Crimea

Se la guerra civile in Siria è la catastrofe umanitaria al centro dell’attenzione degli europei, più che altro per l’ondata migratoria che sta provocando, l’Ucraina non fa più notizia. Ce la ricorda l’ultimo rapporto di Amnesty International. Le statistiche che testimoniano la morte e la sofferenza diffuse in un paese europeo sono lì da vedere: 9000 morti, di cui 2000 civili, 1 milione e mezzo di profughi interni, 1 milione e 100mila rifugiati all’estero.

La tragedia ucraina non è finita, ma è passata in secondo piano a causa della tregua sancita a Minsk. Da settembre è iniziato il ritiro delle armi pesanti, sia da parte del governo di Kiev che delle milizie pro-russe nelle province di Donetsk e Luhansk. Da allora il conflitto è diventato uno scontro “a bassa intensità”, fatto di piccoli scontri e, soprattutto, tanta propaganda, sul Web e sui media tradizionali.

C’è un settore del conflitto che è completamente scomparso dal radar dell’opinione pubblica: la Crimea. Lo stesso presidente della Federazione Russa, nel celebrare l’annessione della penisola, ha ammesso di avervi inviato truppe regolari. Di fatto ha dichiarato, in televisione, di aver conquistato manu militari una regione di un paese confinante. Si tratta di una violazione palese del diritto internazionale, oltre che del Memorandum di Budapest (che sanciva l’inviolabilità delle frontiere ucraine in cambio del disarmo nucleare da parte di Kiev) firmato dalla stessa Russia nel 1994.

I russi e i loro numerosi amici in Occidente trovino sempre una scusa per giustificare l’annessione della Crimea: “è storicamente sempre stata russa”, “è fondamentale per difendere i confini meridionali”, “è abitata da russi”, “anche gli americani hanno fatto di peggio”, “quasi il 100% della popolazione ha votato per l’annessione ed è un referendum valido”, anche se organizzato in tempo record dopo la “comparsa” di truppe russe senza insegna. Non si capisce come, però, l’annessione della Crimea debba costituire un’eccezione nel diritto internazionale. Le notizie che ci fornisce Amnesty International confermano il carattere militare e repressivo di questa occupazione.

Le prime vittime della procura russa, che di fatto governa la penisola, sono i tatari. Popolazione originaria della Crimea, deportata in massa ai tempi di Stalin, la minoranza musulmana aveva la sua rappresentanza democratica nel mejlis, un’assemblea parlamentare tradizionale. Il suo presidente, Ahtem Ciygoz, aveva promosso manifestazioni a sostegno del Maidan, la protesta filo-europea di Kiev, nel febbraio 2014. Allora la Crimea era, a tutti gli effetti, una regione dell’Ucraina. Il 29 gennaio 2015, per quelle manifestazioni, è stato arrestato dalle autorità russe, con l’accusa di aver organizzato “disordini di massa”.

Tutto il mejlis, in generale, è nel mirino. La procura russa avverte che, secondo il diritto della Federazione, può essere considerato in blocco come “organizzazione estremista”. Mustafa Cemiles e Refat Chubarov, ex presidenti dell’assemblea tatara, sono stati ufficialmente banditi dalla Crimea. Se oltre al danno si voleva aggiungere la beffa, le autorità russe hanno permesso a Chubarov di tornare a casa, il 28 ottobre. Ma solo dopo che, il 6 ottobre, il tribunale di Sinferopoli aveva spiccato un ordine di arresto nei suoi confronti per “proclami contro l’integrità territoriale della Federazione Russa”. Di fatto: potrebbe tornare, ma solo per farsi arrestare dai russi.

Non viene ammessa neppure alcuna manifestazione pro-ucraina, nemmeno se di carattere puramente culturale. È il caso di Aleksandr Kravchenko, Leonid Kuzmin e Veldar Shukurdzhiev, arrestati il 9 marzo scorso per aver sventolato nastri blu e gialli (i colori della bandiera ucraina) per celebrare l’anniversario della nascita del poeta Taras Shevchenko. Molto peggiore è la sorte toccata a Oleg Sencov e Alexander Kolcenko, attivisti anti-occupazione. Sono stati processati da un tribunale militare a Rostov sul Don, fuori dal territorio della Crimea, “contrariamente a quanto prevede il diritto internazionale umanitario”, come sottolinea il rapporto di Amnesty. Il tribunale militare russo li ha condannati rispettivamente a 20 e 10 anni di carcere per “accuse sproporzionate connesse al terrorismo”, come denuncia Amnesty. Le condanne si basano su loro confessioni, “presumibilmente estorte con la tortura”. E, nonostante tutto, la Corte suprema della Federazione Russa ha confermato la loro condanna, il 24 novembre scorso.

La Crimea è esclusa dagli accordi di Minsk per il cessate il fuoco in Ucraina. La sua occupazione, di fatto, non è in discussione, è esclusa dalla road map per la pace. In Ucraina le operazioni militari “anti-terrorismo” si concentrano nell’Est, mai nel Sud. Solo gruppi di attivisti intervengono nella questione, anche con metodi brutali, come la recisione delle linee elettriche che riforniscono la penisola, un atto di sabotaggio puntualmente denunciato da Amnesty nel suo rapporto. Ma per il resto la Crimea resta un buco nero giuridico, una regione annessa dalla Russia senza alcun riconoscimento internazionale, inserita nelle mappe della Federazione dai russi e da riviste patinate di geopolitica che “riconoscono una situazione di fatto”. È la prova di una violazione impunita del diritto internazionale.