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Il 5 Giugno non soltanto i cittadini italiani sono stati chiamati alle urne, ma anche il popolo svizzero, sebbene per altre questioni, ha preso parte all'espressione democratica del voto.

Mentre in 1.342 comuni italiani si eleggevano sindaco e consiglieri comunali, gli svizzeri dovevano decidere tramite quesito referendario su cinque diversi temi, fra cui spiccava la proposta di un bedingungsloses grundeinkommen, in italiano 'reddito di base incondizionato'. Una proposta che prevedeva un accredito mensile di 2.500 franchi, lungo tutto l’arco di vita, a ogni cittadino svizzero; laddove il reddito mensile al netto fosse risultato inferiore, sarebbe stata prevista un'integrazione, mentre i cittadini senza reddito, ma con almeno cinque anni di residenza sul territorio, avrebbero ricevuto mensilmente l'intera cifra.

Almeno questo è quanto si intuisce dalle dichiarazioni dei promotori dell'iniziativa, Enno Schmidt, pittore autore e regista, e Daniel Häni, imprenditore. In realtà il testo vero e proprio, depositato al Parlamento svizzero ad Aprile 2013 dopo una raccolta firme durata un anno e che ha visto oltre 130.000 sottoscrizioni, non specifica tutto questo, essendo composto da 3 commi che, in caso di vittoria del sì al referendum, avrebbero costituito l'Art.110 bis della Costituzione Federale.

Le scarse specificazioni nel testo depositato hanno lasciato ovviamente spazio a discussioni circa il finanziamento del reddito di base incondizionato. Non sono mancate, tuttavia, da parte dei sostenitori, le possibili soluzioni, fra cui quella di Felix Bolliger, imprenditore della finanza che suggeriva a tale scopo l'introduzione di una tobin tax sulle transizioni finanziarie: l’aliquota unica applicata alle transazioni avrebbe fatto sì che a contribuire in misura maggiore sarebbero stati coloro che trasferivano cifre più ingenti - una proposta simile a quella di "ridistribuzione delle risorse" avanzata da Bernie Sanders, candidato alle primarie dei democratici negli Stati Uniti.

Già da queste informazioni forse può apparire quanto questa proposta fosse, almeno per i suoi sostenitori, meno "fumettistica" di quel che può sembrare in prima battuta. Per i sostenitori, si tratta di un modo per garantire un'esistenza dignitosa e la partecipazione alla vita pubblica di tutta la popolazione; proponimento, sia detto per inciso, molto diverso dal reddito minimo garantito proposto in Italia dal M5S o da quello posto all’attenzione all’attenzione del Presidente della Camera Boldrini nel 2013 da SEL.

Il testo di SEL dell'epoca chiedeva l'erogazione di 7200 euro l'anno, somministrati in importi mensili di 600 euro da rivalutare annualmente in base agli indici ISTAT sul costo della vita. Il beneficio sarebbe stato concesso, nelle intenzioni di SEL, ai residenti sul territorio nazionale da almeno 24 mesi, iscritti alle liste di collocamento, con un reddito imponibile non superiore ad 8.000 euro, non in pensione e con un patrimonio immobiliare entro certi limiti. In questo caso il reddito minimo garantito si sarebbe dovuto finanziare col riordino di altre prestazioni sociali.

Più articolata e scientifica l'idea di un reddito minimo garantito elaborata dal presidente dell'INPS Tito Boeri nel 2015, con proposte redistributive e attente ai bilanci, aventi lo scopo di abbattere la povertà. Per Boeri l'introduzione del reddito minimo garantito sarebbe stata possibile per gli over 55 che avessero perso il lavoro, operando un ricalcolo delle pensioni retributive e dei vitalizi. Sia il testo di SEL che quello di Boeri, comunque, sono stati ignorati.

Di recente è stata invece approvata una legge delega del Ministero del Lavoro che, sempre tramite un'operazione di riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali, vuole "introdurre una misura nazionale di contrasto alla povertà, individuata come livello essenziale delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale". Essa, stando alle dichiarazioni del Ministro Poletti, dovrebbe essere di 320 euro mensili da erogare a disoccupati non percipienti altre
prestazioni sociali.

