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Nella graduatoria degli insulti romani al top c’è “infame” e “faccia come il culo” sta piuttosto in basso, appena sopra “limortaccitua” che è espressione quasi conviviale. E magari servirà pure questa spiegazione antropologico-linguistica per capire come l’espressione così censurata rivolta da Roberto Giachetti a Roberto Speranza sia poco più di un colorito rimprovero per lo slang capitolino. La spiegazione politica è altra cosa, e sarà facile da seguire anche per i non-romani. Ne ho parlato questa mattina in un post che ha suscitato un gran dibattito su Facebook, e che ripropongo a scopo di sintesi:

Ovviamente il Mattarellum rilanciato dall'Assemblea Pd è una buona soluzione: piccoli collegi, i partiti obbligati a scegliere un candidato "che regga" e che non sia attaccabile, competizione vera tra candidati. Ovviamente era stato già proposto, tre anni fa, da Giachetti, con una specifica mozione alla Camera, e due terzi del Pd aveva detto: che cazzata. Ovviamente Speranza si era alzato in aula a nome del Pd (era capogruppo) e aveva chiesto di non votare nemmeno la cazzata, di ritirare la mozione e punto. Ovviamente Giachetti aveva tenuto botta e si era andati al voto: il M5S e Sel e Civati e 34 Pd avevano votato a favore, tutti gli altri contro. Ovviamente voi tutte queste cose ve le ricordate e quindi vi è facile capire che, tre anni dopo, a un certo punto, quando quello fa l'elogio del Mattarellum e dice "l'ho inventato io", l'espressione faccia come il culo scappi.

Qui su Strade si può sviluppare il ragionamento. Ricordando innanzitutto l’epoca dei fatti: la primavera 2013, subito dopo le amministrative a Roma (quelle che videro vittorioso Marino). Governava Enrico Letta. Il M5S era una minaccia ancora relativa. Larghe intese - Berlusconi aveva votato la fiducia – e cantiere riformista appena aperto. Su questa storia del “rifacciamo il Mattarellum” Roberto Giachetti si era impegnato moltissimo, anche con un lungo sciopero della fame. Il contesto però era assai ostile. Il Pd lavorava all’accordo col Cavaliere per modificare il Porcellum senza stravolgerlo, e l’idea di Giachetti rischiava di far saltare gli accordi soprattutto perché – alla vigilia del voto in aula sulla mozione “rifacciamo il Mattarellum” – si era improvvisamente diffusa la notizia che i grillini appoggiassero la proposta, e che la proposta potesse passare. Sarebbe stato un disastro. Soprattutto per l’asse politico dell’epoca, che vedeva Bersani, Franceschini e Letta (con Epifani a coté) dalla stessa parte della barricata, quella della contrattazione col Cavaliere.

Dunque, moral suasion. Dunque, pressing per il ritiro delle firme dalla mozione (ne saltarono 17). Dunque, Speranza (era capogruppo Pd) che ammonisce i deputati: “la mozione anticipa l'esito di una discussione ancora da compiersi” e chiede a Giachetti di ritirarla. E Giachetti che va avanti. E il M5S, Sel e i civatiani che appoggiano la cosa. E finalmente il voto, che però è una débacle. Oltre a quelli che dicono No aderendo alla richiesta di Speranza, ci sono una cinquantina di assenti perché la parola d’ordine è: se proprio non ce la fate a dire No, almeno non venite. E infine, due sere dopo, Simona Bonafè che spiega a Piazzapulita la posizione sua e degli altri che hanno cambiato idea: “Ho votato contro per spirito di partito perché, proprio per agevolare l’accordo sulle riforme con Berlusconi, dal mio partito mi era stato chiesto di non inficiare questo rapporto”.

Ecco, ricordando tutto ciò sarà facile capire perché domenica, quando Speranza si lancia nell’elogio del Mattarellum, e parla del Mattarellum-bis come se fosse un’ideona sua, e se ne annette la paternità suonando le trombe e presentandola come una genialata della sinistra interna, a uno con la faccia di Giachetti, che quella faccia sul Mattarellum ce l’ha messa davvero, in tempi non sospetti, sfidando i vertici del partito suo, digiunando, resistendo a lusinghe e minacce perché si tirasse indietro, viene spontaneo affidarsi a quell’espressione romanesca. Non il top dell’insulto – “infamità” sarebbe troppo impegnativo, in fondo è solo una giravolta da mestieranti – ma un colorito richiamo alla realtà. E magari sarebbe andato bene anche qualcosa di più light, “c’hai gli specchi di legno” oppure “faccia di bronzo”, ma insomma: è uscito “faccia come il culo”, e tant’è.