Un mercato senza consumatori? Una sfida per il capitalismo
Istituzioni ed economia
I robot non comprano cellulari. I disoccupati nemmeno. Gli occupati a intermittenza ci pensano, aspettando il saldo di un lavoro, che però poi useranno per pagare le rate arretrate del mutuo. I contratti a tempo determinato sarebbero anche propensi, ma la fidanzata li blocca col pensiero del 'che succede se non te lo rinnovano?'.
Resta l'area degli occupati a tempi pieno e indeterminato, quelli con la tredicesima e le ferie retribuite, che possono ben valutare la possibilità di permettersi l'ultimo modello di I-Phone, tablet o computer. Ma quanto può reggere un mercato dove l'acquisto, ragionato o d'impulso, il coup de foudre delle scarpe rosse in vetrina o l'assennata sostituzione della lavatrice vecchia, è riservato al trenta per cento dei lavoratori?
Mi è venuto in mente questo leggendo del calo di fatturato della Apple, il primo in 13 anni di crescita continua, che di sicuro ha motivi aziendali precisi (ne parleranno gli esperti) ma a lume di naso ha a che fare anche col nuovo modo d'essere del capitalismo occidentale. La Apple è in questo senso paradigmatica. Primo marchio del mondo, alta efficienza, alta ricerca, altissima efficienza e redditività.
Di recente è stato diffuso un documentario dell'americana Abc cui è stato consentito per la prima volta l'accesso nella misteriosa fabbrica Foxconn di Shenzen. Il complesso occupa 235mila operai. Un dollaro e 78 di paga l'ora, totale mensile 285 dollari straordinari inclusi, di cui 17.50 ri-versati all'azienda per il posto letto nei dormitori comuni e circa 30 per la mensa (0.50 a pasto). Il sogno di ogni catena produttiva, di ogni imprenditore: oggetti da favola sfornati a costi stracciati e venduti a prezzi top di gamma.
Non è nulla di dissimile da ciò che l'Italia ha vissuto negli anni del boom, quando le macchine e le moto da leggenda della nostra industria – le Alfa, le Ducati – venivano assemblate dai contadini del meridione diventati all'improvviso emigranti e metalmeccanici. Ma allora il capitalismo produsse, oltreché merci, anche una generazione di consumatori. La sicurezza salariale fu il motore dell'acquisto a rate e dei primi assaggi di consumi voluttuari: un paio di pantaloni in più anche quando non servivano, un libro, un vassoio di paste al posto della crostata fatta in casa.
Oggi la ricerca ossessiva di minori costi – contratti più economici, robotizzazione, outsourcing dei processi produttivi, personale usa-e-getta – sta demolendo lo zoccolo duro del consumo. Cosa volete che compri un operaio che lavora in cambio della pura sussistenza o quasi? Due paia di calzini l'anno? Un televisore in tremila cambiali? Ed è buffo che su ciò non si interroghi il grande capitale: a chi venderà le sue merci prodotte a costi sempre più bassi se metà del suo possibile pubblico non ha risorse per comprarle, o sicurezza per programmare un acquisto rateizzato?
La crisi del lavoro, che fino a ieri era problema principe del sindacato, oggi dovrebbe essere la prima angoscia dei “padroni”, di chi detiene i mezzi di produzione. Non sarà possibile all'infinito fare utile abbassando il costo del lavoro, perché arriverà il momento in cui i bassi costi stroncheranno la diffusione delle merci, e per di più l'insicurezza economica diventerà insicurezza sociale, caccia alle streghe, instabilità politica, difesa a oltranza dei privilegi residui di chi ce li ha, in una bizzarra replica post-moderna del modello feudale: zero moneta, quasi zero mercato e persone che vanno a cercare l'orco sulle montagne con fiaccole e falci.
Il mondo dei liberali, credo, dovrebbe interrogarsi su tutto ciò con sguardo aperto, anziché affidarsi alle analisi rassicuranti del passato in cui l'aumento di produttività coincide con il risparmio sui salari e sulle garanzie.
Ne scrivo su “Strade” anche per questo, per curiosità delle reazioni – che qui sono sempre accese e competenti – e perché annoiata da troppi dibattiti televisivi dove le parti si fronteggiano su lavoro, sviluppo, esclusione sociale, welfare, xenofobia, dicendo cose vecchie di trent'anni, senza apparente consapevolezza delle dinamiche di questo nuovo mondo dove tutto è connesso – i salari della Foxxcom e il Muro del Brennero – anche se stentiamo a rendercene conto.