La proposta svizzera si distingueva, quindi, perché la prestazione era da erogarsi a sostituzione di altre, non a termine, e per il solo fatto di essere cittadini, senza una scadenza se non quella del fine vita. Oltre ai promotori Daniel Häni e Enno Schmidt, l'iniziativa è stata sostenuta da un'organizzazione con un network esteso in molti Paesi, che - pensate - si occupa proprio di promuovere un reddito di base incondizionato nel mondo. L'organizzazione si fa chiamare BIEN (Basic Income Earth Network)Network) ed è attiva dal 1986 su iniziativa del sociologo Paul-Marie Boulanger, dell'economista Philippe Defeyt e del filosofo Philippe Van Parijs, tutti e tre di origine belga. Lo scopo è diffondere la proposta di questo reddito perpetuo, e dimostrarne la realizzabilità, tramite convegni e pubblicazioni.

Il reddito di base incondizionato, comunque, in Svizzera non ci sarà, dal momento che i cittadini in larga maggioranza (78%) hanno votato per il no.

Il voto contrario si può comprendere per motivi intuitivi, che vanno dagli squilibri nella contabilità pubblica al timore degli effetti di una misura del genere sui comportamenti degli individui, ma se questa proposta è oggi difficile da accettare, quelle che chiedono invece un reddito minimo garantito meriterebbero più
attenzione. Si può affermare ciò non solo perché, come è noto, l'Italia assieme alla Grecia è l'unico Stato a non prevederlo (il fatto che l'Italia non lo preveda non significa necessariamente che i sistemi adottati all'estero siano migliori), ma anche perché, è opportuno ricordarlo, parecchi autori del passato, fra cui si può citare anche l'austriaco Friedrich August Von Hayek, hanno voluto occuparsene e sostenerlo.

Nel saggio Legge, legislazione e libertà l'economista austriaco cita la necessità di un reddito minimo in tre diverse parti: nell'undicesimo capitolo del secondo volume, dove l'autore analizza il concetto di giustizia sociale, e nel quattordicesimo e diciottesimo capitolo del terzo volume nei quali l'analisi è rivolta ai compiti spettanti allo Stato e alle intrusioni del Governo nella Società formata da individui. Più specificamente, Von Hayek critica l'idea di giustizia sociale come leitmotiv per un'azione politica che faccia gli interessi di precisi gruppi organizzati insoddisfatti della loro posizione e desiderosi di protezione a scapito di coloro i quali hanno invece raggiunto il successo tramite i meccanismi di mercato, però ricorda anche che lo scopo del liberalismo classico è abolire la povertà e che nei Paesi sviluppati chi è incapace di guadagnare abbastanza per se stesso è aiutato fuori dai meccanismi del mercato, e ciò è stato reso possibile dall'aumento del reddito globale dovuto al mercato stesso.

È però soprattutto nella parte della sua opera dedicata ai compiti spettanti allo Stato che possiamo leggere:

"Assicurare un reddito minimo a tutti, o un livello sotto cui nessuno scenda quando non può provvedere a sé stesso, non soltanto è una protezione assolutamente legittima contro i rischi comuni a tutti, ma è un compito necessario della Grande Società [...]" E poi: "Purtroppo lo sforzo di assicurare un livello uniforme a chi non può provvedere a sé stesso è stato assimilato ad uno scopo completamente diverso, cioè assicurare una giusta distribuzione dei redditi - il che, come abbiamo visto, porta ad assicurare agli individui lo standard particolare che hanno raggiunto".

A tratti, sembra quasi che Von Hayek scriva del sistema previdenziale nostrano, ma un secolo prima. La domanda da porsi, comunque, è questa: se pure il reddito di base incondizionato non ci piace, siamo sicuri che un reddito minimo garantito, oggi, non debba essere considerato?