Brexit big

Il ritorno in Albione di Cameron dopo i negoziati sulla permanenza del Regno Unito nell’UE ha provocato scompiglio nella politica interna. Figure eminenti dei vari partiti, tormentate e dubbiose, si sono schierate chi con Cameron, chi invece contro, per svincolarsi definitivamente da Juncker e soci. Il pesante nome di Boris Johnson, Sindaco uscente di Londra, si è aggiunto alla galassia, scompigliata e conflittuale, di quelli che vorrebbero la City più lontana da Bruxelles.

Il primo gruppo, nato lo scorso agosto, è Leave.eu, già “The Know”. Benedetto da Farage come organizzazione-ombrello di tutti gli euroscettici, trova il maggiore finanziatore e fondatore in Arron Banks, imprenditore nel campo delle assicurazioni e della finanza e contributore numero uno dell’UKIP. Con lui altri personaggi noti come Toby Blackwell, della Blackwell Books ed altre figure della City.

Più recente, ma meglio strutturata, è l’organizzazione Vote Leave, che raccoglie un numero consistente e trasversale di deputati. Il nome che salta all’occhio è quello di Douglas Carswell, unico membro del Parlamento eletto dall’UKIP, contrario al gruppo sponsorizzato da Farage e Banks perché “non bastano un mucchio di like su Facebook per vincere un referendum”. Farage ha accusato Vote Leave di essere un prodotto di Westminster.

Le vere anime di VL, però, sono Matthew Elliott e Dominic Cummings, fondatori del gruppo. Elliott è l’attuale responsabile di Business for Britain, la sigla che raccoglie le aziende favorevoli al Brexit. A 38 anni ha un passato di attivismo politico di primo piano: ha fondato la Taxpayers’ Alliance, l’associazione dei contribuenti britannici, e il Big Brother Watch, fondazione per la difesa della privacy e contro la sorveglianza di Stato. Cummings, invece, è stato stratega dei Conservatori durante il segretariato di Ian Duncan Smith, impegno che abbandonò dopo 8 mesi di contrasti, ritirandosi a Durham a “leggere Tucidide e studiare letteratura russa”, di cui era studioso ad Oxford. Già direttore della ricerca per la campagna No Euro e consulente governativo, è indicato da Arron Banks come l’unico vero ostacolo all’unione del fronte euroscettico.

Vote Leave sarà probabilmente, salvo unioni dell’ultimo minuto con Leave.eu, la piattaforma preferita delle personalità Tories in contrasto con la rinegoziazione targata Cameron, dietro cui si cela la competizione per la guida del partito. Ad essa hanno aderito in massa i “Conservatives for Britain”. Fondatore del gruppo è Steve Baker, ex ingegnere della RAF ed informatico prestato alla politica, che ha creato il contenitore blu insieme all’eurodeputato David Campbell-Bannerman e a lord Lawson, pilastro Tory, ideatore delle privatizzazioni e tre volte ministro nell’era Thatcher. Con loro moltissimi deputati nazionali, europei e lord.

Spicca tra questi Dan Hannan, finissima penna del Telegraph nonché eurodeputato ferocemente anti-UE. Altro posizionamento pro-Brexit che ha causato non poche polemiche è quello di Syed Kamall, Presidente del Gruppo ECR al Parlamento Europeo. Molti, dal collega Charles Tannock ai tedeschi dell’AfD, hanno chiesto le sue dimissioni in quanto l’idea di lasciare l’UE non è condivisa dalle altre delegazioni nazionali. Temporeggia invece Geoffrey Van Orden, presidente della fondazione New Direction con sede a Bruxelles, che si impegna per cambiare le carte in tavola e promuovere una riforma del potere burocratico europeo.

Vote Leave, però, non è solo prerogativa della destra. La sigla “Labour Leave”, contro la compattezza dei socialisti di Corbyn a favore di Bruxelles, vorrebbe riportare in auge i tempi in cui era il Labour a guardare in cagnesco l’Europa. A capo dei ribelli c’è Kate Hoey, laburista molto atipica: un passato nello sport, oltre che come advisor in Premier League e come ministro con Blair, è una libertaria pro-caccia alla volpe, pro-armi e “la laburista meno gay-friendly”. Già nel 2007 propose un referendum contro il Trattato di Lisbona. Con lei Kelvin Hopkins, austero nelle spese parlamentari ma anti-austerity in politica, sostenitore di Corbyn e dell’omeopatia.

Ora che la data del referendum, il 23 giugno, è stata stabilita, sarà curioso capire come si muoverà il fronte anti-UE: ritroverà compattezza, nonostante le reciproche differenze, o darà nuova linfa alla lotta intestina tra l’UKIP e Westminster?