signorine Rottermeier della politica italiana, perdendo quella genuina irriverenza nei confronti del potere e dei suoi riti per diventare rigidi e bacchettoni censori, acritici difensori di norme che più di una difesa ad oltranza meriterebbero una seria riforma. Il "Tutti a casa!" della campagna elettorale, questa purezza troppo spesso ostentata con il rifiuto a qualunque ipotesi di confronto - fisiologica per i movimenti extra-parlamentari - mal si rapporta con il ruolo di forza parlamentare.

Questa riflessione non vuole essere una mancanza di rispetto nei confronti di quei "cittadini" che, per via di una comprensibile sfiducia maturata nei confronti di una classe dirigente che ha messo del suo per rendersi detestabile, hanno deciso di impegnarsi o hanno optato per un voto cosciente di protesta, bensì il ritratto di quella parte più consistente, nonché più rumorosa, che in questi mesi ha monopolizzato, caratterizzandola, l'attività del Movimento 5 stelle fuori e dentro il Parlamento.

Un continuo flash-mob in cui si trova tutto e il contrario di tutto, in cui ogni qual volta gli eletti manifestino la loro autonomia vengono prontamente richiamati dal capo, dal titolare del marchio che, non ricevendo le scuse per la lesa maestà da chi osi rivendicare l'autonomia che la Costituzione (quella "più bella del mondo" che loro stessi difendono strenuamente) riconosce ad ogni singolo membro del Parlamento, lancia immediata la fatwa che si traduce nel conseguente linciaggio mediatico da parte popolo della rete.

Una compagine politica che prima tuona contro il porcellum e poi rifiuta ogni possibilità di confronto sulla riforma della legge elettorale (non vale la solita scusa di aver votato la famosa mozione Giachetti). Un movimento che giunge a chiedere l'impeachment di Napolitano (perché a suo dire non si starebbe comportando come il Presidente di tutti i cittadini), quando solo pochi mesi fa si cercava di imporre, anche con la piazza, l'elezione di un signore, della cui levatura morale nessuno dubita (successivamente definito "ottuagenario miracolato dalla rete"), arrivato terzo con poco più di quattromila voti in una consultazione online dalle modalità sconosciute.

Questi sono tutti aspetti di quel fenomeno che potremmo battezzare "grillismo a costituzione variabile", molto simile a quel berlusconismo che si appella alla Costituzione quando sembra essergli favorevole e la etichetta come "sovietica" quando impone e pretende il rispetto di certe regole. Un caos primordiale, un marasma di proclami spesso contraddittori, slogan e battute che, gestite ad arte, possono intercettare gli umori – e quindi i voti – di chiunque.

La ricetta per ottenere il massimo consenso con il minimo sforzo è ormai collaudata da almeno vent'anni: basta giocare al rialzo e spararla più grossa di quanto abbia già fatto qualche competitor, così, dopo l'abolizione dell'ICI e la riproposizione della cancellazione dell'IMU per cui si fatica a trovare 2 miliardi di euro, ecco che dalla galassia pentastellata arriva il "reddito di cittadinanza" tra i 20 e i 30 miliardi complessivi. E le coperture? "Da qualche parte le troveremo!" Tentativo precipitoso e pasticcione di realizzare l'irrealizzabile, sparata elettoral-propagandistica o tentato abuso della credulità popolare?

Il gioco è semplice: si individua un obiettivo di forte impatto, facile comprensione e stragrande condivisione e lo si prospetta raggiungibile attraverso interventi mirati - assolutamente insufficienti - nei settori e negli ambiti di spesa che risultano più invisi alla cittadinanza. Basta poi condire il tutto con slogan accattivanti e sparare cifre come se venissero fuori dal sacchetto della tombola, e il gioco è presto fatto: il reddito di cittadinanza appare dietro l'angolo con una facilità estrema, e chi solo provi a spiegare, dati alla mano, l'irrealizzabilità della proposta diventa un nemico del popolo, un servo dei poteri forti, un colluso con il vecchio sistema di potere.

Chi scrive non è un detrattore tout court del Movimento 5 stelle inteso nel numero e nell'entusiasmo dei suoi aderenti-simpatizzanti, e fatica ad etichettare come antipolitica quella che è stata più una reazione umorale alla malapolitica. Ma proprio perché umorale, impulsiva, scomposta, ha necessità di essere incanalata in un percorso più nitido per poter, dopo aver dato sfogo alla pancia, rivolgersi alla testa delle persone, per poter compiere quel percorso virtuoso e pedagogico che, a prescindere dalle basi ideal-ideologiche, in una democrazia avanzata si attende da una forza politica responsabile e costituzionale.

Durante l'ultima campagna elettorale, guardando al contesto politico nazionale fortemente bisognoso di un radicale rinnovamento, sostenevo che i grillini fossero necessari per il prossimo nuovo Parlamento come la varechina e scrivevo "pochi disinfettano, troppi distruggono". A distanza di alcuni mesi la mia percezione trova conferma nel ruolo che la compagnie grillina si è ritagliata, quello di una sorta di polizia parlamentare pronta a denunciare gli sprechi del Palazzo (quando i "pizzicati" non sono loro) una sorta di giornalismo di inchiesta che di per sé non è un male, anzi, ma mal si concilia con la loro considerevole rappresentanza parlamentare. In pratica, se l'idea era quella di portare Report o Le Iene in Parlamento, bastavano venti deputati e dieci senatori che svolgessero il ruolo di sentinelle pronte a denunciare le "magagne" sparandole sul web, non serviva un'infornata di signornò che, sentendo la vocazione del reporter d'assalto o dell'inquisitore e non quella del legislatore, imbrigliassero il Parlamento sottraendosi al più grande obbligo che la politica assume quando entra nelle assemblee legislative: il confronto e la mediazione degli interessi dei cittadini con proposte serie, concrete e soprattutto realizzabili.

"... Ma era bella, bella davvero 
In via dei matti numero zero"