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Provate a immaginare un sessantenne, uno normale, non particolarmente 'ammanicato', uno che non ha l’amico direttore di filiale. Oggi, di sua spontanea volontà e senza il sostegno di alcuna legge dello stato, si reca in banca e propone una cosa come questa: 'Andrò in pensione tra tre anni, ma sono stanco di lavorare per colpa della riforma Fornero e voglio ritirarmi prima (o peggio, sono senza lavoro). Per tirare avanti ho bisogno di un prestito. Ve lo restituirò in venti anni con rate mensili e comincerò a ripagarvi non appena mi arriva la pensione'. Che risposta riceverebbe secondo voi? Io credo che riceverebbe una grassa risata. Come quella che ricevono Laurel e Hardy nella famosa scena de "Il compagno B": quando il presidente della First National Bank domanda ai due "avete succursali?", Stanlio gli risponde "no ...fiurgone!".

Se il sessantenne in questione potesse dare un bene immobile in garanzia, forse qualche flebile speranza di risparmiarsi la figuraccia ce l’avrebbe. Forse gli verrebbe pure accordato il prestito. Ovviamente, solo se accetta una valutazione infima del bene, e magari se è disposto a sottoscrivere il patto marciano (quello introdotto nel recente "decreto banche" per facilitare il recupero crediti, e che in caso di mancata restituzione anche parziale del prestito le fa diventare automaticamente proprietarie del bene in garanzia saltando il passaggio in tribunale).

Ma è chiaro che, sul mercato, un normale lavoratore non potrebbe ritirarsi in anticipo ricorrendo a un prestito al consumo. Non potrebbe fare consumption smoothing con la propria pensione futura. È una realtà di fatto. Dipende da elementi di carattere giuridico, tecnico ed economico, che da un lato agiscono come veri e propri ostacoli, e dall’altro rendono l’operazione obiettivamente incerta e rischiosa per la banca.

Molti soggetti oggi si trovano nella condizione di quel sessantenne. La maggior parte sono quelli che per andare in pensione, dopo la legge Fornero, dovranno aspettare qualche anno in più di quanto avevano preventivato. Il governo è ben consapevole di non poter continuare a rispondere picche ai cosiddetti "esodati". Gli appuntamenti elettorali ormai sono una costante della vita politica. E al giorno d’oggi, anche il voto in un medio capoluogo di provincia assume risonanza nazionale. Purtroppo non può mandarli in pensione anticipata perché non ha i soldi.

Ma ecco che ai tecnici viene l’idea geniale. Perché non fargli avere un prestito ponte da una banca? Sì, proprio come quello proposto dal nostro sessantenne immaginario. Di fare credito al consumo a un futuro pensionato, a scatola chiusa, la banca non vuole nemmeno sentir parlare. Ma se lo stato funge da intermediario e garante dell’operazione, certamente non ci sono problemi. Dal momento in cui comincia a erogare la pensione, e per i venti anni successivi, lo stato tratterrà la rata di rimborso direttamente alla fonte. Il pensionato riceverà soltanto il netto e la banca, ogni mese, la rata di rimborso del prestito. Insomma, uno schema analogo alla "cessione del quinto".

Il gioco è fatto. E il governo, come si dice in questi casi, prende due piccioni con una fava. Anzitutto offre una risposta agli esodati, vendendo loro politicamente come pre-pensionamento quello che nei fatti è un prestito al consumo. In secondo luogo riesce a dare un altro aiutino alla banca, sempre alla ricerca di qualcuno che la faccia "vincere facile", in questo momento di rendimenti magri, sofferenze e bilanci a pezzi. Con questa operazione spunterà sicuramente un buon rendimento. Praticamente riceverà un trasferimento diretto dal bilancio pubblico senza correre nessun rischio.

Ora, se banca e governo ne traggono vantaggio, qualcuno dovrà pagare. E chi, se non il pensionato? Insomma, questa soluzione del prestito ponte sarà pure l’uovo di Colombo, ma come tutti i prestiti, naturalmente, non è gratis. Ha un costo finanziario e in più anche un costo attuariale. Il costo finanziario è legato all’anticipo delle somme. Il costo attuariale, invece, è legato alla probabilità che una parte dei pensionati non sopravviva al ventennio necessario per ripagare tutto il prestito (è triste prenderne atto, ma la probabilità di "premorienza" è semplice e cruda realtà). E di questa probabilità sfavorevole si dovrà tenere conto con un premio di assicurazione, o comunque in termini di premio per il rischio. Da pagare sempre alla banca, ovviamente.

Il pensionato che opta per il prestito ponte, dunque, al momento della pensione riceverà la prestazione al netto di tutti questi costi, o meglio, della parte di essi che non verrà caricata sulla fiscalità generale. Perché, naturalmente, tra le opzioni del governo c’è anche questa. Caricarne una parte su tutti i contribuenti. Per il momento pare che solo il costo attuariale verrà caricato sulla fiscalità generale. Si tratta di qualche centinaio di milioni di euro. Ma in futuro non si può mai dire. Potrebbe diventare di più.

Il governo, poi, ha anche la possibilità di spalmare i costi in funzione redistributiva. In quest’ultimo caso si sgraverebbero i pensionati più poveri. Ma costi più elevati graverebbero inevitabilmente sui soggetti con le pensioni più alte, i quali pagheranno molto salato il finanziamento ponte rispetto agli attuali tassi di mercato. Alcuni di loro saranno liberi di scegliere. Altri invece non avranno scelta, perché magari a corto di liquidità. Potrà sembrare paradossale, ma se lo stato facesse un vero pensionamento anticipato finanziandolo con emissione di debito pubblico, forse l’operazione costerebbe di meno a tutti quanti, pensionati e contribuenti.

D’altronde, la spesa in deficit verrebbe recuperata attraverso la "penalizzazione" delle pensioni anticipate, vale a dire col taglio della spesa pensionistica. Il costo del finanziamento, con ogni probabilità, sarebbe inferiore a quello pagato dal pensionato. Basta dare un’occhiata ai rendimenti dei titoli pubblici all’emissione. In questo momento sono bassissimi e su alcune scadenze addirittura negativi. E lo stato, invece, accorderà alla banca un rendimento sicuramente superiore, a cui si dovrà aggiungere l’equivalente del premio di assicurazione contro la premorienza. Se è così, significa che la rata del prestito dedotta dalla pensione sarà più alta di quanto dovrebbe essere la penalizzazione in caso di una vera e propria pensione anticipata.

È superfluo sottolineare che la soluzione del debito pubblico incontra l’ostacolo insormontabile dei vincoli di bilancio europei. Un negoziato con esodati, pensionandi e sindacati sul pensionamento anticipato e sull’importo della penalizzazione incontrerebbe difficoltà enormi. Difficoltà, politiche e di consenso elettorale, come quelle che da sempre ostacolano la modifica del sistema pensionistico italiano. In questo senso la soluzione del prestito ponte offre al governo anche il vantaggio politico di togliersi elegantemente dall’impaccio.

Sembra proprio una soluzione "di mercato", con la libera scelta di chi vuole il prestito ponte e la chiamata in causa del sistema bancario e finanziario. In realtà non lo è. Perché per molti la libertà di scelta sarebbe più formale che sostanziale. E poi perché ho il sospetto che le banche convenzionate non si accontenteranno degli scarsi rendimenti di mercato. Assomiglia molto più a una operazione dirigistica. A me sembra a tutti gli effetti una sorta di esternalizzazione di debito pubblico con oneri a carico di una platea circoscritta di cittadini e vantaggi ugualmente circoscritti a un gruppo più o meno ampio di operatori finanziari. L’idea di mercato ci sta come la folla di Ponzio Pilato.

Ho sempre pensato che il nostro sistema pensionistico sia insostenibile e soprattutto squilibrato sotto il profilo dell’equità intergenerazionale. E continuo a pensarlo anche ora. Non voglio prendere le parti di molti pensionati che avranno comunque il privilegio di andare a riposo con il vantaggiosissimo trattamento retributivo, in tanti casi molto superiore all’equivalente finanziario di tutti i contributi versati. Però devo ammettere che vederli accettare per pensione anticipata quello che è un prestito al consumo, vederli acquistare lucciole per lanterne, mi fa ugualmente molta tristezza.

Sarebbe interessante vedere quali banche saranno convenzionate dallo stato per l’operazione. Banche che, con tutta probabilità, alla fine cartolarizzeranno quei prestiti e li infileranno in qualche prodotto strutturato per rivenderli sul mercato. Ma questa è un’altra storia.